FEDE E MUSICA:
MOZART, L'INAFFERRABILE

Immortale Mozart,
ti devo tutto!
Ti ringrazio per
avermi impedito di morire
senza avere amato.

                  
Kierkegaard


L’entusiasmo per le conquiste scientifiche, che ormai non conoscono più limite, sembra avere fatto scomparire dalla mente umana una dote preziosa: lo stupore. Questa dote dell’intelligenza umana è strettamente collegata alla fede. Non si tratta, infatti, di quello “stupore... lo qual nelli alti cuor tosto s’attuta” (Purgatorio, XXVI, 71-72), espressione cioè di rozzezza, che subito nei cuori sensibili si attenua perché seguito dalla riflessione, ma di quella sensazione di mistero, di dolcezza e di coinvolgimento dell’anima che rende la mente e il cuore sempre più attenti e generosi.

Il sapersi e il lasciarsi stupire appaiono veramente, oggi, come arcaismi. Si ha tutto: con un pulsante, si raggiunge qualunque distanza, si compiono le cose più belle, si consumano – ahimè – anche le azioni più orrende. Perché allora, stupirsi? e di che cosa, ormai? del sole che sorge? del sorriso di un bambino? della delicatezza di un’armonia? Proprio l’armonia di superiore luminosità e bellezza di Mozart può riconsegnare la mente umana, appesantita dal rigore della scienza, ad uno stato di aurora che imbianca le tenebre di tante catastrofiche sicurezze.

Un Uomo venuto dall’eternità disse che se non si diventerà come bambini non si prenderà parte al convito della sua stessa eternità. Perciò, qual è il più bel complimento che si possa rivolgere ad un adulto, magari in possesso di gradi accademici e capace di fare tante cose? Quello di avere un cuore da bambino. Vuol dire che la vita non è ancora riuscita a corromperlo. Quando io ascolto la musica di Mozart e non mi adombro perché trattato come un bambino, vuol dire davvero che la vita, con tutte le sue bellezze, le sue meraviglie, le sue scoperte, i suoi raggiri, le sue farse, non mi ha ancora derubato della mia umanità.

L’incanto delle forme umili

Con le sue melodie, Mozart non presenta un messaggio fantastico e pur attraente come il Romanticismo, non calca il pedale sulla passionalità come il Verismo. Il suo messaggio di saggezza e di bontà è avvolto nelle forme umili, talora farsesche, di una fiaba popolare, in cui il buono vince e il cattivo perde. Nessuna traccia di affanno, di forzatura dell’espressione, di deliberata platealità: un messaggio, offerto con i mezzi più semplici che esistano, di pace, di fraternità, di riconciliazione.

Con la musica di Mozart l’uomo ridiventa fratello dell’uomo, Caino ritorna Abele, la natura riacquista splendore, il navigatore che ha percorso molti mari ne vede di nuovi.
La forza di Mozart è quella di dire cose altissime senza alzare la voce. È quella di ragionare dei destini dell’uomo, anche in tono pagano, attraverso canzoncine in apparenza infantili. È quella di proporre le verità ultime, gigantesche, cosmiche, attraverso i canoni, ancora all’aspetto puerili, del disastro dei cattivi e del trionfo dei buoni. L’estrema semplicità coincide con l’estrema difficoltà: Mozart, perché incredibilmente semplice, è altrettanto difficile da intendere e da rappresentare.

Ammirato dalle Corti

Wolfgang Amadeus Mozart nacque a Salisburgo il 27 gennaio 1756 da Leopold, maestro di cappella presso la corte dell’arcivescovo principe della nobile e sonnacchiosa città austriaca, e da Anna Maria Pertl, donna di estrazione e cultura molto modeste. Leopold, mediocre compositore, era apprezzato come insegnante.

Wolfgang rivelò subito prodigiose e forse mai viste doti musicali: a sei anni suonava il pianoforte e componeva. Mettendo a frutto le capacità del figlio, i Mozart intrapresero un giro concertistico per l’Europa, destando ovunque ammirazione ed entusiasmo. L’imperatrice Maria Teresa d’Austria invitò il fanciullo prodigio ad esibirsi in presenza della famiglia imperiale, e la piccola Maria Antonietta (futura regina di Francia) ne rimase ammirata. A Parigi, il piccolo genio conobbe i maggiori letterati e studiosi del tempo.

