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         FEDE e MUSICA:
     LA MUSICA SACRA

Come detto nella scorsa puntata, con l’inizio del XVII secolo il solco tra musica sacra e musica profana diviene sempre più profondo fino al formarsi, nello stesso secolo, anzi nella prima metà di esso, di un patrimonio musicale sacro e di un patrimonio musicale profano. Si era anche detto però che il secondo non è affatto il risultato di quattro secoli – dal ’600 ad oggi – di studi, di ricerca e di invenzioni melodiche ove sia assente la componente spirituale.

Tutt’altro. Lo si è chiamato qui patrimonio musicale profano non perché abbia rifiutato ospitalità alla componente spirituale, ma per il diverso fine che musica sacra e musica profana si prefiggono. L’aggettivo profano, in effetti, indica tutto ciò che è estraneo o contrario a ciò che è sacro: questo però non significa il ripudio, ma la separazione di una strada dall’altra, allorché la secondaria (cioè musica profana) abbia le sufficienti attrezzature per mettere su famiglia per conto proprio, staccandosi dalla principale.

Un debito secolare

Così è avvenuto per la musica profana: nata e nutrita dal sacro, prosegue sul sentiero proprio, fondandosi su di esso ed utilizzando tutti quegli elementi, fonici e letterari, che il sacro le aveva copiosamente elargito. Questo è verificabile ascoltando qualunque composizione musicale profana di questi ultimi quattro secoli, dagli immortali spartiti di Monteverdi (che La Scala, proprio quest’anno 2007, riproporrà in apertura di stagione), all’elegia di Bellini (che in fatto di delicatezza elegiaca trapelante afflato spirituale è maestro, vedi Sonnambula, oppure l’energia di tinta neoclassica di Norma, dove si intersecano passione, amore, delitto e pena), alla melodia di Donizetti, (espansiva e affascinante, che fece piangere calde lacrime anche a Madame Bovary), alla tempra formidabile di Verdi, unico nell’universo musicale mondiale dotato di intuito infallibile nel comprendere i segnali dei tempi nuovi: per non rimanere che in Italia, e in tempi ormai lontani.

D’altronde i numerosi esempi percorsi, nelle puntate di questi ultimi due anni, circa la presenza di Maria nella musica, dimostrano quanto il patrimonio musicale profano sia debitore al sacro.
Se poi si estende lo sguardo in tempi recenti, e in altre culture, il successo di un «film musicale» come Jesus Christ Superstar (1970) dell’inglese Andrew Webber Lloyd, testo basato su di un’abile commistione di formule moderne e classiche, discutibile fin che si vuole ma pur sempre proponente un tema religioso, indica che l’elemento spirituale, per quanto rimestato e riadattato, non è stato mai messo da parte dalla produzione musicale. Certo, non ci si sogna di pensare a questo film come ad un’opera del patrimonio musicale sacro: ma dimostra, quanto meno, che la radice spirituale è ineliminabile. Allo stesso modo il compositore statunitense di origine russa Vladimir Ussachevsky (1911-1990) scrive una copiosa e colta partitura di tonalità religiosa, che non può considerarsi musica sacra, ma nella quale è ben percepibile l’elemento spirituale.

Gli interventi dei Papi

Per parlare ora espressamente di musica sacra, più che dai tempi remoti è utile partire da quelli recenti. È interessante anzitutto considerare l’attenzione riservata dal magistero ecclesiastico alla musica sacra. All’inizio del secolo XX, San Pio X, con un lungo motu proprio dal titolo «Tra le sollecitudini» (22 novembre 1903) analizza attentamente gli obiettivi e l’uso della musica sacra durante le funzioni liturgiche.

Sono gli anni in cui a Bayreuth il teatro wagneriano assumeva gradualmente i caratteri di un grande tempio per il modo di fare spettacolo. Le interminabili, solenni opere nelle quali gli déi pagani hanno parte preponderante e tutto sembra dipendere dalla loro volontà o dal loro destino, condizionando così la cultura e la stessa spiritualità, la Chiesa raccomanda l’uso di una musica in cui «santità» e «bontà delle forme» siano ben percepibili a livello di messaggio. L’organo interviene solo per accompagnare il canto, mettendo così in chiaro la netta subordinazione dello strumento. Questo perché il Papa ravvisa come l’organo, strumento tipico del rito sacro, rischia una compromissione tra questa sua funzione e quella profana: ecco che cosa egli intende per «bontà delle forme», cioè uso di strumento per il rito e non viceversa.

È vietata l’adozione di qualsiasi altro strumento, che in qualche modo possa far deviare l’attenzione dal rito alla bellezza del suono. Ma se l’organo è il solo ammesso in chiesa, viene utilizzato da tempo nel teatro: affiancato alla compagine orchestrale, compare, oltre che in autori come Ottorino Respighi (1879-1936), anche in partiture di eccelsi autori come Camille Saint-Saens (1835-1921), che lo usa nella sua Symphonie avec orgue (1888), come Richard Strass (1864-1949), nel suo celebre poema sinfonico Also sprach Zarathustra (1896); ancora il nostro Giacomo Puccini (1858-1924) lo colloca in Tosca (1900) e in Suor Angelica (1918) e il grande musicologo e studioso Albert Shweitzer (1875-1965) ne auspica nei suoi scritti l’utilizzo per il ricupero della strumentazione bachiana. Tutto ciò indica la vasta stima e la generale applicazione dell’organo, unico strumento caro ai pontefici (non solo a San Pio X, ma anche ai successivi).

