L'ostensione
del telo sindonico (2010), conservato nel duomo di Torino, ha
provocato anche negli storici
della Chiesa il desiderio di arricchire l'attuale ricerca scientifica
con un qualche contributo. In precedenti periodi, chi scrive
era già intervenuto sulla figura di Yves Delage (1854-1920).
Poi, in tempi
più recenti, aveva focalizzato il rapporto intercorrente
tra la tipologia del tessuto della Sindone (una sargia di lino
puro a spina di pesce, tecnica a noi sconosciuta fino al secolo
XVI inoltrato) e le sindoni tessute in Siria, nella città
di Palmira. È qui che esisteva il centro di produzione
in Medio Oriente. Vi erano tessute sargie di lino puro a spina
di pesce, diverse dalle sargie di lana preparate in Egitto ad
Antinoe.
Quest'ultimo
studio, che tiene pure conto degli apporti forniti da Gérard
Degeorge (2002), era stato elaborato in risposta anche ad affermazioni
inesatte provenienti da determinati archeologi israeliani, e
da taluni operatori televisivi inglesi.
Attualmente,
grazie anche alle interessanti "provocazioni" accolte
durante un ciclo di conferenze nella diocesi di Roma, sono stato
sospinto verso alcuni interrogativi: "chi ha preso la Sindone
al sepolcro?", "chi l'ha conservata?", "perché
non è facile individuare prove storiche legate a una presenza
del lenzuolo nei primi secoli?".
L'insieme delle
risposte fornite ai diversi uditori ha costituito spontaneamente
un percorso di ricerca.
Chi
ha preso la Sindone al sepolcro?
Nel racconto
dei Vangeli emerge in modo singolare il ruolo delle donne che
seguivano il gruppo dei discepoli di Cristo. Mentre questi stavano
in ambienti chiusi, per evitare rappresaglie legate ai persecutori
di Gesù (Gv 20,19), poche donne -il giorno dopo il sabato-
si esporranno a vari rischi per raggiungere la tomba del Signore
(Lc 24,1). Potevano essere individuate da chi aveva fatto
condannare
il Maestro. Potevano essere fermate dai soldati romani. Potevano
essere accusate di entrare in una tomba senza alcuna autorizzazione,
con l'aggravante di toccare il cadavere di una persona che era
stata condannata al massimo della pena. Aggiungasi che permaneva,
poi, il problema di spostare la pietra del sepolcro (le stesse
donne erano consapevoli di non potercela fare; cf Mc 16,3).
Malgrado ciò esisteva in questo nucleo di discepole non
tanto il desiderio di rispettare l'uso ebraico di preparare i
cadaveri prima dell'inumazione, ma piuttosto quello di riconoscere
al Signore la sua dignità, insieme a un sentimento di
affetto e gratitudine.
Nel testo giovanneo
è indicata Maria di Magdala come colei che scopre per
prima il sepolcro aperto e vuoto (Gv 20,1). Che annuncia il fatto
agli apostoli. Che provoca in Pietro e in Giovanni l'immediata
corsa verso la tomba (Gv 20,3-4). A questo punto l'evangelista
ci racconta un fatto: constatata la scomparsa del cadavere, i
due apostoli ritornano in fretta nella casa di città.
Non le donne. Anzi, viene specificato che Maria di Magdala rimane
in pianto vicino al sepolcro (Gv 20,11). A lei apparirà
il Signore Risorto.
Per la dinamica
sopra esposta è attendibile pensare al fatto che la Sindone
sia stata raccolta dalle discepole del Maestro. Sempre presenti.
Negli ambienti familiari. Lungo la via dolorosa (Lc 23,28). Sotto
la croce (Gv 19,25). Verso il sepolcro per la deposizione
(Lc 23,55). Davanti alla tomba il giorno dopo il sabato (Lc 24,1).
Chi
l'ha conservata inizialmente?
Presso gli
Ebrei erano impuri, tra l'altro, coloro che si trovavano in una
stanza con un defunto, chi toccava un cadavere, chi camminava
sopra una tomba. Un decesso, in un villaggio contaminava quasi
tutti gli abitanti (e occorreva a questi una settimana per purificarsi).
Per questo
motivo non venivano conservati oggetti prelevati da tombe; non
si tratteneva per sé tessuti che erano stati a contatto
con cadaveri e che -soprattutto- erano macchiati di sangue. Aggiungasi
poi che sulla Sindone di cui parliamo era stato adagiato il corpo
di un "malfattore" (secondo la condanna), per il quale
scattava automaticamente la damnatio memoriae.
