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         FEDE e MUSICA:
     
MUSICA E CANTO COME ESPRESSIONE DI FEDE

     Dal teatro profano al melodramma

Come si era detto nell’ultima puntata, il melodramma vero e proprio vede la luce nel 1600, in Italia. La formazione però è molto lunga: dal madrigale (canto d’ispirazione profana), al mottetto (canto di ispirazione religiosa), alla sacra rappresentazione, all’affermazione del teatro profano, infine alla duplice e diversa strada tra musica sacra e musica profana. Si tratta di un universo di tale vastità e bellezza da competere con ogni altra forma d’arte. Architettura, pittura e scultura, musica e letteratura possono essere oggi individuate come le forme tipiche dell’arte, anche se con arte, da sempre, si può definire qualsiasi attività umana, fondata su accorgimenti tecnici e norme di condotta, derivati dallo studio e dall’esperienza. Insomma, arte è una qualsiasi forma creativa volta alla conoscenza e alla ricerca del bello, del positivo, della bontà.

Con questi presupposti, come si può non riconoscere nell’arte la presenza di uno Spirito divino che abbia illuminato l’autore a realizzare opere che con la loro coinvolgente bellezza inducono la persona, di qualunque fede, a percorrere la via della bontà, dell’onestà, della pace?
Giotto, Dante, Michelangelo, Leonardo, Bach, Verdi, Manzoni, sono esponenti per così dire classici delle varie forme di arte, e dinnanzi ad essi il credente non affetto da sindromi di sacrestia non può che rendere grazie al Creatore, infatti “dalla bellezza delle creature per analogia si conosce l’Autore” (Sapienza 13,5). Ma anche nel pessimismo senza speranza di un Verga o perfino nella conflittualità irriducibile e nella disperata peregrinazione per la sopravvivenza di un Brecht, come il credente non trae un provvidenziale stimolo ad essere veramente “sale della terra e luce del mondo”, secondo l’insegnamento del Maestro (Mt 5,13)?

Letteratura a parte, la musica, cioè il suono, è forse la forma artistica che maggiormente coinvolge l’anima del credente. Si è visto, nelle puntate precedenti, come liturgia – intesa come azione sacra – e musica si siano formate insieme. In senso biblico, il sacro è qualcosa che rappresenta la santità di Dio attraverso una serie di segni, di manifestazioni del divino, di teofanie. Fra queste manifestazioni si devono anche annoverare le norme cultuali, le quali possono interessare un’ampia gamma di eventi, di situazioni, di strumenti, di persone: lo spazio, delimitato dal tempio, il tempo, caratterizzato dal ricupero o dalla riflessione o preparazione alla celebrazione del mistero (vedi la quaresima), le persone (sacerdoti, profeti, catecumeni, battezzati), le azioni rituali, come celebrazioni, preghiere, pie devozioni, processioni, gli oggetti, come paramenti, strumenti specifici del culto, addobbi. Spazio, tempo, persone, azioni, oggetti sono tutti elementi che concorrono a rivelare la santità di Dio, sono essi stessi emblemi del sacro e “cose” sante.

Fra queste cose sante non può mancare la musica, parte integrante del culto, cioè della celebrazione del servizio pubblico, ufficiale, mediante il quale un gruppo di persone – la comunità dei credenti – viene a contatto con la santità di Dio.
La Chiesa (o le Chiese) ha potuto esercitare, in regime di monopolio, se così può dirsi, il settore musicale, fino a quando di esso non si è lentamente ma inesorabilmente appropriata anche la cultura popolare. Si è reso allora necessario distinguere tra il cantus liturgico, propriamente detto, e le altre manifestazioni, le quali hanno ricevuto la qualifica di “profane” proprio per essere eseguite fuori del tempio (“profano” è termine che deriva dal latino, composto di pro e fanum che significano “fuori del tempio”, “innanzi al tempio”). Si aggiunga che i canti in vernacolo obbedivano ad un’esigenza di carattere devozionale, religiosa, ma comunque extraliturgica e che, analogicamente, le polifonie costituiscono un complemento alla celebrazione del rito, senza incidere sul suo intimo significato, ma anzi esaltando il messaggio esortativo mediante le qualità della solemnitas e della decoratio.
Con il proliferare di tali manifestazioni a latere,si innesta il processo della trasformazione della musica in una doppia modalità: la musica sacra e la musica profana, come detto all’inizio.