A Londra, nientemeno che Bach, maestro di cappella a corte, lo accolse come un collega e suonò con lui (1764). Insomma, Wolfgang è un tassello di validità insuperata nel variegato mosaico di quel guazzabuglio di intelligenze fulgide, di fermenti sanguinari, di lampi di genialità e di frivolezze che va sotto il nome di “secolo dei lumi”, del quale, molto probabilmente, incarna il suono aprendo la porta a quella che è l’epoca moderna.

A soli undici anni cominciarono le sue composizioni, a cascata, che soltanto la morte poté arrestare. Esse sono 626 – una mole di lavoro impressionante, realizzata in 36 anni! – secondo la catalogazione del musicologo Ludwig Kochel (1800-1877), massimo studioso di Mozart. Proprio dal nome del Kochel ogni composizione mozartiana è preceduta dalla iniziale K e seguita dal numero di catalogo. Vi sono comprese anche le opere, una quindicina in tutto, che iniziarono con La finta semplice (Salisburgo 1768), opera buffa in tre atti, che suscitò le prime inevitabili invidie nell’ambiente musicale. Chiamato e conteso dalla nobiltà e dalla cultura europea, Mozart andò incontro ad esaurimenti e a frequenti malanni, cagionati dall’intenso lavoro e dallo studio senza sosta.

Un francescano insegna a Mozart

Nel 1769 il padre volle recarsi in Italia, dove la fama del giovane prodigio si era già diffusa. A Roma, una delle numerose tappe del viaggio, Wolfgang fu ricevuto da papa Clemente XIV che lo insignì del titolo di Cavaliere dello Speron d’Oro (1770).

A Bologna ricevette numerose lezioni dal maggiore teorico musicale e compositore del tempo, il francescano conventuale padre Giovanni B. Martini (1706-1784), già maestro di Bach, alle lezioni di padre Martini Mozart è in gran parte debitore della sua eccezionale fecondità ed intuizione melodica.

Altre opere suggellarono la sua fama, Mitridate re di Ponto (Milano 1770), Ascanio in Alba (Salisburgo 1771, su testo nientemeno che di Giuseppe Panni) e La finta giardiniera (Monaco 1775) . Nel 1778 la morte della madre fu il primo vero dolore del giovane. Il successo strepitoso di Idomeneo (Monaco 1781) lo indusse a rompere definitivamente con Salisburgo, dove, morto il precedente vescovo, non aveva trovato che invidia e ostilità.

Si inserì quindi nell’ambiente internazionale di Vienna, dove nel 1782 sposò Costanza Weber, nipote del grande musicista Carl Maria von Weber (1786-1826). Nello stesso anno ricevette dall’imperatore Giuseppe II l’incarico di scrivere un’opera: nacque così Il ratto dal serraglio, primo intramontabile capolavoro del teatro mozartiano. In questi anni Mozart, pio, buono, cattolico, si affilia alla potente massoneria di Vienna. Continua a scrivere quantità smisurate di musica strumentale, sinfonica e da camera, nonché musica sacra, che ha un posto notevolissimo nella sua produzione.

Negli anni che lo dividono dalla morte – sono ormai soltanto nove – Mozart conobbe lutti, pianti, delusioni, successi enormi. In questi anni scrive le opere che vanno oltre i millenni: il librettista italiano Lorenzo Da Ponte (1749-1838) gli preparò il libretto delle Nozze di Figaro (Vienna 1786), dal successo delirante: spartito di equilibrio vocale e strumentale senza precedenti, inno alla pace e alla riconciliazione. Praga gli richiese un’opera nuova: ancora Da Ponte scrisse il libretto di quell’opera senza tempo, senza limiti, senza condizioni che è Don Giovanni, capolavoro che supera ogni catalogazione e ogni epoca. Nello stesso anno di Don Giovanni morì il padre, mentre l’anno prima era morto un figlioletto.

