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     VITA DELLA CHIESA:
     I CATTOLICI E LE EMERGENZE ETICHE

«Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché solo insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo». L’affermazione, che risale a 42 anni fa, è della costituzione pastorale «Gaudium et spes» approvata il 7 dicembre 1965 dal Concilio Vaticano II.

Al tema «Il bene comune. Un impegno che viene da lontano» 1.400 delegati da 160 diocesi, su 226, hanno dedicato riflessioni e dibattiti nella 45ª Settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta dal 18 al 21 ottobre a Pistoia e Pisa. A Pistoia un secolo fa ci fu la prima Settimana (23-28 settembre 1907) su «Movimento cattolico e azione sociale. Contratti di lavoro, cooperazione e organizzazione sindacale. Scuola».

È stato un appuntamento nel nome e nel ricordo del fondatore dell’iniziativa Giuseppe Toniolo (1845-1918) – per il quale è in corso la causa di beatificazione – che Papa Benedetto definisce «luminosa figura di laico cattolico, scienziato e apostolo sociale, protagonista del Movimento cattolico».

Nato a Treviso, sposato e padre di 7 figli, docente di Economia politica all’Università di Pisa, cerca una terza via tra il capitalismo e il socialismo, afferma che oggetto dell’economia «è tutto l’uomo nella sua complessità» e ne auspica una radicale riforma su base antropologica. Questo prima ancora che Leone XIII pubblicasse il 15 maggio 1891 la «Rerum novarum», prima enciclica sociale.

Valori per tutti

Benedetto XVI, nel messaggio alla Settimana, vede tre «emergenze etiche e sociali in grado di minare la stabilità della società e di comprometterne il futuro»: 1) «La questione antropologica abbraccia il rispetto della vita umana e l’attenzione alle esigenze della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna»; 2) «Non si tratta di valori e principi solo “cattolici” ma umani comuni da difendere e tutelare, come la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato»; 3) «Quando la precarietà del lavoro non permette ai giovani di costruire una loro famiglia, lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso».

Sul rapporto tra Chiesa e politica afferma: «I cattolici devono partecipare alla vita pubblica insieme agli altri cittadini e devono cooperare a configurare rettamente la vita sociale. La Chiesa riconosce di non essere un agente politico ma non può esimersi dall’interessarsi del bene dell’intera comunità e a essa offre il suo contributo formando nelle classi politiche e imprenditoriali un genuino spirito di verità e onestà, volto alla ricerca del bene comune e non del profitto. I laici devono dedicarsi con generosità e coraggio alla costruzione di un ordine sociale giusto, accettando le sfide, aprendosi con fiducia e dinamismo a nuovi rapporti, non trascurando nessuna energia capace di contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia».

Il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, invita a rimboccarsi le maniche: «I cattolici hanno molto da dire e da dare a questo Paese perché la nostra è ancora una Chiesa vitale. Lo dimostrano i cento anni di Settimane sociali nelle quali sono stati affrontati argomenti di grande attualità, vitalità e concretezza». Il bene comune deve applicarsi alla persona perché in primo piano «c’è sempre la questione antropologica.

I cattolici hanno ancora molto da offrire come riflessione, consapevolezza e arricchimento sui grandi temi che interessano le persone e la società; hanno sempre dato il meglio, continuino a farlo; hanno qualcosa da dire, da dare, da fare» per affrontare le «urgenze» casa e lavoro («stabile, sicuro, dignitoso») che colpiscono giovani e famiglie.

I grandi interessi economici

Impressionante il tema della «biopolitica». Perché la Francia pubblicizza e appoggia la sperimentazione – per esempio nel sistema sanitario del Piemonte – della «pillola abortiva del giorno dopo»? Perché il ricco piatto della RU486 è in mano all’industria francese che fa soldi a palate. Perché la Gran Bretagna sostiene la ricerca sulla clonazione animale – ricordate la pecora «Dolly»? – e ora su quella umana con gli orrendi esperimenti per la chimera uomo-animale? Perché le industrie inglesi hanno interessi economici colossali.

Ne parla il professor Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del diritto all’Università di Roma-Tor Vergata, membro del Comitato bioetico nazionale, del quale è stato presidente. Insieme alla «bioetica» e al «biodiritto», nel linguaggio comune è entrata la «biopolitica»: è la gestione della vita biologica da parte del potere con ricadute normative; si arroga il potere sovrano sull’uomo; legifera su problemi etici complessi; svuota di valore concetti basilari come vita e morte, salute e malattia, terapia e cura.

Prodotta dai totalitarismi, condiziona la cultura, la mentalità della gente, l’attività legislativa. Per D’Agostino «occorre difendere la ricerca: non c’è niente di male se ha ricadute economiche nei brevetti, ma è inaccettabile che la si faccia solo in base agli interessi, come dimostra l’abbandono della ricerca sulle malattie rare perché il guadagno è ridotto».

Le multinazionali farmaceutiche hanno un potere che fa impallidire quello dei governi: decidono della sopravvivenza di milioni di persone; disdegnano le medicine che danno pochi guadagni ma che sono essenziali per i malati; non fanno ricerca sui farmaci ma sulle molecole meno costose di quelle che sono già in commercio perché così riducono le spese e moltiplicano gli utili.

Le prossime tragedie

È lungo l’elenco delle malefatte della biopolitica, specie contro la vita e la famiglia. La legalizzazione planetaria dell’aborto, per il quale ora si pretende il riconoscimento come «diritto fondamentale della persona». La procreazione assistita crea un alto numero di embrioni destinati non a essere impiantati nel grembo materno ma a essere congelati e poi distrutti.

L’alterazione dell’equilibrio delle nascite tra i sessi: in India e in Cina, con gli aborti selettivi, il numero delle donne non nate, cioè soppresse, raggiunge l’incredibile cifra di 100 milioni. Il fenomeno è stato denunciato per primo dal Premio Nobel per l’economia l’indiano Amartya Sen. La legge del Partito comunista cinese sull’obbligo del figlio unico ha portato, con le analisi prenatali e gli aborti di massa, alla catastrofe demografica ed eugenetica: in certe zone ci sono 8 milioni di uomini più delle donne.

L’eutanasia avanza in molti Paesi e se ne pretende la legalizzazione. Con un uso distorto del linguaggio e con vergognosi eufemismi si mascherano atroci realtà: chiamano l’eutanasia «suicidio assistito», in realtà è un «omicidio»; il nascituro, cioè il frutto dell’amore di un uomo e una donna, è definito «prodotto del concepimento», cioè una cosa; l’aborto è «Interruzione volontaria della gravidanza» (Ivg) – non hanno il coraggio di dire «maternità» –; così l’eutanasia è «Interruzione volontaria della sopravvivenza» (Ivs), definizione burocratica di omicidio.

Chi ci libererà da questo strapotere? Chi smaschererà gli «operatori di morte» camuffati da «persone compassionevoli»?

                                                                      Pier Giouseppe Accornero
                                                                          


 IMMAGINI:
Le folli politiche pianificatrici hanno condotto ad aberranti situazioni demografiche in ampie zone del Pianeta che avranno nefaste conseguenze sociali ed economiche. Rispettare la vita significa preoccuparsi non solo del presente ma anche del futuro.
Le grandi società farmaceutiche proponendo scorciatoie alla morale familiare, illudono l’uomo con l’incanto del progresso e mascherano i loro ingenti utili all’ombra dei politici conniventi.

           RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2008 - 1  
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