Innanzitutto vorrei ringraziare,
a nome mio personale ma anche a nome di tutta la Congregazione
salesiana, del dono della Cittadinanza Onoraria che mi è
appena stata conferita. So molto bene che è un gesto di
riconoscenza a Don Bosco, di cui sono indegnamente nono successore,
e alla Congregazione Salesiana che, nata qui 150 anni or sono,
è diventata una famiglia spirituale apostolica tra le
più estese nel mondo.
Con queste parole il Rettor
Maggiore dei Salesiani don Pasqual Chávez Villanueva ha
esordito il 18 dicembre scorso in occasione della Cittadinanza
onoraria che il Consiglio comunale di Torino ha voluto conferirgli durante i festeggiamenti
per i 150 anni dalla nascita della Congregazione, giubileo salesiano
che ha avuto il suo culmine in due emozionanti giornate torinesi
proprio il 18 e il 19 dicembre 2009.
Davanti al Sindaco di Torino,
Sergio Chiamparino e ai rappresentanti del consiglio comunale,
il Rettor Maggiore ha voluto così interpretare il riconoscimento:
È bello ricordare ha detto don Chávez
che il rapporto tra la Famiglia Salesiana e il municipio
di Torino inizia con linizio dellopera di Don Bosco.
La lettera più antica
inviata dal nostro fondatore al Sindaco di Torino, chiamato allora
Vicario di città, è del 13 marzo del 1846. In essa
Don Bosco descrive la nascita del suo oratorio e così
sintetizza al Sindaco di allora, Michele Benso di Cavour:
«Lo scopo di questo catechismo
si è di raccogliere nei giorni festivi quei giovani che
abbandonati a se stessi non intervengono ad alcuna chiesa. Linsegnamento
si riduce precisamente a questo: 1º Amore al lavoro, 2º
Frequenza dei Santi Sacramenti, 3º Rispetto ad ogni autorità».
I giovani, e soprattutto quelli
più in difficoltà sono i veri protagonisti di tutte
le opere salesiane: Giovani poveri, abbandonati e in pericolo
ha spiegato don Chávez una predilezione
che presuppone un «amore universale», con alcune
accentuazioni; non esclude nessuno, ma non privilegia tutti.
Una predilezione, la nostra, evangelica che realizza la pratica
del «dare il massimo a colui che nella propria vita ha
ricevuto il minimo».
I giovani ai quali bisogna
«tornare» come ha ribadito il Rettor Maggiore durante
lincontro con la Famiglia Salesiana il 19 dicembre a Valdocco,
lì dove Don Bosco diede vita alla congregazione ora presente
in oltre 130 paesi del mondo: «Si tratta ha detto
di andare incontro a loro, ai loro bisogni, alle loro
aspirazioni, incontrarli con gioia nella loro vita quotidiana,
attenti ai loro appelli, disposti a conoscere il loro mondo,
ad animare il loro protagonismo, a risvegliare il loro senso
di Dio, a proporgli itinerari di santità secondo la spiritualità
salesiana.
Non ci si dovrebbe dimenticare
mai che i giovani per noi non sono un passatempo e nemmeno un
lavoro da cui sbrigarsi il più presto possibile, in qualsiasi
modo. I giovani per noi sono missione, sono la ragione del nostro
essere, sono «luogo teologico», sono la strada della
nostra esperienza di Dio e della nostra santificazione.
Don Bosco fu innanzitutto un
apostolo e tutta la sua vita è stata determinata dallurgenza
di salvare i giovani più poveri e bisognosi.
Abbiamo una meravigliosa storia
di 150 anni da raccontare ha commentato don Chávez
nella Basilica di Maria Ausiliatrice durante la solenne celebrazione
liturgica nel 150º anniversario della Fondazione della Congregazione
ma anche una bella storia ancora da scrivere, e per farlo
non cè altra strada che partire dai giovani, credere
alla loro capacità di scelte generose e coraggiose, diventare
compagni di cammino ed insieme prendere in mano il «sogno
del padre» per trasformarlo ogni giorno in realtà
nelle più variegate situazioni e contesti in cui ci troviamo
a vivere, da figli suoi, la vocazione, svolgendo la missione
salesiana. I giovani continuano ad essere la parte più
preziosa della nostra eredità.
Maurizio Versaci