Il motto che
il nostro Cardinale Arcivescovo ha proposto per lostensione
del 2010, Passio Christi, passio hominis, evidenzia
uninscindibile corrispondenza fra due esperienze umane,
che si rispecchiano luna nellaltra.
Da sempre la
parola di Pilato Ecco luomo è ascoltata
come un invito a vedere nella sofferenza di Gesù tutte
le sofferenze umane: quellUomo incorpora il destino di
tutti gli uomini. E in realtà è così, perché
il nostro dolce Redentore è venuto a portare su di sé,
quanto di negativo luomo ha incontrato e accumulato sul
suo cammino.
E nellincessante
lotta contro il male luomo non trova aiuto migliore se
non affidare questo stesso male alla potenza liberatrice del
Fratello venuto dallalto per farsi carne nella solidarietà
più piena.
Perché
il corpo?
Questo mistero
trova la sua descrizione più coinvolgente nella realtà
della Sindone. Essa ci mostra lUomo e in essa ogni uomo
si sente accolto e rappresentato.
Laspetto
che per primo ci viene incontro contemplandola è la realtà
corporea delluomo: un corpo che ha sofferto così
tanto da fare sorgere la domanda: ma perché Dio, il Creatore
e Padre, ci ha dato un corpo, se poi viene ridotto così?
Le sofferenze
delluomo, a cominciare da quelle di Gesù, non si
esauriscono nelle sofferenze del corpo.
Ma cè
tra la sofferenza fisica e quella dello spirito una corrispondenza
tale che, anche dallimmagine corporea di quellUomo,
è possibile indovinare qualcosa del suo travaglio interiore.
Lessere
umano è ununità indivisibile. Chinarsi sulla
vicenda della sofferenza umana, in tutte le sue forme, significa
avvicinarsi alla vicenda di Cristo.
Per questa
interscambiabilità il cammino di preparazione allostensione
non può trovare suggerimenti migliori che nellattenzione
simultanea alle due sofferenze, che hanno ununica radice.
Lamore
ci spinge
Guarderemo
intensamente al corpo di Cristo e penseremo: il corpo ha permesso
a Cristo di morire; il nostro corpo ci permette di godere i frutti
di quella morte, dopo esserne stata la causa. Ma chiederemo anche
la forza di partecipare e condividere quel destino che, perché
condiviso con lui, diventa fecondo. Non sarà allora più
strano, né tanto inaccettabile, dire con Paolo: Porto
le stigmate di Gesù nel mio corpo (Gal 6,17).
Il suo amore
ci avvolge e ci spinge, come ancora ci diceva Paolo (2
Co 5,14) e ci ha ripetuto lesempio eroico dei nostri santi.
Guardando la Sindone, sentiamoci coinvolti e spinti dal suo amore
verso una partecipazione alle sofferenze dellumanità
che non ci lasci facilmente tranquilli.