In senso stretto la musica sacra è costituita dalle composizioni per il servizio liturgico; a rigore sono quindi escluse dal suo ambito tutte quelle opere (sacre rappresentazioni, laudi, mottetti) che, pur rispondendo a fini devozionali, non sono state originariamente concepite come momenti integranti di una liturgia. Tuttavia la profonda evoluzione e trasformazione che la musica sacra ha subito negli ultimi secoli e segnatamente ai giorni nostri (in particolare dopo il Concilio Vaticano II) ha fatto sì che questa distinzione di principio abbia trovato e trovi solo un parziale riscontro sul piano concreto: è frequente infatti la funzione in sede concertistica di pagine “sacre”, così come l’utilizzazione liturgica di musiche solo genericamente “religiose”.

Il teatro profano, invece, si può identificare con quel termine internazionale (valido in tutte le lingue) che si chiama opera. Esso indica lo spettacolo in cui l’azione teatrale si realizza attraverso la musica e il canto. Poiché si avvale di scenografie e, spesso, di azioni coreografiche, l’opera va considerata comeuna delle manifestazioni artistiche più complesse, avvincenti e difficili da realizzare. All’inizio, nel Rinascimento, il festeggiamento in forma teatrale di un principe o di un matrimonio nobiliare si presenta come un vero e proprio antefatto dell’opera.

Alla fine del Cinquecento l’opera ebbe un simbolico atto di nascita nell’ambito della Camerata fiorentina, che diede il primo manifesto estetico e la prima teorizzazione del rapporto tra musica e dramma. I membri della Camerata, che si raccoglievano in casa del conte Bardi e che ebbero nell’umanista Vincenzo Galilei (padre di Galileo, 1525-1591) il massimo teorico, propugnarono la creazione di una musica che conseguisse una partecipazione rigorosamente aderente al testo poetico-drammatico e di un dramma simile a quella che essi ritenevano fosse la tragedia greca. I vari tentativi pratici che accompagnarono le discussioni teoriche della Camerata sfociarono prima nella Dafne (Firenze, 1594) di Jacopo Corsi (1561-1604), e poi nell’Euridice (Firenze, 1600), opera dello stesso. Nel medesimo anno veniva rappresentata a Roma la Rappresentatione di Anima et di Corpo, del compositore Emilio De’ Cavalieri (1550-1602), sorta di allegoria drammatica eseguita all’Oratorio della Vallicella. La struttura interna dell’opera si completa nel primo Seicento grazie al genio di Claudio Monteverdi.

Dopo di lui, una schiera notevolissima di compositori, più o meno validi, si moltiplica nell’universo melodrammatico, perché tale diventa. Fondamentale, infine, fu l’apertura del primo teatro pubblico, il San Cassiano di Venezia, nel 1637.
La stagione dell’opera sembra aver chiuso i battenti con la metà del secolo scorso, nonostante le buone intenzioni di Maestri come Giancarlo Menotti, da poco scomparso, e di altri illustri come Ildebrando Pizzetti (1880-1968).

Resta eterno, tuttavia, il bene culturale e spirituale donato dall’opera, cioè da quello che si può chiamare “teatro profano”, sempre pervaso da un più o meno vivo senso religioso. Si pensi a Verdi, che fa concludere ad un suo eroe, il doge Boccanegra, una vita di battaglie e di sofferenze con un estremo desiderio di pace, che suona come delicata pietas di amore:

Degg’io salvarlo, e stendere
la mano all’inimico?
Si, pace splenda ai liguri,
si plachi l’odio antico:
sia d’amistadi italiche
il mio sepolcro altar.


                            
 Franco Careglio OFM


 IMMAGINI:
 
L’ascolto, Brueghel, Jan il Vecchio (1618), Museo del Prado, Madrid. / L’arte che si volge alla ricerca del bello e del positivo che eleva ha la funzione di introdurre l’uomo alla conoscenza di Dio.
I
l suonatore di Liuto, Caravaggio (1596), L’Hermitage, San Pietroburgo. / Alla fine del Cinquecento, l’Opera ebbe un simbolico atto di nascita nell’ambito della Camerata Fiorentina.
3  Orfeo ed Euridice, J. B. Camille Corot (1861), Museum of Fine Arts, Houston, Texas. / La rappresentazione delle avventure di Orfeo ed Euridice, ad opera di Jacopo Corsi, fu uno dei primi lavori che concretizzarono le idee della Camerata Fiorentina.

           RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 5  
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