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   VITA DELLA CHIESA:
   UN ANNO SACERDOTALE

Ci sono tanti preti veri e autentici, fedeli e dediti
all’apostolato, e non “è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri che può giovare alla Chiesa”, né alla società. Ma “le infedeltà dei sacerdoti non sono mai abbastanza deplorate”, perché “è la Chiesa a soffrirne” ed “è il mondo a trarne motivo di scandalo e di rifiuto”. Per questo, Benedetto XVI nel richiamare i preti a “una forte e incisiva testimonianza” ricorda “la fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione”.

In questa chiave il Papa scrive e indirizza ai presbiteri di tutto il mondo la “Lettera per l’apertura dell’Anno sacerdotale” in occasione del 150º della morte, il «dies natalis», di San Giovanni Maria Vianney (1786-1859). “Anno” inaugurato dal Papa in San Pietro e dai vescovi e preti nelle diocesi lo scorso 19 giugno 2009, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.

Essere testimoni più che maestri

Il pontefice sottolinea “le numerose situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell’esperienza del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi dai destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue?”.
Ratzinger traccia l’identikit del sacerdote e della sua missione sull’esempio del Santo Curato d’Ars con riferimenti particolarmente belli e interessanti. Oltre al ricordo dei preti “martiri” e alla condanna delle “infedeltà”, il Pontefice – a partire dai ricordi personali come l’incontro con il primo parroco che aiutò dopo l’ordinazione – considera “doveroso estendere sempre più gli spazi di collaborazione ai fedeli laici con i quali i presbiteri formano l’unico popolo sacerdotale”.

Se il Concilio – ricorda – ha chiesto di riconoscere “la dignità dei laici”, i preti “siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter insieme riconoscere i segni dei tempi. Solo preti incarnati e capaci di una profonda vita spirituale, possono trasformare il cuore e la vita di tante persone facendo loro percepire l’amore misericordioso di Dio”. Perché come diceva già Paolo VI, il mondo contemporaneo “ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”.

Il Papa accenna alla necessità che i preti vivano in comunità, accolgano con fiducia i movimenti ecclesiali e siano obbedienti ai vescovi. Chiede “una fraternità sacerdotale effettiva e affettiva: solo così i sacerdoti sapranno vivere in pienezza il dono del celibato e saranno capaci di far fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della prima predicazione del Vangelo”.

Molto efficace il riferimento al ministero della riconciliazione, il Sacramento più difficile e più dimenticato: “I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli verso il Sacramento della confessione”. Dal Curato d’Ars, patrono dei parroci, “noi sacerdoti possiamo imparare non solo un’inesauribile fiducia nel Sacramento che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del «dialogo di salvezza» che in esso si deve svolgere”.

Nella Francia postrivoluzionaria “la confessione non era né più facile né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un’e­sigenza intima della Presenza eucaristica”.

Far percepire a tutti la misericordia di Dio

“Diede così vita a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero a imitarlo recandovisi per visitare Gesù e fossero sicuri di trovarvi il loro parroco disponibile all’ascolto e al perdono. In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno”. Riscoprire la penitenza significa “ricordarsi della misericordia di Dio”.
Il Curato d’Ars “ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell’amore. (...) Con esemplare obbedienza restò sempre al suo posto perché lo divorava la passione apostolica per la salvezza delle anime. Cercava di aderire totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa. Teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale. E mortificava se stesso per il bene delle anime che gli erano affidate e per contribuire all’espiazione dei tanti peccati ascoltati in confessione”. Spiegava la sua ricetta “Do ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto”.
Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d’Ars, “occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica. Nonostante il male che vi è nel mondo Cristo ci dà la forza per guardare con fiducia al futuro”. Da qui i preti devono partire per essere “nel mondo messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace”.
                                                                                                   
Pier G. Accornero


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       RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2009 - 9  
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