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      STUDI / MUSICA E FEDE: Benjamin Britten
     IL FASCINO DEL SACRO

Perfino la più piccola frase musicale
può assorbire e trasportarci via
dalle città, dai paesi, dal mondo e da tutto.
È un dono di Dio.

Felix Mendelssohn-Bartholdy, musicista, 1809-1847

Nella cultura odierna, in cui vanno pericolosamente smarrendosi i valori essenziali dell’esistere e del coesistere (e lo si constata nella gravità della situazione in cui versano la famiglia e altri settori della vita sociale), si avverte più urgente il bisogno di speranza.

Le parole di Benedetto XVI, pronunciate con tanto affetto e con partecipata sofferenza nella lettera Spe Salvi, sono state un prezioso balsamo, non per avere una contropartita consolatoria dinnanzi ai tradimenti e alle mistificazioni consumate, ma per riaffermare alla mente turbata che ancora esiste la grazia, e che nella speranza siamo stati salvati (Rom 8,24).

Il pensiero di Dio, ci insegna il Santo Padre, non è pensiero da ore devote in cui si sta in chiesa tra gli incensi. È un pensiero che si innesta nella vita quotidiana e dona forza, e permette di guardare alla miseria presente con l’occhio non del pessimista ma del credente nel miracolo della vittoria della vita sulla morte.

Ciò significa avere speranza. Credere che è possibile una logica diversa, fondata sulla verità. Credere al suono limpido della Parola, che trasforma il cuore di pietra in cuore di carne. Scegliere la speranza vuol dire camminare sulle acque senza affondare, come accadde a Pietro (Mt 14,28-31), e senza ricorrere ad una corazzata, che con la sua potenza non assicurerà mai dal naufragio. O si sceglie la speranza di Cristo e del suo Vangelo, che assicura l’approdo, faticoso ma certo, e allora sarà la salvezza. O si sceglie la solidità illusoria della corazzata.

E allora sarà la catastrofe, e quindi il nulla.
Tutto questo, forse, lo si ravvisa nella vita e nell’opera del compositore Benjamin Britten († 1976), la figura più prestigiosa della musica inglese del Novecento. Non ebbe la genialità e la capacità di accesso a mondi diversi di Stravinskij, al quale guardò con attenzione. La sua musica e soprattutto la sua cultura restano esclusivamente anglosassoni, come la fonte di tutta la sua produzione, che solo in pochi casi si rivolge all’analisi di pensatori estranei alla sua terra, come il tedesco Thomas Mann, per attingere al grande tema del conflitto tra arte e vita e tra dignità borghese e istinto. Ma forse più per un risvolto autobiografico che per puro interesse artistico.

Il Britten non è autore frequente sui palcoscenici italiani, anzi non lo è mai stato. Eppure il suo contributo alla cultura musicale è di forte validità, come lo è il respiro spirituale che emerge in tutte le sue opere, ma in particolare nella quantitativamente modesta ma qualitativamente elevatissima produzione di musica sacra.

La vita e le opere giovanili

Nato a Lowenstoft (Suffolk) nel 1913, mostrò un precocissimo talento scrivendo a dieci anni una Simple Symphony per archi, ancora oggi eseguita. Nel 1935, quando la sua formazione musicale era ormai completa, incontrò il poeta inglese W. H. Auden (1907-1973), che divenne famoso nell’Inghilterra degli anni Trenta prima per il suo interesse alle dottrine di Marx e di Freud e poi per l’accostamento ad una tematica religiosa e metafisica. Con questo poeta, Britten collaborò attivamente con cicli di canzoni e altri spartiti, scritti da Auden; i due avevano in comune una visione radicale della musica come mezzo di protesta sociale.

Determinante, nella vita di Britten, fu l’incontro con il tenore Peter Pears (1910-1986), artista di alto livello, poi nominato “baronetto”. All’inizio del 1939, i due seguirono Auden in America, dove Britten compose la sua prima opera, molto modesta, dal titolo Paul Bunyan (1941), su testo di Auden: uno spartito in pratica di poco interesse. In questo periodo, il Maestro ebbe modo però di formarsi ulteriormente e di affinare la tecnica compositiva.

