TESTIMONIANZA:
ABBANDONATI A NOI STESSI

Quest’anno, si vorrebbe parlare della famiglia! Ma come faccio a parlare della famiglia se sono ancora sotto lo choc ricevuto qualche settimana fa? Sono molti i giovani che giungono qui alla Casa della Povera Gente. Sono di ispirazione cattolica, fanno parte di gruppi apertamente cristiani, partecipano alla Santa Messa regolarmente. Fino qui, tutto bene.

Dove sta il trauma, allora, direte voi? Beh, io sono stata così scioccata da chiedermi se serve ancora a qualche cosa riceverli, pregare insieme, annunziare la buona notizia di Gesù, compagno ed amore nostro, Salvatore mio e nostro, che rimane ogni giorno con noi sotto la forma del pane e del vino e ci invita ad essere anche noi figli del Padre!

Il problema educativo

Come mai, tanto pessimismo, direte voi. Il compito del cristiano non è anzitutto quello di conservare un po’ di ottimismo poiché Cristo è risorto? È vero. Tutto questo è vero. Ma rimane un problema di fondo. Un problema educativo. Di trasmissione della fede e di ciò che comporta l’essere cristiani.

Non si tratta di giudizi, né di pregiudizi. Ma ho il cuore affranto. Spaccato. Devo dire che non ci capisco più niente. Forse sono ormai troppo vecchia per capire i giovani oppure con la mia testa sono rimasta indietro, forse alla bella età che non ci fu mai, o forse esagero tanto da potermi raffigurare come una talebana, terrorista in nome di un Dio che dovrebbe essere tutto e solo amore.

Mi spiego: come sempre c’è qualcuno che mi chiede di potere parlare a quattro occhi ad un certo momento della permanenza qui da noi. Io ascolto attentamente e amorosamente, cosciente dell’onore che mi fa il Signore di mandarmi i suoi figli, a svelare alla peccatrice che sono i segreti della loro anima e della loro vita e spesse volte aspettano anche da me qualche consiglio.

Il problema sta proprio qui.

Se una ragazza di 19 anni, mi dice, di essere già unita al suo ragazzo della stessa età o quasi, come sono marito e moglie, e alla mia domanda:

“Vuoi sposarlo?”, mi risponde: “Oh! No! Che ne so io se mi piacerà ancora fra 3 anni!”.

Beh, io non so più cosa dire, soprattutto se mi dice subito dopo che si è confessata e che il frate le ha consigliato di non drammatizzare e che è normale che due che si piacciono vivano come marito e moglie!

Io rimango di stucco perché penso al sacerdote e chi sono io per dire una cosa diversa da quella che ha detto un prete! Ma capite che qui c’è qualcosa che non funziona, anche perché, fino a prova contraria, mi pare che Santa Madre Chiesa abbia insegnato e continui ad insegnare ben altre cose! Il fidanzamento è una cosa e il matrimonio un’altra e poi come si fa a costruire un futuro senza l’impegno di una fedeltà? Che storia è questa del “se mi piace” o del “se non mi piace più”? Una persona non è un vestito o un soprammobile!

Comportarsi così, porta naturalmente ad esporsi al pericolo di una gravidanza che in queste circostanze è più che non gradita. E può essere anche una catastrofe per due giovani che giocano con il loro corpo. Ma questo non ha più nulla a che vedere con l’amore. Questo è solo usare del proprio corpo e di quello altrui.

Allora arrivano ad trasformarsi in assassini di una vita innocente? Ma come è possibile agire in questo modo e poi andare tranquillamente a Messa e fare la Santa Comunione?

Cercare di guarire

Vi devo confessare che sono entrata in un abisso di sofferenze. Non ho vergogna a dirlo! Non ho niente altro da offrire al Signore che me stessa. Certo offro Gesù in croce, al Padre, per redimere i peccati e mandare luce al suo popolo. Ma non può durare così a lungo! Saremmo schiacciati da un enorme malore se continuiamo così! Non è più possibile reagire? Forse non è ancora troppo tardi.

Tutto attorno a noi canta la licenza e il lasciar fare! Tutto parla di sesso, di trasgressione, per impiegare una parola che dice bene la radice del male profondo dell’uomo! Si gioisce nella misura in cui si trasgrediscono i Comandamenti!

         Un’altra storia.

Ogni giorno incontro una ragazza che sembra essere del tutto normale; ma appena le chiesi se avesse per caso visto il film I dieci comandamenti di un famoso regista polacco, mi ha risposto seccamente che a lei non piacevano i Comandamenti, credendo che avesse frainteso la mia domanda, cercai di spiegarle che si trattava dei Comandamenti che riguardavano la violenza, il mentire, il rubare e così via, e sapete quale straordinaria risposta mi è giunta alle orecchie?:

“Tutti rubano, perché io non dovrei rubare? Tutti mentono, perché non dovrei mentire?”. Sono uscita dalla sua bottega stordita ma ridendo ho risposto alle sue domande: “Tu sei libera di agire come vuoi, io non voglio né rubare né uccidere né mentire”, e così ho salvato la mia vecchia faccia davanti al disprezzo di quella ragazza che si crede più che moderna a comportarsi così.

Però mi chiedo: in quale mondo viviamo?

La risposta di quella ragazza era quasi giusta! La menzogna è presente nel commercio, si ruba allo Stato o al vicino, non si paga l’operaio o si lavora così male che la paga che si prende non è meritata. Tutto questo è moneta corrente: l’assassinio dei bimbi commessi da madri che tradiscono la loro vocazione naturale o l’opera dei mafiosi, lo smercio continuo di droga e la sua assunzione per sopravvivere ad un mondo che accelera sempre più ma non sa dove va.

E noi cristiani, che vogliamo annunziare un mondo di pace e di rispetto per tutti, come facciamo a comunicare con gente che la pensa così e pratica ciò che vede fare dai più? È il modo di pensare che è malato. E dalle malattie o si guarisce o si muore.

Mi viene in mente questa parola del salmo 80:

Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire;
Israele se tu mi ascoltassi!
Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce.
L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore,
che seguisse il proprio consiglio.

Ecco, è forse giunto il tempo in cui siamo abbandonati al nostro proprio consiglio? All’illusione della nostra superbia?
                                                                               
Maddalena di Spello


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Il fidanzamento è il tempo dell’avvicinamento e della conoscenza al mistero dell’altro e non può essere ancora il tempo della condivisione totale e concreta della sua progettualità di vita.
2  © Dimensioni Archivio /
La gioia dell’attesa alimenta la speranza e conduce ad una migliore conoscenza dell’altro e di sé, mediante la padronanza di se stessi.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 5
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