Generazione
no studio, no lavoro: Don Bosco cosa farebbe?
Sono molte le etichette che i pomposi opinion maker
dei media internazionali appiccicano alla moderna realtà
giovanile. I grandi quotidiani di lingua spagnola parlano dei
giovani come della generaciòn ni-ni: ni estudio,
ni trabajo. I facondi tuttologi inglesi precisano meglio
lidea parlando di neet generation dove lacronimo
vuol dire: Non in Education, Employment or Training generation,
cioè ragazzi che non studiano, non lavorano, né
imparano un mestiere.
In Spagna una
recente indagine demoscopica, firmata dalla società Metroscopia,
rivela che il 54% dei giovani di età compresa fra i 18
ed i 35 anni dichiara di non avere alcun progetto su cui
riversare il proprio interesse o le proprie illusioni.
Si potrebbe
pensare che i giovani siano disperati di fronte ad una tale realtà
esistenziale triste nel presente e scarsa di prospettive future.
Ebbene si sbaglia
di grosso. Infatti l80% dei giovani si dichiara pienamente
soddisfatto della propria vita e di non avere il benché
minimo progetto di cambiarla in quanto non impedisce la soddisfazione
dei loro più importanti desideri. Il non avere né
arte né parte non intacca il loro alto tenore di vita
finanziato dai genitori che si preoccupano di non far mancare
loro nulla: limportante è che non disturbino il
quieto vivere borghese.
Molti giovani
sono la personificazione del signorino soddisfatto
di cui parla il filosofo spagnolo dei primi del Novecento Ortega
y Gasset. Hanno fatto propria la filosofia di vita, insegnata
da Nietsche e Deleuze, tutta impostata sulla piena soddisfazione
di qualsivoglia bisogno. Si credono onnipotenti perché
fanno quello che vogliono; sfangano una vita post-moderna al
di là del bene e del male, al di qua del vero e del falso.
Lo scrittore
francese Bégaudeau nel suo romanzo «Verso la dolcezza»
definisce il modo di vivere giovanile con il termine forte «bordello
affettivo» che può urtare la sensibilità
ma che non manca di sintesi e chiarezza.
La famiglia
di Don Bosco, che porta, o dovrebbe portare, nel cuore una bruciante
passione educativa per la gioventù, che cosa può
concretamente fare? Forse potrebbe cominciare con il riflettere
su una bella frase attribuita a Platone che dice: Lunica buona
moneta con cui bisogna cambiare tutte le altre è la «phronesis»,
unintelligenza che sta in guardia.
Questa phronesis
salesiana dovrebbe maturare nella convinzione, fondante tutte
le altre, che, come dice il martire Ignazio dAntiochia,
il cristianesimo non è opera di persuasione, ma
di grandezza. In soldoni, dobbiamo essere grandi nella
testimonianza e non nella chiacchiera, nel moralismo o nel dogmatismo.
Don Bosco non disquisiva sui giovani, era grande in mezzo a loro,
li sfidava, li provocava, li accettava, li faceva sentire importanti.
Non imponeva
diktat ma, nella più totale fiducia, li faceva crescere
nellautostima, forniva loro quanto di meglio la tecnologia
del tempo metteva a disposizione per insegnare loro una professione,
li caricava di responsabilità che li abilitava allimpegno,
li educava alla sobrietà del vivere e del desiderare,
e con la sua personale santità di prete tutto dun
pezzo proponeva alla loro intelligenza e libertà la bellezza
di un vivere radicato nella fede di Cristo morto e risorto.
Le carte che
Don Bosco scopriva nello show down educativo con
i giovani erano vere e non taroccate. Per questo i giovani lo
hanno seguito, come lo seguirebbero anche oggi. Lui, i giovani,
li motivava perché li conosceva e li amava. E noi?
Ermete Tessore sdb
IMMAGINI:
1 Aiutare i giovani ad essere protagonisti
del loro futuro: per Don Bosco era questa la sfida educativa.
- Don Bosco, i giovani, li motivava perché li conosceva
e li amava. E noi?