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        PROBLEMI EDUCATIVI:
        FACILE INCOLPARE I GIOVANI

         Emergenza educativa

Il 21 gennaio 2008 papa Benedetto XVI ha scritto una lettera alla Diocesi e alla città di Roma, osservando che siamo di fronte a “una grande emergenza educativa... Educare non è mai stato facile e oggi sembra diventare sempre più difficile: perciò non pochi genitori e insegnanti sono tentati di rinunciare al proprio compito”. E poi ricordando gli insuccessi a cui troppo spesso si va incontro, continua: “Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove generazioni”.

Sì, è vero, la sfida è stata raccolta da molti, almeno a parole e nei proclami pubblici. Nel mondo salesiano, si è voluto rimarcare che “in questo fallimento i primi a pagare un prezzo alto e duraturo sono i «poveri», perché sprovvisti anche di capacità per far sentire la loro voce, di far presente i loro bisogni” (don F. Attard, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile). E tra questi, i tanti ragazzi che si trovano a lottare con il vuoto del non-senso, ma anche con un futuro che prospetta loro soltanto incertezze e dubbi.

“Dove abbiamo sbagliato?”

Chi da più di trent’anni segue come Cappellano i ragazzi e le ragazze di un carcere, sa molto bene che questi allarmi ritornano periodicamente, spesso quando ad entrare in carcere sono minori che esprimono il loro disagio con violenze efferate, il più delle volte in ambienti familiari o amicali. E alla domanda degli adulti, dei genitori, sul “Dove abbiamo sbagliato?”, non ci sono risposte pre-confezionate; c’è, invece, da mettere in gioco la com-passione, ossia quella partecipazione al loro dolore e alla loro ricerca, quell’accompagnamento che si traduce in progetti educativi di sostegno ai loro figli nel tempo della detenzione e “discreto” accompagnamento degli adulti in questa esperienza così negativa.

Si parla sovente di disagio dei ragazzi, ma ad essere a disagio, in difficoltà è il mondo degli adulti: genitori, insegnanti, educatori... Come osservano alcuni commentatori, siamo di fronte a “una generazione adulta che sembra non essere in grado di mostrare e di narrare il valore e la bellezza della vita, in tutti i suoi aspetti” (mons. D. Sigalini, già direttore del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile della CEI).

Una società senza spessore

Negli incontri con i genitori e gli insegnanti si è tutti pronti a denunciare la mancanza di regole e i ragazzi che non le osservano. Eppure, lo si sa, lo abbiamo sperimentato nella costruzione della nostra vita, non esiste nessun processo educativo che non abbia bisogno del contributo di un’autorevolezza che è capace di valutare e orientare anche dicendo dei no.

A proposito è sufficiente leggere alcuni sottotitoli impiegati nella presentazione del 44º Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese: “società senza regole e sogni”, “non c’è legge che tenga, ma non c’è neanche un’aspirazione autentica al meglio: rimane «il desiderio esangue», che appiattisce la società”. “Stiamo diventando una società con poco vigore perché abbiamo poco spessore”, rileva il presidente del Censis, Giuseppe De Rita.

E allora che cosa fare? La tentazione e la via di fuga più veloce e facile, lo diceva già il Papa, è “incolpare le nuove generazioni”. Lasciamole stare per un attimo. Proviamo invece a capire come si assume responsabilmente quella che la Chiesa italiana ha definito “la diaconia dell’educazione”: “Una diaconia che non circoscrive la propria azione nella sola prospettiva religiosa, perché punta ad educare donne e uomini che faranno l’Italia e l’Europa di domani” (card. Angelo Bagnasco).

L’educazione è cosa di cuore

Occorre, come adulti, riprenderci la nostra responsabilità, con un agire privato e pubblico coerente, riscoprendo ogni giorno quella legge morale che è in noi, quella chiave giusta per declinare i valori morali che hanno accompagnato la nostra crescita: l’onestà, la legalità, la sobrietà, la giustizia, la cittadinanza attiva, la solidarietà, per dirne alcuni.
Abitare quella ricerca di senso, la cui perdita stigmatizziamo tanto nelle nuove generazioni. Adeguarsi al “così fan tutti” è un rischio troppo presente oggi. Il nostro linguaggio vitale vorrebbe essere un altro.
Quello che ci accompagna da quel lontano 8 dicembre 1841. È il monito di Don Bosco: “L’educazione è cosa di cuore, e Dio solo ne è padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l’arte e ce ne dà in mano le chiavi”.

Domenico Ricca
domenico.ricca@salesianipiemonte.it


IMMAGINI:
1 I giovani vanno amati così come sono e non per come appaiono. - © Photoxpress.com - Foto Scott Griessel e Yam


      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2011 - 02  
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