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CONVERSIONI: GIOSUE' CARDUCCI
ATEO MA NON TROPPO
Il 16 febbraio 1907 moriva
a Bologna Giosuè Carducci, nome che tutti ricordiamo come
legato alle esperienze letterarie delle scuole medie. Riuscire
a non conoscere la nebbia agli irti colli o i bei cipressetti
di San Guido è davvero unimpresa. Almeno per riconoscenza
verso le sue belle poesie, che tanta parte hanno avuto nella
formazione scolastica di generazioni di studenti, è bene
ricordare il fiero, sdegnoso, retorico, roboante, libero pensatore,
massone e a suo modo credente professore.
La sua inventiva è molte
volte raffinata ed elegante, tante altre terribilmente ordinaria
e perfin volgare: sempre, in ogni caso, torrenziale. I pesanti
lutti familiari che gli sconvolsero lesistenza segnarono
anche il
carattere, di natura già riservato e ombroso. Soffrì
molto, studiò con passione, insegnò con estrema
dedizione e competenza, non seppe opporsi e tanto meno liberarsi
dal giogo del bere.
Nacque a Valdicastello, frazione di Pietrasanta, in Versilia,
il 27 luglio 1835; per curiosità, un mese e mezzo prima,
il 2 giugno, nasceva a Riese (Treviso) Giuseppe Sarto, tuttaltro
genere di personaggio, che sarebbe poi diventato San Pio X.
Il padre di Giosuè (così
si chiamò al battesimo), Michele, era medico condotto
e la madre, Ildegonda Celli, donna generosa e credente, seguiva
il marito nei suoi trasferimenti da una condotta allaltra.
Giosuè studiò a Firenze dai Padri Scolopi, e poi
a Pisa, dove nel 1856 si laureò in lettere. Nel 1857 era
morto di morte violenta lamato fratello Dante, in circostanze
oscure, nel corso di una lite con il padre; e lanno dopo
moriva anche il padre, qualcuno dice suicida, in disperata solitudine,
per cui su Giosuè ricadde il sostentamento della madre
e del fratello minore Valfredo. Nel 1859 si sposò con
Elvira Menicucci, dalla quale ebbe quattro figli: Dante (morto
a tre anni nel 1870, il famosissimo bambino dellalbero
a cui tendevi/la pargoletta mano), Beatrice, Laura e Libertà
(la nota Tittì di Davanti a San Guido).
Nel 1860 ebbe la cattedra di
letteratura italiana a Bologna, dove insegnerà per ben
42 anni. La sua vita di professore, oltre che dallinsegnamento
e dalla poesia, fu animata da alcuni amori, ad esempio con Annie
Vivanti, ma, soprattutto, con Carolina Piva, moglie di un ufficiale.
Nel 1906 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura.
Prima massone
Tra le sue scelte politiche
e sociali (tutto sommato abbastanza limitate) campeggia quella
della massoneria. Quando vi entrò, mutò il nome
di Giosuè in quello di Giosue. Tra le sue caratteristiche
umane, quella di essere un buon padre, un buon nonno, un mediocre
marito e un amante senza condizioni del vino.
Per lui il vino fu qualcosa
di simbolico, quasi di sacro, legato anche allantichità
classica, da lui tanto amata. In quei tempi remoti il vino si
libava per celebrare gli dèi, per onorare i morti, per
consacrare i patti e i giuramenti. In tante poesie egli esalta
il vino simbolo del soprannaturale, ovviamente pagano.
Nonostante questo non è
da pensare ad un Carducci ateo, cinico e neppure anticlericale.
Il sottoscritto ha raccolto notizie dalla gentile prof.ssa Giuseppina
Marcheselli, bolognese, oggi avanti negli anni, le cui ricerche
letterarie sono molto preziose. Da perfetto massone, Carducci
celebrava con enfasi il 20 settembre. I Marcheselli, nonni della
professoressa, che abitavano poco distante dalla casa del Carducci,
avevano in casa un domestico, tal Domenico, che una sera vide
il Poeta barcollare, sopraffatto da una abbondante bevuta: professore,
vuole che lo accompagni? Azzardò Domenico in bolognese.
