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     STUDI / MUSICA E FEDE: Benjamin Britten
     IL CANTO DELL'INNOCENZA

L’opera che consacrò Benja- min Britten nel ruolo di uno dei massimi compositori di teatro musicale inglese fu il Peter Grimes che venne rappresentata a Londra il 7 giugno 1945. Il Maestro aveva fatto casualmente conoscenza del poema The Borough di George Crebbe (1755-1832), scrittore nato e vissuto ad Aldeburgh. Il poema di Crebbe descrive con vivacità la vita monotona di quel borgo di pescatori, e fra questi in particolare la sinistra figura di un certo Peter Grimes, inviso ai concittadini per la sua natura violenta e accusato di causare la morte di tutti i suoi giovani apprendisti. Da intellettuale della sinistra ­inglese, il Maestro trasformò la figura del “cattivo” in una vittima della comunità. Il suo comportamento violento e agitato, espresso fin dalle prime battute dell’opera, è frutto della tensione spasmodica verso una migliore situazione sociale, alla quale l’ipocrisia dei borghigiani preferisce una stagnante mediocrità. L’assenza di umanità gravante nel microcosmo del villaggio spinge il pescatore Grimes ad accumulare denaro per conquistarsi una fantomatica pace.

Il lavoro dunque è l’unico mezzo; i ragazzi che Grimes assume non sono mai in grado di sostenerne il peso, e sembrano vittime della cieca crudeltà del padrone. Accusato ingiustamente di ignobili delitti, lo sventurato pescatore troverà la morte in mare, tra la generale indifferenza. Soggetto di estrema forza emotiva e avvolto da un clima di sospetto torbido, diviene uno spartito di eccezionale interesse nel segno dell’eclettismo. L’orchestra assume ruolo decisivo con pagine di limpidissima ispirazione melodica. Un esempio musicale, insomma, di alto valore artistico che denuncia la grave responsabilità morale di quanti ravvisano nel denaro e nel compromesso i mezzi per ottenere l’affermazione. Primo interprete di Peter Grimes fu il tenore Pears.

Un arcobaleno sonoro

Un’altra opera che raramente appare nei cartelloni italiani ma resta forse la più avvincente e anche la più consona allo spirito del Maestro, è Billy Budd. Il grande successo arriso al Grimes sembrava aver esaurito nel Maestro il desiderio di cimentarsi ancora con opere di vaste proporzioni per grande orchestra. Nel Grimes aveva guardato positivamente a Puccini e a Stravinskij; qui guarda solamente al suo essere.

Verso il 1951 il Covent Garden gli chiese un’opera, ed egli ritentò l’impresa con un altro dramma  marinaresco incentrato sulle vicende del marinaio Billy Budd, protagonista dell’omonimo romanzo del 1891 di Herman Melville. Romanzo postumo, pubblicato dopo la morte dell’autore di Moby Dick, Billy Budd incontrò enorme successo nel grande teatro londinese il 1º dicembre 1951.

La vicenda, ambientata nel 1797 e ispirata a fatti storici realmente accaduti (i frequenti casi di ammutinamento che si verificavano nella marina militare inglese a causa delle terribili condizioni di vita), è narrata in clima di greve sogno dal capitano Vere, comandante in quel tempo del vascello da guerra “Indomitable”. Vere ricorda come in quell’anno un giovane arruolato a forza avesse dimostrato lealtà e purezza assolute, lieto di essere sulla nave ma desideroso di far valere i diritti umani.

Tutto l’equipaggio avvertiva simpatia e strana attrazione per quel giovane bello e coraggioso, puro e incorruttibile. Solo il maestro d’armi Claggart provava odio verso Billy, e lo osteggiava in ogni modo. Le implicazioni omosessuali, ben dissimulate, lontane da ogni espressione plateale, esprimono la sofferenza umana nella sua globalità e sono percepibili negli oscuri meccanismi che spingono Claggart a distruggere Billy Budd. Stremato dall’ingiusta persecuzione, Billy colpisce il maestro con un pugno, e con la sua forza lo uccide.

Condannato a morte, accetta con dignità il suo destino e porge il capo al cappio. Ha qualcosa di mistico la partitura di Britten quando il capitano Vere informa Billy della sentenza (il capitano è l’unico della ventina di personaggi che ama Billy come eroe senza aloni inquietanti): l’orchestra si inserisce con lenti e misteriosi accordi come arcobaleno sonoro gettato tra due momenti musicali di grande impatto emotivo, l’aria del capitano e quella del condannato.

Di sole voci maschili

Con questo personaggio Britten presenta l’eroe integro e buono, persino naif nelle sue manifestazioni emotive: ad onta della sua bellezza è soggetto a balbuzie. Non un uomo-bambino angelicato (tra l’altro il suo ruolo vocale è quello del baritono, tipico dell’uomo provato e sofferente, l’inverso del tenore, fiero e ardimentoso), ma piuttosto una vittima di un rito che non gli appartiene.