Una bella Sinfonia da Requiem (1940) di carattere squisitamente sacro, conclude il periodo americano. Intensamente attivo come pianista e come direttore d’orchestra, tornò in Inghilterra (1942) accompagnato da una solida fama. L’ultima collaborazione con Auden fu l’Inno a Santa Cecilia, lavoro di carattere sacro.

È indicativo come nell’esistenza strana, e a suo modo “felice”, di questo studioso sia presente sempre una costante attenzione verso gli esiti morali delle scelte di vita e verso il conflitto interiore tra il bene e il male. Tuttavia le sue composizioni più valide sembrano provenire dal suo più segreto essere. La sua produzione sacra annovera inoltre un delicato Hymn to the Virgin Mary per coro, un Jubilate Deo per soprano, tenore e organo, un Te Deum per coro e organo, una Missa brevis in Re per coro di bimbi e organo e un Psalm Nº 150 per coro e organo, tutti composti tra il 1948 e il 1950.

Tra tutti, infine, emerge il grandioso War Requiem (1961), di impressionante intensità drammatica, per soli, coro di ragazzi e coro misto, orchestra e organo, sul testo latino della Messa per i defunti intercalato da brani del poeta Wilfred Owen (1893-1918, le cui poesie postume sono improntate ad una denuncia ironica e amara dell’etica bellica).

Questo grandioso lavoro, scritto per la riapertura della Cattedrale di Coventry nel 1962, ebbe come primi esecutori cantanti di eccezionale valore: Dietrich Fischer-Dieskau, baritono mozartiano e verdiano tra i maggiori del secolo scorso, e Galina Visnevskaja, soprano di estrema duttilità, moglie del direttore e pianista Rostropovic. Di quest’opera esiste un’incisione del 1963 in cui sono immortalati alcuni colloqui tra il Maestro e la Visneskaja, che non si risparmiano battibecchi sulla difficoltà dell’esecuzione.
Nel 1947, con il Pears, fu tra i fondatori dell’“English Opera Group” con l’intento di sostenere poeti e scrittori a collaborare con i musicisti per la creazione di nuovi generi operistici.

L’anno successivo prese parte nell’organizzazione del festival musicale di Aldeburgh, la cittadina dove si era stabilito con il tenore. Da quegli anni fino alla morte compose una dozzina di opere. Tutti i suoi lavori, di grande spessore culturale e sempre pervasi da un clima di ambiguità psicologica suggestiva e inquietante, vengono costantemente rappresentati nei Paesi di lingua inglese, mentre in Italia appaiono soltanto, e di rado, Billy Budd e Peter Grimes. È soprattutto in questi spartiti, decisamente innovativi, che si avverte il risentimento verso la tradizione musicale britannica, ancora in parte sottomessa al severo e intramontabile sguardo vittoriano.

Sempre operoso come pianista e compositore, Britten morì prematuramente di un attacco cardiaco il 4 dicembre 1976, poco dopo essere stato nominato “sir”; il tenore Pears, morto dieci anni dopo, volle essere sepolto accanto alla sua tomba, nel cimitero di Aldeburgh.
Ancor oggi però il giudizio critico dell’opera di Britten è condizionato da considerazioni culturalmente parziali sulla sua personalità e sulle sue opinioni politiche.
                                                                      Franco Careglio ofm
                                                                          


 IMMAGINI:
La rappresentazione di «Billy Budd» un’opera di Benjamin Britten. I suoi testi musicali risentono del severo sguardo vittoriano.
Benjamin Britten (1913-1976). Uno dei maggiori compositori inglesi del Novecento. Il giudizio sulla sua opera è ancora troppo condizionato dalle sue opinioni politiche e dalla sua discussa personalità.

           RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2008 - 3  
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