HOME PAGE - ITALIANO / FORMAZIONE CRISTIANA  / FORMAZIONE MARIANA / INFO VALDOCCO


     STUDI:
  LA MUSICA SACRA

Nell’ultima puntata il discorso sulla musica sacra aveva assunto come punti di riferimento i più importanti documenti del magistero, cioè i due motu proprii di San Pio X e di Pio XI, rispettivamente del 1903 e del 1922, e quindi l’enciclica di Pio XII Musicae sacrae disciplina, del 1955. Altri vari interventi pontifici di minore entità vengono poi riassunti, insieme all’insegnamento dei tre suddetti, nel capitolo VI della Costituzione conciliare Sacrosanctum concilium, il primo dei 16 documenti del Vaticano II, approvata il 4-12-1963, sulla sacra Liturgia.

Questa fondamentale riflessione presenta la sacra Liturgia come il vertice verso cui tende l’azione della Chiesa, e allo stesso tempo la sorgente da cui scaturisce la sua forza. Al n. 112 si legge che la tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, e il canto sacro è stato lodato sia dalla Sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai Romani Pontefici che recentemente, a cominciare da San Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel servizio divino.

Come accennato la volta scorsa, è Lorenzo Perosi il maggiore cantore sacro del secolo XX. La sua figura e il suo contributo sono troppo importanti, per meglio dire determinanti, nel permettere la riscoperta della dimensione spirituale dell’arte. Per questo è necessario soffermare ancora l’attenzione su di lui. Meglio dire dimensione spirituale che religiosa, in quanto con il primo aggettivo si indica il sentimento profondo della fides, come adesione personale e incontrovertibile alla Rivelazione; il secondo, invece, richiama piuttosto l’aspetto epidermico, visibile, della fides, cioè la religio, sentita e attuata come esteriorizzazione del sentimento. Questo può applicarsi in quelle eccelse, meravigliose pagine dei Requiem di Mozart e di Verdi, come nelle luminose preghiere di Berlioz e di Gounod.

Ma si tratta sempre di un’arte, di indiscutibile superiore bellezza, che mira al successo teatrale e viene composta per quest’ultimo. In altre parole queste pagine non danno il suono illuminante della fides, ma si fermano alla meraviglia della compostezza e delicatezza di una perfetta celebrazione religiosa.
Si potrebbe, per chiarire forse meglio, fare un riferimento letterario. Il cattolicesimo latente nell’opera di
Rainer Maria Rilke (1875-1926) che si comincia a manifestare con accenni epidermici in Leben und Lieder (Vita e canti, 1894), costituisce il fondamento di una esperienza misteriosa e personale con il divino.

Resta però una forma di pura religiosità, dalla quale attingeranno le generazioni successive, che cogliendo nella poesia il mezzo utile per avvicinarsi alla fides, disporranno di uno strumento in più per scrutare l’abisso dell’Infinito. Così Clemente Rebora (1885-1957), che negli anni Trenta avrà già intrapreso un radicale mutamento siglato dall’apostolato sacerdotale, proporrà alle incertezze e alle inquietudini dell’animo una risposta che sola proviene dalla fides. E il mezzo all’accoglienza di tale risposta sarà la poesia.

I cento anni esatti che vanno dalla nascita di Bellini (1801) alla morte di Verdi (1901) sono ricchissimi di manifestazioni musicali sacre, prodotte al di fuori delle scene teatrali. Tutti i grandi compositori dell’Ottocento sono stati anche compositori di musica sacra. Né va trascurato il fatto che molti tra i maggiori operisti dell’Ottocento, quelli che nella scala dei valori seguono immediatamente i “quattro grandi evangelisti del melodramma” (Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi), furono fervidi e prolifici maestri di cappella.

Tali, ad esempio, Nicola Zingarelli (1752-1837), maestro di cappella dapprima a Milano, poi a Loreto, Roma e Napoli; Giovanni Simone Mayr (1763-1845), maestro di Donizetti, scrisse una settantina di opere (oggi se ne ricordano tre o quattro) e fu al servizio di Santa Maria Maggiore in Bergamo; Pietro Generali (1773-1832), Saverio Mercadante (1795-1870) e Carlo Coccia (1782-1873) furono maestri di cappella nella cattedrale di Novara tra il 1827 e il 1873.

