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   GIOVANI ITALIANI e la droga:
   Riescono i giovani a cavalcare la tigre?"

È molto triste. Quasi quotidianamente ripetuto, spesso assordante, sempre angosciante, l’allarme sul consumo di droga da parte dei giovani. Fa tristezza anche una certa apatia e rassegnazione strisciante. Lo si vede ormai come un problema tipicamente adolescenziale (ma di quella adolescenza “lunga” che scivola via fin verso i 30 anni, e oltre). Un problema inevitabile, frutto di una certa cultura consumistica ed edonistica come la nostra, sempre meno cristiana se non addirittura post-cristiana.

Poco tempo fa così ha scritto un insegnante ad un giornale: «Alla prima ora avevo quattro alunni tutti con la testa appoggiata sul banco che non riuscivano a stare svegli. Li ho guardati in faccia e ho visto i loro occhi lucidi e rossi. Erano intontiti dalla prima “canna” mattutina. A quindici anni corrono già verso il nulla. “L’alcol ha effetti più devastanti dell’erba” ribatte un adulto. “Pensi che vietando gli spinelli si risolvano tutti i problemi?” – mi dice un altro – ... Gli adulti rimuovono lo sguardo dall’evidenza che hanno sotto gli occhi: l’uso abituale di sostanze stupefacenti da parte di un numero sempre più elevato di ragazzi. La “maria” (leggi marijuana) non fa male, non crea dipendenza e quindi che c’è di male a farne uso?... In questa periferia fuori dal mondo, i ragazzi vengono a scuola la mattina già “fumati” e non sono in grado di imparare nulla».

Per il filosofo Baruch Spinoza l’atteggiamento da avere davanti alla
realtà è: “Non piangere, non ridere, non esaltarsi ma capire”. E andare oltre il semplice fenomeno.

Una ideologia del passato ma ancora presente...

Davanti a molti adolescenti che hanno già cominciato la corsa verso il nulla, non c’è niente da ridere. Da piangere sì, ma soprattutto c’è da capire per agire, e in fretta.
Molti dei nostri adolescenti sui banchi di scuola sono figli... dei figli del ’68. Sì di quella stagione esaltante per alcuni aspetti (e quindi benvenuta) e devastante per altri, che i loro genitori hanno vissuto attivamente da studenti, assimilandone, consciamente o per semplice osmosi ambientale, il contenuto ideologico. Quale?
Quella ideologia contestativa, antagonista, anti-autoritaria, permissiva e libertaria a cui il movimento studentesco del ’68 diede facile combustibile ed entusiasmo.

Anche con il consumo di droga.

In quegli anni, avanzava a livello culturale, portata avanti da intellettuali e da movimenti sociali e politici, quello che sarà chiamato umanesimo radicale borghese: cioè una diversa visione dell’uomo e del suo progetto esistenziale, con una nuova etica che si struttura “strada facendo” seguendo il principio che è doveroso soltanto ciò che la singola coscienza individuale valutata di volta in volta come tale. In tale etica non c’è spazio né per i Dieci Comandamenti né per l‘imperativo categorico kantiano. Unico principio guida “il dovere coincide con il mio piacere”

Altro slogan di quel periodo, super citato, era: “Proibito proibire”. Venne chiamata borghese questa nuova antropologia perché proponeva ed esaltava uno stile di vita privo di carica ideale. Si propone la presentificazione del tempo (il futuro è preoccupazione inutile) , un “hic et nunc” chiave edonistica, il via libera agli istinti, al “carpe diem”, al “vado al massimo” sempre. Meglio “una vita esagerata” adesso, non domani. Perché poi arriva il nulla della morte.
C’è quindi il rifiuto di ogni accenno al trascendente, specialmente quando questo è portatore di norme, leggi, tradizioni che pretendono di limitare il piacere individualistico del “qui ed ora”. È presente in essa anche la componente nichilista (la vita è nulla) come corollario del tutto.

Quando una rivoluzione etica?

Questa ideologia radicale borghese viene vissuta con orgoglio da personaggi ben in vista nel sistema mass-mediatico. E molti giovani guardano, ammirano, assimilano “copiano e incollano”. E spesso si rovinano. Anche loro sono “vittime” di questo clima culturale e di questa crisi etica nata dal fallimento della “rivoluzione” permissiva predicata dal ’68 in poi.

L’esempio più eclatante che riguarda i nostri adolescenti è proprio quello della droga e del suo uso libero come parte integrante di questa “rivoluzione”. Si voleva e si predicava di riabilitare il piacere in tutte le sue componenti, di rivendicare il diritto ad essere liberi e a poter disporre di se stessi oltre ogni limite. In altre parole: il diritto assoluto e inviolabile alla gestione di se stessi e del proprio piacere. La libertà totale. Molti però, specie i giovani, non si accorgono che il fare ciò che pare e piace in nome della libertà riduce la libertà stessa. Perché resta pur sempre vero che la libertà senza virtù (o autocontrollo) e senza verità (ideali e valori esistenziali) diventa solo schiavitù.

Possiamo proporre o ammirare come modello di libertà un giovane in crisi di astinenza che ruba, dice falsità, si prostituisce o addirittura picchia la propria madre per avere il denaro della “roba”? Non è forse il classico esempio di schiavitù “liberamente” scelto?

Mentre secondo le statistiche si abbassa l’età del primo spinello o della prima “sniffata” è diventato sempre più difficile parlare di pericolo di queste sostanze e di opporsi alla loro legalizzazione. Continua a imporsi, grazie ad una potente lobby pro-droga, questa cultura fatta di relativismo e di nichilismo, che punta alla diffusione di queste droghe (sia di origine botanica che chimica) chiamandole eufemisticamente “sostanze ricreazionali” o “leggere” nel senso di innocue. Da tempo libero, insomma, tanto per ri-crearsi ed essere più efficienti. Nello stesso tempo si continua a voler decolpevolizzare a tutti i costi gli utenti come se facessero una cosa innocua. Quando, ormai, è dimostrato tutto il contrario.

Basti pensare alle stragi del sabato sera, vero incubo per tanti genitori. Quanti giovani in preda allo sballo procurato dalla droga, sovente mixata con alcol, finiscono contro un muro?
Un proverbio cinese dice: “Chi cavalca la tigre non può più scendere”. È forse questa l’immagine di molti giovani che credono di riuscire a cavalcare la “tigre-droga” e poter scendere quando vogliono. Si illudono. Stanno solo imboccando la strada che corre verso l’autodistruzione.
                                                                                                                    
Mario Scudu sdb


«Questa ideologia permissiva della “contestazione” (del ’68) ha registrato un singolare successo storico, plasmando gli orientamenti delle nuove generazioni... seguendo questa immagine, l’infelicità umana si spiega con la repressione del piacere e dell’impulso a vivere liberamente».
Italo Vaccarini, sociologo
La droga è spesso simbolo del diritto ad essere liberi e a disporre di se stessi oltre ogni limite. Sono scientificamente provati, però, gli effetti dannosi sulla personalità.
“Questi figli vogliono solo lavori di soddisfazione: non sanno cos’è stata la fatica e il sacrificio dei padri. Il boom del Nordest si è strutturato sulla cultura cattolica del sacrificio... La prospettiva dei giovani è vivere il presente, consumando quello che hanno accumulato i padri... Il denaro è il valore dominante e il generatore simbolico di tutti gli altri valori. Sappiamo cosa è utile e conveniente, ma non sappiamo più cosa è buono, etico, sacro”.
Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista
T Un proverbio cinese dice: “Chi cavalca la tigre non può più scendere”.

       RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2010 - 1  
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