CARD.JOSEPH ZEN:
IL CARDINALE D'ORIENTE

Joseph Zen, salesiano, nominato recentemente dal Papa, Cardinale di Santa Madre Chiesa, ricorda la sua gioventù e le sue prime esperienze salesiane, sotto lo sguardo amorevole di un eccezionale figlio di Don Bosco: don Carlo Braga.

Sono nato a Shanghai. Avevo 12 anni quando finii le medie. Si era nel 1944 e ci trovavamo nel pieno dell’occupazione giapponese. Mio padre era semiparalizzato e noi eravamo in cinque fratelli, mentre la città era in un momento di estrema difficoltà economica, per il perdurare di una guerra iniziata nel 1937. Quando papà era sano ed efficiente, mi portava ogni mattina a Messa e, alla domenica, a cinque Messe. Era un cristiano che aveva preso la fede sul serio, ma non era gretto, né bigotto.

Alla scuola elementare ero il capo dei chierichetti della mia parrocchia. Mio padre si era convertito quando frequentava il liceo. Voleva diventare sacerdote, ma il missionario che lo aveva battezzato gli disse:

«Tu sposati. Manderai poi tuo figlio a farsi prete».

Mio padre aveva un carattere estroverso, era simpatico e gli pareva che io fossi il figlio adatto per avverare le parole del missionario. Anzi, vedeva che io ero molto portato alle cose di chiesa ed ero un chierichetto esemplare. Mia madre, invece, non era per nulla entusiasta, perché ero il primo maschio, e si sa che in Cina il primogenito è quello destinato a perpetuare la discendenza. Nel 1944 le cose però erano notevolmente cambiate.

A causa dell’assenza di mio padre, inchiodato nel suo seggiolone, e dei compagni che avevo trovato nella scuola media, non ero più il bravo angioletto di un tempo. Mio padre continuava a pregare sul suo seggiolone, non potendo fare di più, e mia madre era disperata. Con un marito bloccato dalla paralisi e con cinque figli da mantenere in tempo di guerra, aveva anche il primogenito che iniziava ad andare per traverso.

Ma per disposizione della Provvidenza, una compagna di liceo di mia madre aperse uno spiraglio di speranza. Suggerì a mia madre di mandarmi dove già aveva collocato un suo figliolo, cioè nell’aspirantato dei Salesiani. Mia madre tuttavia non fu entusiasta di quel suggerimento, perché non vedeva in me a quel punto, nessuna stoffa. A conti fatti però, piuttosto che perdermi del tutto, pensò che fosse meglio regalarmi ai preti.

I Salesiani chi erano? Mia madre non li conosceva. Del resto, pochi nella città di Shanghai, così vasta, conoscevano i Salesiani. Erano gli ultimi arrivati, tra i missionari, e avevano sede fuori città nel sobborgo di Nandao. Io, però, li conoscevo. I Salesiani avevano inventato un modo efficace e simpatico per farsi conoscere. Allestivano delle splendide operette e invitavano la gente ad assistere agli spettacoli.

L’ingresso era gratuito e tutti andavano volentieri. Insomma i Salesiani si facevano una discreta propaganda. La grande sede, che tutti chiamavano «casa rossa», per il colore con cui era stata dipinta, era un’enorme costruzione che ospitava gli studenti di teologia, di filosofia, i novizi, e molti aspiranti: si viveva però in estrema povertà. Ma nella casa salesiana c’era tanta allegria. Erano preti simpatici, e avevano creato un ambiente allegro e gioioso.

Una merce mal venduta

Un giorno mia madre mi chiamò, mi disse, sospirando: «Andiamo a vedere se i Salesiani ti prendono». Ricorda che risposi: «Ma certo, perché no». Arrivammo mentre si celebrava la Messa solenne, con un nugolo di chierichetti, i canti tanto belli e di così perfetta esecuzione che neppure nella nostra parrocchia, che pure era una delle più importanti della città, si erano mai sentiti.

Finita la Messa, Don Braga ci riceve nel suo studio, che era tanto piccolo e modesto da sembrare più un bugigattolo che una sala di ricevimento. Don Braga era rimasto bloccato a Shanghai dalla guerra e tutto faceva capo a lui. Anche l’accettazione degli aspiranti era lui a farla. Noi eravamo lì, in piedi, e lui era seduto. Dietro di lui, in piedi, c’era un prete magro alto, un austriaco, che era l’incaricato degli aspiranti. Mia madre si sedette davanti a lui. Io restai in piedi. Mia madre iniziò a parlare. Invece di perorare la sua causa e vendere al meglio la sua merce, iniziò a mettere in guardia il suo cliente:

«Guardi, padre, questo ragazzino non è più tanto bravo. Forse non è adatto per essere accettato qui. Io non vorrei che lei fosse ingannato. Ah, sapesse quanto mi ha fatto disperare in quest’ultimo anno! Non so proprio cosa fare. E se farà disperare anche voi qui, me lo dica pure, che io verrò a riprenderlo subito».

Don Braga diceva che di cinese sapeva tre dialetti: ma li parla tutti e tre insieme. Certamente lo shanghaiese non era il suo forte. Il prete alto e magro gli faceva da interprete. Don Braga, invece di rispondere mi guardava negli occhi. Io pure lo guardavo, ma a testa bassa. Mi sentivo imputato, anziché difeso dal mio avvocato. Ma il giudice era dalla mia parte. Con lo sguardo mi ha profondamente capito subito e meglio di tutte le spiegazioni di mia madre. E da quel giorno non ebbi più dubbi sulla mia vocazione. Non solo mi aveva accettato, ma disse a mia madre di prepararmi il corredo e di riportarmi presto all’aspirantato.