Nel 1790 compose ancora un’opera per Vienna, quel gioiello che è Così fan tutte; seguirono La clemenza di Tito (Praga 1791) in occasione dell’incoronazione di Leopoldo II. Già in precarie condizioni di salute, tornò a Vienna, convinto che gli restasse poco tempo da vivere. Ad accrescere il senso della morte imminente un misterioso committente, come narra la tradizione, gli ordinò una Messa da requiem.

Accettò infine di comporre un’altra opera tedesca, Il flauto magico (Die Zauberflöte), rappresentata con enorme successo il 30 settembre 1791. Il Requiem, che è il famosissimo K 626, ripreso febbrilmente, rimase incompiuto per l’improvvisa morte del Maestro, avvenuta il 5 dicembre 1791. Fu poi terminato da un allievo. Mozart fu inumato frettolosamente nel cimitero di San Marco a Vienna e i suoi resti finirono nella fossa comune. Le cause della sua morte rimangono misteriose, certo causate da un’infezione virale, come quella che nel 1835 portò alla tomba il trentaquattrenne Bellini. In periodo romantico, poeti e letterati raccolsero la leggenda che fosse stato avvelenato dal musicista rivale Antonio Salieri.

Le opere

Negli ultimi mesi di vita Mozart rimpiangeva di non essersi dedicato maggiormente alla musica sacra. La sua aspirazione era quella di comprendere tutto nella sua arte: e per un credente come lui, la parola “tutto” non significa nulla se si esclude il Creatore. Ma basta il Requiem per dimostrare come il massone non sia riuscito ad ingannare il cattolico. Non si può udire il Requiem senza pregare, perché porta in se stesso la preghiera. Mozart, quando prega, piange come un bambino. Da questa pura gioia di fanciullo prendono le mosse le note purissime che esprimono l’esaltazione dell’anima che sale sulle ali stesse della grazia. Troppa soavità? È la soavità dei profumi con cui Maria Maddalena bagna i piedi del Salvatore.

Nozze di Figaro è la celebrazione della libertà, dell’affrancazione dal sopruso, del premio della dirittura morale. Un torrente di note e di canti, ora gioiosi ora mesti, sfociano nel perdono universale che chiude l’opera: la dignità degli umili è riconosciuta ed innalzata al suo giusto livello.
Don Giovanni dal 29 ottobre 1787 costituisce tema inesauribile di riflessioni letterarie e filosofiche, dai romantici a Kirkegaard, a Nietzsche, ai giorni nostri.

Non è la storia del “dissoluto punito”, è la storia di ogni uomo che si pone come legge a se stesso. È senza dubbio la quintessenza del Settecento, ma è ben più l’autentica “musica religiosa” dell’uomo. Il male crolla, non può che crollare, ma la redenzione attende con più ansia il dissoluto quanto più costui ritiene di poterne fare a meno. Non odieremo mai Don Giovanni, perché egli è tuttora nel profondo del nostro cuore.

Il flauto magico è l’inno alla massoneria, ma altrettanto alla libertà dal male e dalle tenebre. Non è difficile avvertire nelle angustie dei protagonisti il desiderio insopprimibile della felicità. Questa non è il frutto di sentimenti pagani, ma è lo stato dell’anima liberata dal suo retaggio di miseria; svincolata dalla servitù, l’anima non conosce più le angustie della carne e della passione, e giubila smaterializzata nella purezza luminosa dello spirito. Questa è la musica di Mozart. Musica da bambini, appunto. Musica che dimostra l’inafferrabilità del compositore. Credente e massone. Così la nostra cultura è decapitata della sua forza e ci fa battere alla porta del mistero dell’uomo.
Non serviranno le elucubrazioni potenti, gli sguardi vertiginosi nell’abisso del cuore, per aprire quella porta.

Basteranno le parole dell’umile donna di Nazaret: non hanno più vino. Prontamente, allora, da quelle idrie, ci sarà versato vino nuovo nei nuovi otri in cui si celano le nuove ed impervie strade della storia, che verranno vivacizzate dalla fede che fa di noi il sale del mondo.

                                                                          Franco Careglio


IMMAGINI:
 La casa natale di Wolfgang Amadeus Mozart a Salisburgo.
 
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) in un ritratto giovanile.
 La città di Salisburgo vide i prodigi giovanili di Mozart.


  RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 6
  
VISITA Nr.