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     CHIESA E COMUNICAZIONE:
  COMUNICARE LA FEDE / 1

La gente non capisce

John L. Allen Jr, vaticanista del National Catholic Reporter, nella sua rassegna on line del 7 aprile 2006, riferisce di una conversazione tenuta ad Austin (Texas) il 4 aprile 2006 con un gruppo di studenti cattolici della locale università. La principale lamentela di questi giovani concerneva la richiesta di una comunicazione moderna da parte della Chiesa; «moderna», non nel senso di cambi dottrinali o di riforme strutturali, ma nel senso di alta qualità tecnologica e di saggezza pratica nel dibattito culturale.

Ad esempio, Ricardo Gutierrez, uno studente di microbiologia di 20 anni, diceva che se egli fosse diventato papa per un giorno, la sua principale priorità sarebbe stata l’informazione.

E precisava questa sua idea, dicendo che la Chiesa ha tutte le ragioni per il suo insegnamento, ma per conoscere queste ragioni o devi parlare con un prete o devi leggerti un libro: sull’omosessualità, ad esempio, il problema non è che la Chiesa non abbia i suoi argomenti per non essere d’accordo, ma la gente non sa quali siano questi argomenti.

In questa conversazione emergono alcune richieste alla comunicazione della fede da parte della Chiesa e nella Chiesa: più alta qualità tecnica, maggiore attenzione al confronto culturale e soprattutto maggiore diligenza nella comunicazione delle ragioni che motivano i pronunciamenti dottrinali del magistero1.

Essendo un teologo, confesso che non sono un esperto di mezzi di comunicazione sociale. Ma, come pastore, prendo in grande considerazione le lamentele degli studenti di Austin e l’obiezione di Ricardo Gutierrez. Il tema del rapporto tra magistero e media, quindi, non solo mi incuriosisce, ma lo ritengo di grande rilevanza teologica e pastorale.

L’annuncio, infatti, del Vangelo fatto dalla Chiesa all’umanità contemporanea è ancora oggi una buona notizia per la felicità e la concordia dell’umanità intera e per la promozione e il compimento di tutti i talenti che Dio Creatore ha donato a ogni persona umana. Per cui è necessario che questo annuncio sia fatto in modo ottimale ed efficace.

Questo mio intervento, più che un discorso sistematico, contiene alcune considerazioni sparse – di tipo dottrinale, ma anche di indole pratica – che sono frutto di esperienza concreta nella comunicazione del Magistero della Chiesa.

Il Magistero nella Chiesa

Richiamo qui subito qualche nozione preliminare, non tanto sul significato e sul valore dei media, quanto piuttosto sul termine «magistero della Chiesa», che racchiude in sé il concetto di comunicazione di un insegnamento autorevole, da accogliere con docilità nell’obbedienza della fede. «L’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo»2.

Il Magistero – continua la «Dei Verbum» – «non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio»3.

Il Magistero, il cui soggetto è l’intero collegio episcopale in unione con il Sommo Pontefice, è quindi il solo autorizzato a interpretare autenticamente la Parola di Dio, nei cui confronti ha un quadruplice compito: ascoltarla, custodirla, esporla con fedeltà, proporla all’accoglienza dei fedeli. Magistero e comunicazione sono, quindi, in stretta relazione, dal momento che spetta al Magistero interpretare con fedeltà e comunicare con autorità ai fedeli la Parola di Dio.

A questo ministero di comunicazione autentica e autorevole della Parola di Dio da parte del Magistero corrisponde da parte dei fedeli un atteggiamento di docile accoglienza: «I fedeli, memori della Parola di Cristo ai suoi Apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10,16), accolgono con docilità gli insegnamenti e le direttive che vengono loro dati, sotto varie forme, dai Pastori»4.

Senza addentrarci nelle teorie giuridiche e teologiche implicate nel tema della recezione5, abbiamo delineato con semplicità il «dover essere» della relazione tra il magistero del Papa e dei Vescovi e l’accoglienza «docile» – chiamata anche «recezione» – di tale insegnamento da parte dell’intero popolo di Dio, che nell’adesione al depositum fidei, persevera nella dottrina degli Apostoli, nella comunione, nella preghiera, nella testimonianza e nella professione della fede.

