FEDE E MUSICA:
MUSICA E CANTO
COME ESPRESSIONE DI FEDE 


Le origini religiose del melodramma

Come si è detto nel numero scorso, il contesto nel quale nasce il canto è quello liturgico, fin dai tempi più remoti. Per “liturgico” si intende quel clima in cui parole, gesti e scelte sono ispirati dal senso della presenza divina.

Quindi, evocare le origini del teatro lirico vuole dire riportarsi alle prime esperienze delle tragedie greche, in cui dèi e uomini si muovevano in piena simmetria di passioni, di ascese e di cadute. Omero ben dimostra come gli dèi si pieghino, talvolta, all’arroganza umana, e gli uomini da parte loro finiscano sempre con il piegare il capo alla supremazia di questi esseri tanto celesti quanto antropomorfi. Non esiste religione, per quanto primitiva, che non si manifesti con una configurazione musicale, cantata, danzata e mimata in cui dèi ed eroi appaiono secondo l’immagine convenuta mimando al suono degli strumenti il ricordo delle gesta che li hanno resi celebri.

Di qui l’eccessivo antropomorfismo dei numi pagani, la cui caduta, oltre che alla forza della Rivelazione che irrompe nella storia, può anche essere addebitata alla loro totale sottomissione alle passioni. Gli dèi non si sottraggono alla ferrea volontà oscura dell’ananke greca, cioè il “fato”, che non teme la loro forza e li opprime e distrugge con il suo impenetrabile volere.

Le grandi leggende della tragedia greca sono esempio eloquente della fragilità di fondo degli dèi, e se le prime opere nel senso moderno del termine hanno portato sulla scena la storia di Orfeo e di Euridice, questo non è avvenuto per filiazione diretta dell’ellenismo, ma per l’eredità dell’Umanesimo, preoccupato di ricoprire, con una matrice illustre, ciò che proveniva da ambiente pagano.

Di qui si deduce che all’origine del melodramma vi è sì la tragedia pagana, nella quale non mancano suoni e cori; ma il passaggio al melodramma avviene grazie alla celebrazione – sia pure teatrale e ugualmente sgangherata – del mistero divino della Rivelazione e della Redenzione, svolta sulla base delle note del Quem queritis pasquale.

Prima però di considerare quelle opere dalle quali, in modo inequivocabile, emerge l’elemento religioso – pagano prima e cristiano dopo, perciò fonte genuina del melodramma – è opportuno esaminare il luogo dal quale il melodramma muove i suoi primi e certo vaghi passi: l’ambiente e la cultura monastica. Infatti al centro dell’attività culturale medioevale si colloca indiscutibilmente l’Ordine di San Benedetto, e, nell’àmbito della sua vasta organizzazione, quella di Cluny è senza dubbio la più attiva di tutte.

È nel canto che il Medioevo, così attento a scoprire i virtuali spunti di sviluppo, troverà, sia pur tardivamente, il punto d’inserzione che gli occorre per creare il nuovo genere, quello che dopo quattro secoli diverrà il melodramma dell’epoca moderna. Poiché, com’è noto, il Medioevo non crea mai ex-nihilo: non fa altro che svolgere e trasformare, ma con tale virtuosismo da risultare un creatore immenso.

Ma già nel X secolo prende forma, a poco a poco, quello che diventerà il nostro teatro lirico; e la preistoria degli elementi destinati a costituirlo ha inizio molto tempo prima, addirittura nel secolo III, con una famosa frase in lingua greca, Iesous Christos Theou Uios Soter (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore), che forma a sua volta l’acrostico Ichtus (pesce), simbolo dei primi cristiani.

La frase, piamente raccolta da Sant’Agostino nel trattato De Civitate Dei, viene così a far parte del patrimonio letterario del grande Dottore della Chiesa. I suoi scritti sono frequentissimi nelle letture liturgiche, e sovente vengono anche cantati; la frase suddetta è talmente affascinante che non di rado, nei cori dei monaci, viene lasciata alla voce di un cantore solista, il quale diventa in qualche modo anche “attore”, cantando la profezia e gesticolando.

A Limoges, verso la fine del secolo XI, i monaci hanno l’idea feconda di aggiungere, all’inizio della celebrazione corale, una parabola evangelica di carattere profetico, sull’argomento medesimo della venuta di Cristo. Proprio nell’abbazia di San Marziale, a Limoges, si trova un manoscritto che può considerarsi il primo lavoro del teatro lirico (1099). Si tratta della sceneggiatura, interamente cantata, metà in latino metà in dialetto limosino, della parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte. L’angelo Gabriele canta un prologo moraleggiante, poi le vergini stolte si addormentano e quando si svegliano esprimono col canto, in strofe appassionate, il loro sgomento, supplicando le vergini sagge. Queste rispondono di andare dal mercante, e nel frattempo giunge il Cristo. Le vergini stolte finalmente si presentano, ma è ormai tardi.

ll Cristo pronuncia cantando la maledizione e, dice il manoscritto, tunc accipient eas demones et precipitentur in infernum. Da questo straordinario documento, che nella liturgia monastica viene collocato tra le preghiere mattutine, ha inizio una torrenziale quantità di “misteri” cantati, ispirati ciascuno ad un racconto biblico o ad una verità della fede. Estremamente prolifica in questo settore è la Francia: e ovviamente menti eccelse del calibro di San Bernardo di Clairvaux (1091-1153) danno il loro contributo.