Verso una povertà musicale

A dispetto tuttavia dell’impianto che si erano date le cappelle musicali italiane, e in particolare quelle suddette, il panorama della musica sacra italiana non offre materia tale da reggere il confronto con i grandi nomi della musica sacra europea. L’Italia ha Perosi, che è in effetti, sia per il XIX che per il XX secolo, l’unico compositore sacro, non di religio come il Verdi sacro e i vari Puccini e Mascagni, ma di autentica fides. L’Europa cattolica ha i Berlioz, i Franck, i Gounod, i Saint-Saens, i Liszt e i Bruckner; la protestante ha i Mendelssohn, i Schumann, i Brahms.

Occorre considerare che molte delle gloriose cappelle di un tempo furono sciolte in seguito ai mutamenti e agli sconvolgimenti che investirono gli Stati italiani e portarono alla loro unificazione sotto un unico trono, provocando la soppressione delle cappelle regie o ducali di antica tradizione, l’ultima delle quali, la Cappella Regia di Torino, venne sciolta nel 1870, quando Roma fu proclamata capitale del Regno d’Italia, dopo che già sei anni prima il centro nevralgico del nuovo Stato era passato da Torino a Firenze.

Medesima dissoluzione conobbero le altre cappelle musicali, e fu solo grazie alla produzione di carattere di fides di alcuni autori che la musica sacra italiana continuò il suo cammino, un po’ claudicante, fino all’avvento di Perosi. Prima di lui meritano menzione compositori come Luigi Mancinelli (1848-1921), operante in San Petronio a Bologna, Giuseppe Martucci (1856-1909), Luigi Sgambati (1841-1914), il palermitano Errico Petrella (1813-1877) e il cremasco Giovanni Bottesini (1821-1889). Soprattutto questi ultimi due sono oggi ricordati proprio per le composizioni sacre di valore veramente notevole, più che per le opere che pure hanno scritto e che hanno conosciuto una certa, contenuta diffusione (il Petrella è noto per i suoi Promessi sposi, un ben modesto adattamento del romanzo, del quale si fece cenno parlando della presenza di Maria nel melodramma). Merita ancora un ricordo Luigi Felice Rossi (1805-1863), nativo di Brandizzo presso Torino, autore di un buon numero di composizioni ma noto soprattutto per la sua attività didattica e per i validi studi musicali.

Il genio di Perosi

Primo ma modesto restauratore della musica sacra in Italia fu il sacerdote milanese Guerrino Amelli (1848-1933), fondatore a Milano nel 1875 di una Schola cantorum e poi, in seguito a contrasti avuti con la Sacra Congregazione dei Riti, ritiratosi (1885) nell’abbazia di Montecassino (sotto il nome di Ambrogio Maria) dove fondò il “Bollettino Ceciliano” (1905), tutt’ora in vita, e dove sarebbe vissuto fino alla morte.

Proprio l’Amelli fu uno dei primi a riconoscere il genio di Lorenzo Perosi, e grazie al suo aiuto il prete tortonese comincia negli anni Novanta la sua attività all’abbazia di Montecassino e, compiuti gli studi musicali al Conservatorio di Milano e presso la Kirchen Musik Schola di Ratisbona, approda prima alla cappella Marciana e in seguito alla Sistina, per diventarne nel 1903 il direttore “perpetuo”.
Perosi aveva ricevuto la prima educazione musicale dal padre Giuseppe, organista della cattedrale dal 1863, e rivelò assai presto le sue qualità di compositore (i suoi primi lavori risalgono al 1885).