Oggi si manipola la realtà

In realtà, non sempre la situazione concreta corrisponde a questo ideale, dal momento che ci sono condizioni che ne intralciano l’attuazione. Tali ostacoli, sono, ad esempio, la cultura contemporanea, chiamata anche postmoderna; un certo affievolimento nei fedeli – spesso anche nei teologi – del sentire cum Ecclesia; una diffusa ignoranza della storia della Chiesa e della teologia. Tutto ciò porta a una recezione debole o addirittura al rifiuto del Magistero.

La comunicazione del Vangelo oggi non solo viene ostacolata da vere e proprie persecuzioni – nel mondo ci sono ancora oggi cristiani ai quali è negata la libertà di professare la propria fede sotto pena di carcere o di morte – ma soprattutto dal pensiero debole della cultura postmoderna, che rifiuta il pensiero forte della rivelazione cristiana.

Ad esempio, la proposta antropologica cristiana, di presentare l’uomo e la donna, come immagine di Dio, e di interpretare l’esistenza umana come pellegrinaggio per giungere a una perfetta comunione con Dio Trinità viene fortemente avversata da un pesante clima di cultura nichilista, relativista, biotecnologica, insegnata non solo nelle aule universitarie, ma capillarmente diffusa con martellante insistenza dai mezzi di comunicazione di massa e assorbita dalla cosiddetta «gente comune».

L’interpretazione nichilista considera l’uomo un individuo senza qualità e senza finalità, ripiegato su se stesso, la cui esistenza radicalmente inconsistente e insensata, sarebbe una corsa verso il nulla assoluto6.

L’annuncio cristiano sarebbe quindi una proposta impossibile per questo uomo senza identità e senza meta. Quasi a fare da contrappeso al nichilismo, abbiamo la nebbia relativista, che presenta all’uomo uno spettro infinito di proposte e di realizzazioni «sensate», la cui molteplicità è pari alla loro inconsistenza, dal momento che anche il relativismo è un allontanamento radicale dall’essere, dal vero e dal bene. L’atteggiamento relativistico nega l’esistenza di una verità.

La verità sarebbe una chimera inafferrabile. Prevale l’opinione, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri e ciò che è vero oggi non lo sarebbe domani. L’uomo sarebbe un essere senza verità, semplicemente in balia delle mille opinioni, inclusa la sua. Anche la rivoluzione biotecnologica porta in sé una sempre più forte carica distruttiva: «All’idea forte della natura umana, considerata immutabile perché creata da Dio, si è sostituita [...] l’idea debole di una natura umana considerata manipolabile, perché prodotta dalla biotecnologia. La conseguenza terribile di questa trasformazione è che tutto ciò che è «fatto» può essere anche «disfatto»7.

Se l’uomo non è procreato ma clonato, diventa una fotocopia dell’uomo e non un dono di Dio. Se l’uomo è trasformato in similmacchina, si ammira la potenza della macchina, ma si dimentica l’onnipotenza di Dio. Di fronte a queste aberrazioni antropologiche, si deve riaffermare la concezione dell’uomo come persona e come immagine di Dio. Una scienza che nega l’umanità dell’uomo, costruisce un uomo non-uomo, ridotto a semplice prodotto e materiale biologico.

La scienza alla quale oggi si attribuisce il compito di risolvere ogni problema umano, cancellando ogni riferimento religioso, fa uso di un concetto ridotto di vita, che consisterebbe nella pura e semplice vita biologica, senz’altro significato e valore che superi la pura e semplice funzionalità degli organi umani.

L’uomo viene ridotto a materia prima. La individualità della vita personale è diluita nella genericità della vita biologica, nella funzionalità organica delle sue «parti separate»: «Se l’uomo è ridotto a un prodotto della biologia, tutti lo possono manipolare e non è più inviolabile, mentre se è una persona, rimane un mistero che tutti devono rispettare nella sua trascendenza»8.