Dal mystère si passa al miracle, composizione anch’essa di carattere sacro che tende a staccarsi dal contesto liturgico, fino a diventare una rappresentazione a sé stante, la moralité. La parte della musica, e naturalmente della voce, non conosce più limiti: diviene elemento mistico, pittoresco, simbolico, e in ogni caso indispensabile ancella del dramma. Indispensabile sì, ma, questa è la novità, con la funzione di ancella: il suo ruolo è quello della musica di scena e non costituisce più un supporto necessario, liturgico o meno.

Dal secolo XVI l’azione sacra diventa tragico-sacra, e la nascita del madrigale (genere rappresentativo della musica profana) e del mottetto (genere musicale di carattere sacro) sono suggellati dai grandi nomi di Pierluigi da Palestrina (1525-1594) , Orlando di Lasso (1532-1594) fino a giungere al massimo compositore di quei due secoli e padre del melodramma, Claudio Monteverdi (1567-1643). Dal suo prodigioso Vespro della Beata Vergine (1610), stupenda celebrazione musicale in onore di Maria, Monteverdi approda all’opera teatrale con Orfeo (1607), cui fanno seguito i fondamenti del teatro lirico, Il ritorno di Ulisse in patria (1641) e L’incoronazione di Poppea (1642).

Espressioni religiose moderne

Al termine di questo sguardo sull’origine religiosa del melodramma è utile un riferimento, che attesti quanto l’opera lirica sia rimasta profondamente animata proprio dal sentimento divino. Il patrimonio musicale italiano è certo quello più ricco, in Europa; ma pure quello francese contiene pagine insigni per orchestra e voci, di bellezza veramente superiore, e ovviamente immortali.

Entrambe, Italia e Francia, e forse più ancora la seconda, affrontano con straordinaria attenzione il tema religioso. Le pagine francesi sono talmente ricche e vaste da richiedere uno sguardo apposito, che, magari, potrà trovare spazio in una prossima puntata. Le pagine italiane acquistano un tono meno filosofico e più popolare, ma raggiungono ugualmente, con assoluta e liberatoria precisione, il cuore dell’uomo.

Uno degli innumerevoli esempi si trova in Gaetano Donizetti, nell’opera L’assedio di Calais (Napoli, 1836), dove amore patrio, affetti familiari, eroismo e fiducia in Dio si uniscono in un’unica elegia di amore. Al termine del secondo atto, i francesi sconfitti e umiliati dagli inglesi – siamo nel 1347, piena Guerra dei Cento Anni – si rivolgono fiduciosi all’onnipotenza divina, certi che il loro sacrificio non resterà senza premio celeste:

Oh Tu che scerni
ogni pensiero,
fonte di vita, luce del vero,
a questi martiri del patrio zelo
le immense volte apri del cielo.
Sol fia per loro premio condegno
seder fra gli angeli,
dappresso a Te.

La modestia di questi versi, che possono persino riuscire ridicoli, non ha bisogno di sottolineature. Possono però, con l’armonia delicatissima di cui sono rivestiti, aiutarci a riflettere su di una verità: fin tanto che non avremo la città della pace, nella quale nessun antagonismo sarà più risolto con la forza, ma soltanto con l’amore tra gli uomini, noi saremo sempre in cammino. Fino a quando cioè non coesisteranno, su questa terra, il Regno di Dio e il Regno dell’uomo, che si intersecano a vicenda in una sola armonia di pace.
                                                                        
Franco Careglio OFM


IMMAGINI:
1  
Il canto cristiano è l’espressione della gioia per la salvezza che Dio offre all’uomo.
2-3  Dai testi liturgici, nel Medioevo si sviluppa il melodramma grazie anche al contributo di maestri e letterati che allargano il momento celebrativo mediante piccole introduzioni che riprendono i testi evangelici e li elaborano in forma spettacolare.
4-5  Claudio Monteverdi (1567-1643) e Orlando di Lasso (1532-1594).
6-7  Gaetano Donizetti (1797-1848) e Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594). 
8  
La rappresentazione della Passione è sempre stata una delle occasioni preferite dal popolo cristiano per manifestare la propria fede.


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 5
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