Avvincente è il susseguirsi degli avvenimenti, che precipita verso il lugubre finale, ove il grido rauco degli astanti che assistono all’impiccagione del giovane è un esempio musicale di fulminante pregnanza. Nell’epilogo il capitano è torturato dai rimorsi, per non aver salvato Billy perseguitato e innocente. Tuttavia, quale atto di estrema purezza, Billy morendo lo ha benedetto e Vere sente di essere redento.

Non è un’opera facile, né per il messaggio che propone, né per la complessità della partitura, né per l’impegno dei cantanti e l’insolita distribuzione dei ruoli: tutte voci maschili, cosa rarissima se non unica nel melodramma. È il contrario della Suor Angelica pucciniana, la seconda opera del “Trittico” in cui vi sono esclusivamente voci femminili. Ma d’altra parte, nel secolo XVIII, su una nave da guerra e in monastero di clausura non potevano che figurare esponenti di un unico sesso.

La figura di Billy interessò pure un altro musicista, il cuneese Giorgio Federico Ghedini (1892-1965) che, su libretto di Salvatore Quasimodo (nientemeno!) riprodusse con molta minor convinzione e minor successo la vicenda del marinaio leale vittima dell’ingiustizia (Venezia, T. La Fenice, 8 settembre 1949).

Il candore violato

Sono ancora da ricordare due opere del Maestro inglese: The turn of the Screw e Death in Venice.
La prima, rappresentata alla Fenice di Venezia il 14 settembre 1954, è tratta da una novella di Henry James (1843-1916), lucido e potente narratore statunitense formatosi nel vecchio continente. Tradotta in italiano come Il giro di vite, l’opera offre a Britten l’occasione per un difficile suo incontro con il soprannaturale. La novella, nota agli appassionati di letteratura, narra la misteriosa vicenda di due bambini e dei loro rapporti con gli spettri. Allusioni a sottili movimenti dell’inconscio conducono all’irreparabile catastrofe.

Britten aveva sempre nutrito particolare interesse per il mondo dell’infanzia, elevato a simbolo dell’innocenza e opposto al mondo di violenze, pregiudizi e falsità degli adulti. I due fratellini Flora e Miles sono strumenti nelle mani dell’ultraterrena perfidia dell’istitutrice e del cameriere, i quali anche dopo la morte continuano ad esercitare il loro dominio sui due fanciulli. L’odiosa figura dell’adulto che sfrutta l’innocenza viene, in tutta la sua ripugnanza, elevata alla vetta dell’arte dalla musica di Britten. La melodia riesce a congiungere realtà e fantasia, così come è proprio delle menti infantili, libere dalle griglie oppressive della inesorabile razionalità.

Non vi sono oggi motivi sufficienti per l’allestimento di questo dramma nel quale non si trova uno spiraglio di luce. Rimane nel patrimonio culturale come efficacissimo monito alla sacralità dell’innocenza.

Il limite della bellezza

La seconda opera è molto più famosa, e appare ogni tanto nei teatri italiani. Morte a Venezia, rappresentata ad Aldeburgh il 16 giugno 1973, è tratta dal celebre romanzo di Thomas Mann (1875-1955). Uno scrittore in profonda crisi esistenziale lascia Monaco e si reca a Venezia; in un lussuoso albergo conosce Tadzio, adolescente polacco. Attratto e reso schiavo dalla perfetta ed efebica bellezza del giovane che è al tempo stesso estetica e sensuale, non riuscirà ad avvertire la famiglia polacca che la città è in preda al colera.

Spossato nel corpo e nello spirito, lo scrittore sprofonda in un progressivo degrado psicofisico, fino alla morte. Opera affascinante per il soggetto che propone, l’ineluttabilità del destino, esprime quasi magicamente il fallimento senza remissione della vita che si prostra al senso.

La bellezza contrabbandata come dato esclusivamente estetico non conduce altro che alla rovina e alla morte. È la lezione ultima del Maestro inglese, che, forse, nel mistero insondabile dell’anima, non ha saputo affrancarsi da se stesso e dalle sue ombre.

                                                                      
Franco Careglio ofm
                                                                          


 IMMAGINI:
Benjamin Britten (1913-1976).
Nell’opera Peter Grimes, il musicista Benjamin Britten, propone la figura di un violento quale vittima di una comunità che preferisce la sua ipocrisia al miglioramento delle condizioni di vita.
 In Il giro di vite il musicista inglese oppone il mondo della violenza, dei pregiudizi e della falsità degli adulti, al mondo della fantasia e dell’innocenza dei bambini.

        RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2008 - 4  
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