A Dio si preferisce l’io

A questa sfida culturale postmoderna si aggiunge ancora l’affievolimento nei fedeli di quel senso ecclesiale, che i santi qualificavano come «amare Ecclesiam et sentire cum Ecclesia». Il Magistero, invece di essere considerato comunicazione della verità di Dio sull’uomo e sulla sua salvezza, viene non rare volte considerato come semplice opinione e come tale arbitrariamente disatteso, contrastato, rifiutato. Viene a mancare l’obbedienza della fede e la fiducia nella efficacia della Parola di Dio per illuminare la nostra storia personale e comunitaria.

Alla verità di Dio si preferisce l’opinione dell’io. Questo appare chiaramente nei dibattiti televisivi, quando su un argomento intervengono molti interlocutori, tra cui anche, ad esempio, un sacerdote. L’opinione del sacerdote cattolico – dal mio punto di vista preferirei un laico cattolico, ben preparato – viene livellata a quella di tutti gli altri, perché il dibattito non intende puntare alla verità, ma solo enunciare opinioni, senza una loro adeguata valutazione.

Infine, bisogna considerare l’estrema povertà culturale di buona parte dei fedeli cristiani, che spesso non sanno dare le ragioni della propria speranza. Non si può spiegare diversamente lo strano successo di un romanzo pervicacemente anticristiano, come il «Codice Da Vinci», pieno di calunnie, offese ed errori storici e teologici nei confronti di Gesù, dei Vangeli, della Chiesa. Calunnie, offese ed errori che se fossero stati indirizzati al Corano o alla Shoah avrebbero provocato giustamente una sollevazione mondiale; rivolti, invece, alla Chiesa e ai cristiani rimangono impuniti.

Penso che in questi casi i cristiani dovrebbero essere più sensibili al rifiuto della menzogna e della diffamazione gratuita. Ricordo che, nel 1988, trovandomi in quel tempo a Washington, ci fu la proiezione del film «L’ultima tentazione di Cristo», di Martin Scorsese. Il film, estremamente noioso e improbabile, non solo fu contestato vivacemente perché storicamente falso, ma fu anche boicottato ai botteghini, ricevendo una meritata bocciatura economica.

Per venire incontro a questa perdita di identità cattolica, il Santo Padre ha donato alla Chiesa il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, il libro dei due papi, perché voluto da Giovanni Paolo II e realizzato da Benedetto XVI. Il Compendio – di cui è stata appena pubblicata l’edizione inglese – offre in sintesi il quadro completo ed essenziale della fede, professata, celebrata, vissuta e pregata. È stato il primo dono prezioso del magistero di Benedetto XVI, grande teologo ma anche saggio pastore e sommo catechista.

L’inganno della mente

Cultura nichilista, relativista, biotecnologica formano una corrosiva miscela di pensiero che pervade tutta la nostra esistenza e soprattutto la mente dei giovani. Appare ancora oggi di grande saggezza quanto Clive S. Lewis affermava nelle «Lettere di Berlicche», in cui il diavolo Berlicche istruisce il nipote Malacoda, anch’esso diavolo custode, preposto alla dannazione di un giovane sulla terra:

“Il tuo giovanotto è stato abituato, fin da ragazzo, ad avere nella testa una dozzina di filosofie irriconciliabili fra di loro, che danzano insieme allegramente. Non considera le dottrine come, in primo luogo, «vere» o «false», ma come «accademiche» o «pratiche», «superate» o «contemporanee», «convenzionali» o «audaci».

Il gergo corrente, non la discussione, è il tuo alleato migliore per tenerlo lontano dalla Chiesa”9. Berlicche suggerisce inoltre di chiamare l’opinione corrente, i giornali, come «la realtà della vita», senza permettere che si chieda che cosa intende dire quando dice «realtà»10. Stia lontano il suo protetto dalla vera scienza, perché questa incoraggerebbe il giovane a pensare alla realtà che non può toccare né vedere. Lo mantenga piuttosto nell’economia e nella sociologia, che gli permette di avere in mano la «realtà della vita».