Di conseguenza
era inammissibile anche una eventuale ostensione del lenzuolo:
ciò avrebbe significato l'esaltazione di un "reo",
nemico degli Ebrei (condanna per bestemmia), e dei Romani (condanna
per lesa maestà). Per questi motivi è possibile
ipotizzare -almeno in una fase iniziale- una custodia della Sindone
(o anche di altri oggetti legati alla figura del Maestro) ad
opera (assolutamente silenziosa) delle pie donne.
Perché
non ci sono documenti nei primi secoli?
La tutela della
Sindone -concretizzatasi in una costante linea di silenzio- è
molto probabilmente legata ai motivi sopra descritti. Ma questi
non sono gli unici. Da una parte la comunità cristiana
dovrà affrontare i rivolgimenti politici del tempo: la
disfatta ebraica legata alla prima rivolta del 66-70 d.C., e
la sconfitta collegata alla seconda rivolta del 132-135 d.C..
Dall'altra,
era sempre incombente il pericolo di una distruzione del telo
sindonico da parte di esponenti della comunità ebraica,
e di coloro che volevano imporre la distruzione di ogni immagine
di Dio (varie correnti). È in tale contesto che si spiega
l'evolversi naturale della situazione. Se è vero che,
per le persecuzioni romane, il popolo ebreo sarà costretto
ad emigrare, è anche corretto ricordare che pure la comunità
cristiana dovrà auto-tutelarsi spingendosi verso località
meno coinvolte in scontri armati.
Malgrado ciò,
il mutare delle vicende politiche provocherà nuovi spostamenti
dei seguaci di Cristo, con processi di ritorno. Nel 570 d.C.,
ad esempio, un Anonimo pellegrino di Piacenza racconterà
di aver visto la Sindone a Gerusalemme.
È un
fatto da tenere in considerazione, così come è
necessario ricordare i movimenti bellici interessanti questa
città e il suo territorio (conquista persiana del 614-638;
e araba del 638-1099), unitamente al diffuso interesse ad appropriarsi
di reliquie care alla Cristianità.
Alcune
considerazioni
Sempre alla
luce dei diversi dati evangelici, è spontaneo annotare
alcune sottolineature.
1. Le pie donne,
che tanta parte hanno avuto nelle ore seguenti alla Risurrezione
di Cristo, non possono essere viste come figure "singole",
scollegate tra loro. Più realistico è individuare
nella loro azione una costante interazione con due interlocutori-chiave:
la comunità apostolica e la Madre di Gesù.
2. Pur dimostrando
autonomia d'azione (escono di casa, si incontrano tra di loro,
operano in gruppo), queste discepole del Signore rimangono comunque
legate ai primi seguaci del Messia. Li seguono durante la vita
terrena di Cristo assistendoli con i loro beni (Lc 8,3). Li proteggono
nell'ora delle persecuzioni. Forniscono loro comunicazioni di
grande valore (Gv 20,18).
3. Queste stesse
persone tutelano anche la Madonna. La informano sulle vicende
del Figlio. La seguono negli spostamenti. Le stanno accanto sotto
la croce. La ricevono negli ambienti familiari di Giovanni (
Gv 19,27).
4. Questo stare
accanto a Maria (At 1,14) è importante anche con riferimento
all'evento della Pentecoste (At 2,1).
Queste considerazioni
favoriscono lo strutturarsi di una constatazione: per Maria la
Sindone non poteva acquistare un significato solo di mero rispetto.
In "quel" telo funebre c'era il sangue di Cristo. Visto
dalla Donna dopo la flagellazione
durante le ore della
crocifissione
nei momenti della deposizione
Quel
sangue provocava la mente; coinvolgeva il cuore; segnava non
un ricordo, ma l'Ora che si riattualizza sempre. Per questo motivo
non è azzardato pensare a una presenza delicata di Maria
accanto alla Sindone. Anche quando il Cristo Risorto vincerà
il peccato e la morte. anche quando la Pentecoste aprirà
la mente di tutti coloro che avevano seguito per primi il Messia.
Anche in quelle ore di luce, resterà probabilmente in
Lei un pensiero per quel povero telo di lino.
Perché una madre non può cancellare dalla mente
il Volto del proprio figlio crocifisso.
E perché ogni dolore innocente rimane sempre una lancia
che trafigge l'animo. Senza rimarginare.