DIVERTIRSI: PER CHE COSA?
Perché cerchiamo tanto di divertirci? Abbiamo diritto al divertimento a tutti i costi? Questa domanda me la sono fatta molte volte, ma per me il verbo divertirsi o l’azione che ne indica: divertimento, non dice proprio nulla.
Se con “divertirsi” si intende passare del tempo senza annoiarsi, allora inizio a capire qualche cosa. Se poi il termine indica il cercare a tutti costi un tempo di piacere, comprendo qualcosa in più. Ma ad ogni modo mi pare sia una cosa fasulla e tutto sommato senza interesse perché suppone sempre un tempo perso. Ben mi accorgo che parlando così non è che sia molto comprensibile alla gente del mondo! Perché per me non esiste il divertimento, né il fatto di cercare di divertirmi. Poiché questo indica un diverso concetto di tempo. Un rapporto col tempo che mi trova a disagio in quanto vorrebbe dire che esiste un «tempo della noia» e un «tempo del divertimento». Una divisione del tempo in buono e cattivo. Un tempo nel quale io sono in un modo e poi un tempo nel quale sono in un altro modo, quasi come se in me ci fossero due persone. Ma questa si chiama schizofrenia.

La proprietà del tempo

Il tempo non è mio. Il tempo è qualcosa che mi è dato, ma non è mio. Se voglio sentirmi contenta, tutto quello che faccio nel tempo, deve corrispondere al più profondo delle mie esigenze. Le persone che mi sono vicine, per non parlare di me, detestano “vasouiller”, si dice in francese, cioè proprio passare del tempo in un modo tale che alla fine della giornata hai un gusto di amarezza nel cuore e l’impressione di non avere dato all’essenziale la sua parte dovuta.
Si può fare di tutto e rimanere nell’essenziale, cioè nel vero e in ciò che è importante. Per me visitare un museo e stare a lungo davanti ad una pittura di Gauguin o Van Gogh o Chagall è sempre uno stare nel vero. Leggere, come ho fatto questa estate diari, corrispondenze e ricordi attorno a Tolstoj, non è un essere lontano dalla verità, così come consultare un ricettario di cucina per preparare una cena saporita agli ospiti non è perdere tempo.
Visto che oggi ogni uomo è re a se stesso, ognuno vede e vive il tempo a modo suo. Dire che a 17 anni andare a ballare per incontrare il nasino della ragazza o del ragazzo, è sentito come importante non è sicuramente essere lontani dalla verità, tuttavia queste serate in discoteca noi di età canonica non possiamo più capirle, ma rappresentano sicuramente per un giovane una cosa essenziale che forse non si può chiamare neanche divertimento poiché per lui sono le ore più importanti della settimana. Sono un appuntamento a cui non mancare anche a costo, certe volte, di perderci la vita. Certo dobbiamo chiederci perché per i giovani queste ore sono così importanti e dove abbiamo sbagliato noi nel non far trovare loro, in altri luoghi, quello che cercano in discoteca.

Quale speranza?

Più in generale, non possiamo non chiederci cosa si presenta davanti all’uomo di oggi tanto che non abbia più voglia di qualcosa di grande e pensi solo a girare pagina per pensare a qualcosa d’altro o non pensare affatto.
Come posso dire agli altri quanto sono felice nell’avere 73 anni e di avere passato l’adolescenza a Parigi in un mondo, quello del dopo guerra, ove si era ancora pieni di illusioni e di speranze.
Ma siamo sinceri, oggi in cosa può sperare un giovane? Per tutta una vita lavorare, far soldi, dormire, mangiare e poi? Anche la mancanza di figli indica questa paura del futuro, questa assenza di speranza. Io se avessi dovuto avere una vita così, non so cosa avrei fatto!
Gesù, desidera “che la nostra gioia sia perfetta”(Gv 15,11), e l’uomo ha in se stesso, anche fisicamente, il desiderio dell’incontro con il sacro, questa è una parte essenziale della sua biologia, per cui è interiormente spinto a voler conoscere quella beatitudine alla quale è chiamato e che gli è promessa.
Questa chiamata alla gioia fa parte del nostro destino ed ogni uomo la cerca a modo suo, immerso come è nei meandri di ogni società e di ogni tempo.

Assenza dell’Infinito

Ecco il problema, di quale società sono? In quale tempo sono nato? A quale paese appartengo? Sono tutte risposte chiave per comprendere l’uomo. Specialmente oggi; poiché viviamo in un mondo che sembra svuotarsi sempre più del sacro. Il tempo è ormai misurato e l’uomo non percepisce più il bisogno di eternità. Per lui l’infinito non esiste più. La musica riflette bene la condizione odierna, le sue note sono i suoni del margine dell’umano. La musica moderna, la pittura moderna, l’arte attuale parlano solo di caos, di rumore, di chiasso, le danze sono un gesticolare più o meno eccitante ed eccitato, le tele si coprono di tutto, anche di composizioni realizzate dalle scimmie, o da immondizie umane che vengono presentate come capolavori.
È la distruzione degli orizzonti del mondo così come lo abbiamo conosciuto fin’ora. Un ragazzo di 10 anni può vedere scene di violenza estrema o di fornicazione, perché tutto sembra esser diventato lecito. È ovvio che in queste condizioni lo spirito dell’uomo cerchi solo di divertirsi, di evadere, di dimenticare poiché ormai il tempo è diventato un tappeto sul quale si getta solo violenza, denaro, successo, apparenza e per raggiungere tali obiettivi, pare che l’aggressione sia la via preferenziale.

Lievito nella pasta

Sovente mi chiedo se tutta questa visione poco rosea dipende dall’età! Forse che anch’io mi trovo sulla via del rimbambimento? Non escludo nessuna prospettiva. Forse sto proprio rincitrullendo. Comunque ho molta simpatia per le nuove generazioni, sono la speranza del mondo e della Chiesa in particolare e li trovo altamente affascinanti. Ma il mondo che è offerto a loro mi sembra una grande miseria, non il mondo povero dell’Africa o dell’India non questi, ma il nostro!
Il mondo occidentale semina in me una compassione rattristata! Ma cosa mi succede! L’uomo occidentale è imborghesito con i suoi ridicoli costumi sociali, i suoi non-principi, le sue perpetue lagnanze, i suoi sottili inganni tanto che mi pare solo una marionetta in mano d’altri! Qualche volta mi pare solo un grumo biologico senz’anima e senza coraggio, un nulla, un vuoto che si agita in attesa che qualcuno scriva su di lui la parola fine.
Lasciatemi terminare questa mia geremiade almeno con una frase di speranza, detta da un uomo, uno di quelli veri:

«Vivere di amore e per l’Amore. Dare, sempre dare generosamente, senza rimpianti né paure. Sottomessi a tutti, e amanti dei poveri e dei sofferenti» (San Francesco d’Assisi).

Allora, se l’uomo è capace di questo, possiamo ancora credere che il tempo che ci è dato non è spendibile solo per il divertimento, ma acquista il suo senso e la sua pienezza quando è consumato nell’amore che si fa offerta e dono e questo lo hanno fatto i Santi di tutti i tempi e in tutte le epoche, anche in quelle tristi, come in quelle di San Giovanni Bosco e di San Massimiliano Maria Kolbe.
Sono sicura che oggi ci sono tanti santi nella folla che ci circonda, tanti sposi, tanti ragazzi e ragazze che sanno divertirsi in modo pulito e che hanno fatto la scelta della santità! È a loro che voglio pensare ricordandomi che loro sono lievito e che il lievito nella pasta non può essere tutta la pasta.
                                                                 
     Maddalena di Spello


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-11
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