Bisogna ammettere che oggi spesso ci sembra di vivere in una specie di realtà virtuale, che non corrisponde alla verità e all’evidenza delle cose, ma che viene prodotta dalla cabina di simulazione degli opinionisti e degli operatori dei mass media. Si crea cioè un ologramma che non esiste nella realtà delle cose, ma che è frutto di manipolazione delle persone, degli eventi, della storia. Il Vangelo, invece, non è un prodotto della mente umana ma la decifrazione divina della realtà dell’uomo e del cosmo.

Il Vangelo è il libro della verità, perché Gesù in persona è la Verità tutta intera. È chiaro che il Magistero riproponendo la verità evangelica, la verità rivelata dal Figlio di Dio incarnato, trovi ostacoli non tanto nella comunicazione, quanto piuttosto nell’accoglienza, nella recezione del suo insegnamento, come espressione della verità di Dio sulla nostra esistenza, sulle nostre scelte etiche, sui nostri aneliti di libertà e di gioia.

Anche Giovanni Paolo II era sensibile a questo punto quando diceva: «Ritengo opportuno soffermarmi innanzitutto sul problema della recezione dei documenti dottrinali, che la vostra Congregazione va progressivamente pubblicando, quale organismo prezioso a servizio del mio ministero di Pastore universale. Al riguardo, vi è innanzitutto un problema di assimilazione dei contenuti dei medesimi e di collaborazione nella diffusione e nell’applicazione delle conseguenze pratiche che ne scaturiscono [...].

Ma vi è poi un problema di trasmissione delle verità fondamentali, che questi documenti richiamano, a tutti i fedeli, anzi a tutti gli uomini ed in particolare ai teologi, agli uomini di cultura. Qui la questione si fa più difficile ed esige attenzione e ponderazione. Quanto incide su queste difficoltà di recezione la dinamica dei mezzi di comunicazione di massa? Quanto rileva da situazioni storiche particolari? O quanto semplicemente nasce dalla difficoltà di accogliere le severe esigenze del linguaggio evangelico, che pure ha una forza liberatrice?».11

                                                                            Mons. Angelo Amato
                                                                     (continua)


 1 J. L. Allen Jr., The Word from Rome, 7 aprile 2006, vol. 5 n. 31.
 2 Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 10.
 3 Ib.
 4 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 87.
 5 Cf. Y. Congar, La réception comme réalité ecclésiologique, in «Concilium» 8 (1972) n. 77 p. 51-72.
 6 Cf. P. Gilbert, Nichilisme et christianisme chez quelques philosophes italiens contemporains: E. Severino, S. Natoli et G. Vattimo, in «Nouvelle revue théologique» 121 (1999) p. 254-273.
 7 I. Sanna, L’identità aperta, Queriniana, Brescia 2006, p. 12-13.
 8 Ib. p. 14.
 9 C. S. Lewis, Le lettere di Berlicche, Mondadori, Milano 1957, p. 19-20.
10 Ib. p. 20.
11 Giovanni Paolo II, Discorso all’Assemblea Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, venerdì 18 gennaio 2002, n. 2.                                                                           
 


   
 IMMAGINI:
1  © Elledici / G. Pera / La comunicazione del Vangelo viene ostacolata da molti mass media che distorcono la vita della Chiesa e ignorano la sua storia di santità creando in non pochi fedeli smarrimento e confusione.
 © Umberto Gamba / La perdita del senso della riflessione, soprattutto nelle giovani generazioni, è dovuto alla poca rilevanza che viene data alla lettura e al libro. Un modo per manipolare ancor più e meglio le menti della futura società.
© Andreas Lothar /
Il riferimento continuo al proprio io, l’esaltazione della vanità personale e l’esclusione della riflessione, conducono molti alla disperazione e alla solitudine.
4 Aprire la porta della coscienza mediante la ragione è diventata oggi un’operazione quasi impossibile, essendo l’uomo contemporaneo abituato a vivere di sole suggestioni.


         RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 9  
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