Perosi però era affetto da turbe psichiche di una certa gravità, cosa che i manuali riportano malvolentieri; fu per questo che nel 1918 non fu più in grado di dirigere la Sistina. Gli subentrò nell’incarico pro tempore il fratello Marziano (1875-1959), che sarebbe poi divenuto maestro di cappella nel Duomo di Milano (il fratello maggiore – Carlo, 1868-1930 – ordinato sacerdote nel 1891, fu creato cardinale nel 1926 e ricoprì la carica di segretario dell’allora Sant’Uffizio). Interdetto nel 1922 (fra l’altro egli voleva distruggere tutte le proprie musiche), Perosi riprese l’attività di direttore della Sistina nel 1930, anno nel quale ebbe la nomina di accademico d’Italia. Data l’età e i disturbi fisici, venne sostituito nella direzione della cappella da Mons. Domenico Bartolucci, pur mantenendo la titolarità della funzione. Morì nel Palazzo del Sant’Uffizio, ove si era stabilito fin dal 1930.

Perosi si impose all’attenzione del mondo musicale europeo come restauratore di un genere musicale ritenuto inattuale. Il mondo culturale riconobbe, nel pretino venuto da un centro di provincia, un genio capace di conquistare le platee e di indicare, specie in Italia, una strada alternativa a quella del melodramma.

Il sigillo definitivo

Quando il 2 dicembre 1897 nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie in Milano, eretta dal Bramante, fu eseguita, all’apertura del Congresso Nazionale di Musica Sacra, La Passione secondo San Marco – una trilogia così costituita da La cena del Signore (già rappresentata l’anno precedente a Venezia), L’orazione al monte e La morte del Redentore – il mondo musicale ebbe la conferma che un altro eccelso musicista veniva ad aggiungersi agli epigoni di Verdi. Per di più, percorrendo una strada ben diversa (nel clima surriscaldato dalla restaurazione non solo della musica sacra, ma dall’onda lunga provocata dalla caduta dello Stato Pontificio, e dalla confusione modernista con la relativa imminente reazione), il sigillo definitivo di musicista sarebbe venuto l’anno successivo con tre oratori di largo respiro composti con impressionante rapidità: La Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo (Venezia, Palazzo della Mostra internazionale, 20 marzo), La risurrezione di Lazzaro (Venezia, T. La Fenice, 28 luglio), La Risurrezione di N. S. Gesù Cristo (Roma, Chiesa dei Santi Apostoli, 13 dicembre).

L’autorità di Arturo Toscanini venne ancora a suggellare il genio di Perosi. Il maestro parmigiano, nell’arte una vetta eccelsa, nella fede ben poco e nella religione meno ancora, diresse il poema sinfonico-vocale Mosè (Milano 1901) e il Giudizio universale (Roma 1904), composizione dello stesso genere, manifestando il massimo entusiasmo per lo spartito e per l’autore. Elogiò immensamente la finezza compositiva di Perosi, lo abbracciò e gli strinse ripetutamente la mano, dimenticando che, prima di essere musicista, era rappresentante di Colui che egli nominava troppo di frequente.

L’infatuazione da un lato e la denigrazione dall’altro, fenomeni di cui Perosi fu ugualmente vittima, hanno finito con il nuocere alla giusta collocazione della sua figura all’interno della musica del Novecento. In effetti è l’Ottocento la dimora ideale di Perosi, che anagraficamente avrebbe dovuto fare parte della cosiddetta generazione dell’Ottanta – quella di Franco Alfano (1875-1954), Ottorino Respighi (1879-1936), Ildebrando Pizzetti (1880-1968) e gli altri –, fino al sacerdote, oggi ingiustamente dimenticato, Licinio Refice (1885-1954). In ogni caso Lorenzo Perosi, il geniale e tormentato prete di Tortona, è la pietra miliare della rinascita della musica sacra del nostro tempo.

                                                                                  Franco Careglio ofm
                                                                          


 IMMAGINI:
Chiesa con organo a canne.
Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke ha espresso nella sua opera il rapporto misterioso ma imprescindibile dell’uomo con la realtà divina.
Presso la Kirchen Musik Schola della città di Ratisbona, Lorenzo Perosi perfeziona il suo studio musicale prima di approdare alla Cappella Marciana prima e alla Sistina poi.
4  Lorenzo Perosi (1872 - 1956), è la pietra miliare della rinascita della musica sacra del nostro tempo.

           RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 8  
         HOME PAGE - ITALIANO / FORMAZIONE CRISTIANA  / FORMAZIONE MARIANA / INFO VALDOCCO

            VISITA Nr.