In aspirantato il pasto non si saltava mai. Ma in compenso spesso ci si alzava ancora con tanta fame. Tutta la vita era molto disciplinata eppure quanta allegria! E quale il segreto? Penso che fosse quello stesso di Valdocco dei primi tempi: la pietà, lo spirito di famiglia, e l’amorevolezza.
C’era la guerra e naturalmente, non mancavano i bombardamenti. Non avevamo rifugi. Al suono delle sirene noi tutti, aspiranti, chierici e superiori, andavamo nel teatro a pian terreno. Non è che là fossimo protetti, ma se c’era da morire, almeno si moriva insieme.

Don Bosco in Cina

In Cina si usa festeggiare il nuovo anno del calendario lunare. È la più grande festa popolare dell’anno. Molta gente, allora, lavorava tutta la settimana, domenica compresa, perché in Cina si celebravano solo le feste del calendario e non c’erano le domeniche. Ma quando arrivava l’anno nuovo era tutta una festa comune. Alla vigilia del capodanno le famiglie si radunavano per il cenone. Anche noi aspiranti usavamo fare il cenone all’aspirantato e passarvi il primo dell’anno in allegria. Il giorno dopo si andava in famiglia a fare gli auguri ai genitori, ai parenti, agli amici. Questa è una tradizione tra le più sentite da noi, in Cina, e delle più attese.

L’ultimo anno di guerra a Shanghai si era al lumicino, in quanto a vettovaglie e anche nella nostra casa si sopravviveva come si poteva. Perciò alcuni Salesiani avevano proposto al Direttore di lasciar partire tutti per fare il capodanno a casa nostra, in modo da fare il rituale cenone con qualche cosa sotto i denti. Ma il Direttore si oppose energicamente «Gente di poca fede», disse, «vi prometto che faremo il più lauto cenone di tutti questi anni». E così avvenne. Come abbia fatto ad intendersela così bene con la Provvidenza nessuno lo seppe mai.

Nel 1948 entrai nel noviziato e a predicarci il ritiro venne Don Braga in persona. Le sue prediche ci piacevano moltissimo, perché ricche di vita, di esperienze salesiane e soprattutto di aneddoti su Don Bosco. Ciò che più colpiva era il modo in cui ci guardava, uno per uno, e il modo come ci sorrideva. Quando Don Braga ci parlava noi eravamo presi non solo dai pensieri semplici che diceva, ma anche dal fatto che in lui traspariva tutto lo spirito di Don Bosco, tutto il suo caratteristico entusiasmo e tutto l’amore che portava alla Cina e a ciascuno di noi.

                                                                Card. Giuseppe Zen


C’è molto da lavorare

Nella famiglia salesiana il futuro Vescovo di Hong Kong ha emesso la prima professione il 16 agosto 1949 e quella perpetua il 16 agosto 1955.
Ha studiato in Italia, alla Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo Salesiano a Torino Crocetta, quindi a Roma. Ordinato sacerdote a Torino l’11 febbraio 1961, ha respirato l’aria del Concilio prima di far ritorno ad Hong Kong nel 1964.
Dal suo rientro, è stato insegnante allo studentato salesiano di Hong Kong e al Seminario diocesano «Holy Spirit». Per sei anni è stato Superiore Provinciale dei Salesiani per la Cina.

Dal 1989 al 1996, ha insegnato filosofia e teologia sacramentaria in alcuni Seminari cinesi, tra cui quello di Sheshan, alla periferia di Shanghai.
Il 13 settembre 1996, un anno prima del ritorno di Hong Kong alla Cina, è stato nominato da Giovanni Paolo II, Coadiutore della Diocesi di Hong Kong ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 9 dicembre. Il 23 settembre 2002 è succeduto per coadiuzione.

A conclusione dell’udienza generale di mercoledì 22 febbraio 2006, Papa Benedetto XVI ha annunciato l’intenzione di elevarlo alla dignità cardinalizia. Egli ha così commentato: «Questa nomina è un segno di benevolenza e di affetto del Papa per tutta la Cina. E se io accetto, l’accetto per tutta la Cina. Ho ormai quasi 75 anni e pensavo di andare in pensione. Adesso non so cosa mi accadrà. Staremo agli ordini ed obbediremo. Forse il Papa avrà bisogno ogni tanto di qualche consiglio. Sulla Cina ci sarà molto da lavorare».

Da Benedetto XVI è stato creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 24 marzo 2006, con il Titolo di Santa Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca.


IMMAGINI:
1  Il Cardinale salesiano, Joseph Zen ha conosciuto i figli di Don Bosco a Shanghai, iniziando a frequentare l’Oratorio dove si tenevano delle splendide operette che intrattenevano i giovani della città.
2   Per i cinesi cattolici, Joseph Zen è oggi uno dei punti di riferimento più alti per il mantenimento della loro libertà e identità. 
 Don Joseph Zen (a destra) venne consacrato sacerdote a Torino nel 1961. Alla sua sinistra, don Carlo Braga che lo accolse nell’Istituto salesiano di Shanghai.
 Il 24 marzo 2006, Benedetto XVI ha creato Cardinale di Santa Romana Chiesa, Joseph Zen quale segno di affetto e benevolenza del Papa per tutta la Cina.


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 6
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