Che cosa avrebbe detto Papa Sarto, oggi, dinanzi alle Eucaristie accompagnate da chitarre, tamburi e quant’altro...?
A
San Pio X va il merito della fondazione del 1910 della «Scuola Superiore di Musica Sacra», divenuta poi il «Pontificio Istituto di Musica Sacra» (PIMS), con facoltà di conferire i gradi accademici.
Pio XI, con il motu proprio Ad musicae sacrae restitutionem (22 novembre 1922), incluse questa scuola tra le Università Pontificie. Pio XII raccomandò vivamente la frequenza dei corsi di musica, soprattutto ai candidati presbiteri, attraverso lettere varie e addirittura l’enciclica Musicae sacrae disciplina (25 dicembre). Proprio quest’ultimo documento è di particolare importanza per la musica sacra. Dopo aver riassunto l’origine e lo sviluppo della musica sacra, specie gregoriana, ed aver raccomandato l’osservanza «delle norme saggiamente fissate da San Pio X nel documento da egli stesso definito codice giuridico della musica sacra» (il motu proprio ricordato sopra), Papa Pacelli indica i motivi che ne debbono regolare ogni manifestazione, affinché la musica risulti di aiuto efficace al servizio divino e all’edificazione dei fedeli.

Fissa le caratteristiche della musica, che saranno quelle proprie della liturgia, inculcando l’uso universale del canto gregoriano, non respingendo altre forme, soprattutto polifoniche, purché ornate delle debite qualità, e disciplinando l’uso dell’organo e di altri eventuali strumenti. Raccomanda quindi l’educazione musicale di tutti, mediante la formazione di apposite Scholae Cantorum tra i fedeli e lo studio della musica nei seminari. Una vera esortazione, insomma, a promuovere sempre più la conoscenza e l’applicazione della musica sacra, considerata come importante ramo della liturgia.
Bisognerà ora attendere il Vaticano II con la costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia per avere nuovi e precisi insegnamenti sulla musica sacra, eccezion fatta per occasionali brevi documenti o citazioni di essa nelle altre encicliche.

La novità di Perosi

Per concludere questo primo tratto di storia a ritroso sulla musica sacra, è più che doveroso un omaggio al maggiore compositore sacro degli ultimi due secoli, e probabilmente il più profondo in assoluto: Don Lorenzo Perosi (Tortona 1872 - Roma 1956). L’anno scorso il primo cinquantenario della morte è passato quasi inosservato, anche per il maggiore e giusto rilievo riservato al secondo centenario mozartiano. Ordinato sacerdote nel 1894 e maestro di cappella prima ad Imola e poi a San Marco in Venezia, fu chiamato nel 1898 alla direzione della Cappella Sistina, che mantenne, salvo una parentesi di alcuni anni, fino alla morte. Si può dire che Perosi rappresenti la piena risposta al motu proprio di San Pio X del 1903. La sua enorme produzione risulta meno concentrata sull’eredità polifonica palestriniana, e solo parzialmente debitrice alle movenze del canto gregoriano, che in quegli anni, grazie al PIMS, otteneva una nuova e più accurata fase di ricerche e di indagini.

Con un carattere assolutamente compreso dentro le poetiche del teatro verista, filtrato attraverso un approccio musicale semplice ed istintivo, Perosi appare sulla scena come l’ultimo anello di una catena di musicisti che, pur avvertendo l’urgenza di una riforma della musica liturgica, sono stati all’interno dello spirito del tempo, senza mai perdere la propria individualità artistica. L’affinità non solo con il verismo, ma soprattutto con la Giovane Scuola (di cui si era parlato nelle puntate relative alla presenza di Maria nella musica), dona al compositore piemontese una spontanea e delicatissima effusività melodica.

La sua è una melodia veramente rigenerata, che in modo sapiente ed equilibrato sa realizzare una perfetta mescolanza tra le componenti veriste, con qualche ascendenza wagneriana e con misurati riferimenti al gregoriano. Compose una ventina di «oratori» nei quali non si può non ravvisare il taglio teatrale, ma così correttamente inserito da rendere ancora più «sacra», all’udito e all’anima, la vicenda che viene narrata. Valga per tutti La passione di Cristo secondo San Marco (1897), in cui l’esigenza di rappresentare il «dramma» spirituale si esprime in una sintesi perfetta di drammaticità e di sacralità. Compose inoltre, durante tutta la carriera, ben 52 messe, uno Stabat Mater (1904) e centinaia di vari pezzi sacri corali.

Lorenzo Perosi è veramente il maestro che ha saputo perfettamente coniugare le richieste della teatralità con le forme più accurate e adeguate rivolte a ripronunciare, con timbro nuovo e con risonanze nuove nella coscienza dell’ascoltatore, le parole antiche e perennemente attuali dell’annuncio evangelico.


                                                                         
 Franco Careglio OFM


 IMMAGINI:
 
Il musical Jesus Christ Superstar, è una delle più celebri, ma anche discusse, riproposizioni del tema religioso in campo musicale.
Il canto durante le celebrazioni liturgiche deve avere il sopravvento sulla funzionalità degli strumenti. Questa subordinazione, un tempo tanto cara alle indicazioni celebrative, oggi deve forse essere riscoperta.
3  La musica sacra si caratterizza nel XX secolo come una musica sostenuta principalmente, se non esclusivamente dall’uso dell’organo.
4  Ottorino Respighi (1879-1936), affianca l’uso dell’organo a quello degli altri strumenti musicali, svincolandolo così dal solo uso ecclesiastico.

           RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 6  
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