E lo sorresse fino a casa sua.
Raccontava poi emozionato che
il professore lo aveva guardato con una luce speciale negli occhi:
grazie, bravuomo!. A 50 anni ebbe un primo
lieve ictus, a 55 si innamorò della Vivanti e a 63 un
altro ictus lo rese più invalido. È del 1891 lepisodio
della sua benevolenza verso un gruppo di studenti monarchici.
Gli studenti repubblicani lo fischiarono e ingiuriarono e gli
fracassarono la cattedra.
Poi scopre
la fede
In seguito si recò a
Genova, ove rese omaggio a Giuseppe Verdi e, guardando il mare,
disse io credo in Dio. Nel 1897 scrisse La chiesa di Polenta,
in occasione di una visita alla chiesa di San Donato in Polenta,
poi dichiarata monumento nazionale.
Fu una certa contessa Pasolini
che lo condusse in quella chiesa, e lui accettò, contro
il parere negativo del Gran Maestro della massoneria bolognese.
Per di più la poesia termina con una commossa preghiera
alla Madonna, della quale il Poeta fu sempre devoto.
Ave Maria!
Quando su laure corre
lumil saluto, i piccioli mortali
scovrono il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia
passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?
Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quïete,
una soave volontà di pianto
lanime invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo l tramonto ne lazzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave Maria.
Nella poesia Ideale, la prima
delle Odi Barbare, comincia col lodare la dea Ebe (la giovinezza)
e finisce con le lodi alla Madonna, la dolce fanciulla di Iesse
/ coronata di faville doro. E quando accompagnava le bambine
a scuola dalle suore, al ritorno si fermava dinnanzi alla chiesa
del convento e sostava davanti alleffigie della Madonna
sotto
la croce di Cristo.
Qualcuno sarcasticamente gli
chiese: prega, professore? Rispetto il dolore di una madre che
ha visto morire il figlio, fu la risposta. Numerose sono le altre
poesie nelle quali si avverte il desiderio di Dio. In una lettera
scovata dalla prof. Marcheselli il Poeta afferma: a Dio voglio
credere sempre più. Il cristianesimo cerco dintenderlo
storicamente. Al cattolicesimo sento impossibile ravvicinarmi
con intelletto damore, ma rispetto i cattolici buoni (bontà
sua!).
Basta ricordare la poesia dedicata
alla Basilica di SantAntonio in Padova e quella, ancor
più densa di spiritualità, dedicata a San Francesco,
prendendo come spunto la Basilica di Santa Maria degli Angeli
in Assisi. Quando, cento anni fa, fu colto da apoplessia, il
nipote Manlio, fervente massone, probabile figlio del fratello
minore Valfredo, faceva la guardia allingresso della casa
perché non entrasse il prete; ma la moglie Elvira riuscì
a farlo entrare attraverso un passaggio segreto, cosicché
il Poeta morì con i sacramenti.
Lultima figlia, Libertà,
nota come la Tittì, morì alla fine degli anni 60.
Merita questo nostro poeta di essere ricordato. Fu un ingenuo?
La famosa ode Inno a satana farebbe rispondere affermativamente.
Fu un autentico maestro dei valori veri della vita? Senza dubbio.
Lo dimostra, negli errori e nei successi, il suo inesausto amore
alla vita e la sua costante ricerca della verità.
Franco Careglio
IMMAGINI:
1 La chiesa di San Donato
in Polenta che ispirò il Carducci nel comporre la sua
ode alla Vergine.
2 Giosuè Carducci
aderì alla Massoneria senza però esprimere quei
toni anticlericali e atei che caratterizzano tanti massoni italiani.
Il poeta, interessato al vino e ai piaceri, non rifiutò
la fede, vedeva piuttosto nei tempi pagani, il compimento delle
idee di libertà e di bellezza che i suoi tempi non gli
davano.
3 Il poeta Giosuè Carducci
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2007 - 11
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