<


LE BEATITUDINI / 6 :
LA MISERICORDIA

Gli esempi di Gesù

Uno dei casi più caratteristici in cui Gesù perdona i peccati è certamente quello narrato da Luca (7,36-50) e che riguarda una peccatrice (una prostituta, ben conosciuta nella città) che si butta ai piedi di Gesù, mentre è a pranzo in casa di un fariseo, e comincia a “bagnargli i piedi con le lacrime e ad asciugarglieli con i capelli, a baciarli e a profumarli di olio profumato”.
Alla donna pentita Gesù dice semplicemente: «Ti sono perdonati i tuoi peccati... La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». Il fariseo e i commensali si scandalizzano perché Gesù ha perdonato a una pubblica peccatrice, ma Gesù spiega: «È vero, ha molto peccato, ma adesso ha anche molto amato».
Con l’adultera (Giovanni 8,1-11) Gesù si comporta in modo simile. Dice prima agli scribi e ai farisei di scagliare pure le pietre contro quella donna (l’adulterio, nella legge di Mosè, era punito con la lapidazione), ma “a cominciare da chi di loro è senza peccato”. Nessuno si sente senza peccato (beninteso: di adulterio; probabilmente avevano proprio indotto quella donna a peccare con loro), e tutti hanno paura di essere svergognati da Gesù. Per questo, uno dopo l’altro – a cominciare dai più anziani! – se ne vanno. E Gesù dice alla donna: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Era più vittima che colpevole e tuttavia era bisognosa di perdono e Gesù la perdona.
Al ladro pentito che gli rivolge la parola dalla croce, Gesù risponde semplicemente: «Oggi sarai con me in Paradiso!». Il primo santo canonizzato, e da Gesù! (Luca 23,39-43).
Infine, il perdono a Pietro. Lo aveva rinnegato per ben tre volte, e con giuramento: «Non sono un suo discepolo, non lo conosco!» (cf Luca 22,54-62). E Gesù risorto se lo chiama accanto e gli domanda solo tre volte: «Mi vuoi bene?». Non lo umilia! Alla triplice risposta di Pietro: «Lo sai tu che io ti voglio bene!», Gesù risponde confermandogli la piena fiducia: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore... seguimi!» (Giovanni 21,15-19).
Questa è la misericordia di Gesù, una beatitudine che Lui ha vissuto in continuità.

Le parabole e gli insegnamenti

Ma Gesù l’ha anche insegnata, la misericordia. È famoso il capitolo 15 del vangelo di Luca, nel quale sono narrate le tre “parabole della misericordia”: la pecora smarrita, la moneta ritrovata e il padre misericordioso (o il figliuol prodigo).
In queste parabole Gesù mette in luce alcune cose che di solito ci sfuggono: innanzitutto, la festa che si fa in cielo per ogni peccatore pentito e perdonato. Noi, di solito, quando vogliamo porre rimedio alla nostra infedeltà e lontananza da Dio, parliamo di andarci a confessare. Dire i peccati è un fatto importante, ma nel sacramento è forse la cosa meno importante. Sono più importanti il pentimento, la volontà di ritornare al Signore, l’amore per Lui e il prossimo, da far rivivere. Ma più importanti ancora sono il perdono con cui Dio ci fa nuovi, e la festa che si fa in Paradiso! A questo perdono e a questa festa pochi peccatori pensano sufficientemente. Eppure, l’opera di Dio è più importante della nostra!
Nel “Padre nostro” Gesù ci fa chiedere al Padre di perdonare i nostri peccati come noi perdoniamo chi ci offende. “Come” è nel testo di Matteo 6,12, mentre in Luca 11,4 si dice: «perché anche noi perdoniamo». È cioè un impegno che Gesù esige da tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli e figli di Dio. Non siamo figli – e quindi nemmeno perdonati – se non perdoniamo!
A Pietro che gli domanda quante volte deve perdonare (fino a sette volte?), Gesù risponde: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre (Matteo 18,22) e subito racconta la parabola del servo che aveva ricevuto il condono di un grosso debito ma poi non ha saputo condonare al suo collega un debito infinitamente più piccolo. Quando Dio perdona, compie un gesto splendido che anche noi possiamo – e dobbiamo! – imitare.

Misericordia non è debolezza

Appare molto chiaro dal Vangelo che la misericordia di Dio non è debolezza. Basta leggere certi interventi molto severi di Gesù, per rendersene conto. A prima vista, può sembrare che qualche volta Gesù si lasci andare a espressioni molto dure perché perde la pazienza. In realtà, Gesù è talmente compreso dell’infinita bontà del Padre (e sua!), che di fronte alla cocciutaggine, all’ipocrisia e alla menzogna non può reagire se non con estrema fermezza.
Gesù è duro per amore, come del resto fanno i genitori quando vogliono far capire ai loro figli il male che c’è nel peccato. C’è molta differenza quando un papà o una mamma si arrabbiano in modo inclemente, e quando invece usano parole forti e sguardo severo per far capire la bruttezza del male. Chi è superbo si arrabbia, chi è umile è severo, ma senza animosità.
Pensare a un Dio misericordioso per debolezza vuol dire non aver capito Dio come l’ha invece capito Maria, che nel Magnificat canta la misericordia di Dio “di generazione in generazione”, pur “spiegando la potenza del suo braccio” (Luca 1,50-51).
Dio non lascia correre nemmeno un’imperfezione, semmai la paga di persona sulla croce del Figlio. La morte di croce non è un castigo voluto dal Padre per il Figlio Gesù, ma è un miracolo di amore. Per non colpire noi – ma colpire il male e distruggerlo – Dio ha scelto la via della croce: uno spasimo tremendo, ma voluto tutto per il nostro bene. Un perdono senza la croce sarebbe stato debolezza, come quella di un papà o di una mamma che fa finta e non si coinvolge, magari soffrendo, per estirpare i difetti dai figli.
Gesù si è abbassato fino all’abisso dei nostri peccati, ma per poi riportarci a galla, alla vita di santità: “Siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli» (Matteo 5,48).

... perché otterrete misericordia

Non va trascurata la spiegazione che Gesù dà di questa beatitudine. La misericordia offerta è garanzia e premessa di una misericordia ottenuta. Dio sa che non siamo perfetti, non si stupisce e non si accanisce contro di noi. Ma siccome ci vuole perfetti come Lui (è per questo, e solo per questo, che ci ha creati), vuole che siamo come Lui per quanto ci è possibile.
Noi non potremo mai creare il mondo, in questo non possiamo imitare Dio. Ma possiamo perdonare, e in questo possiamo essere “come Dio”. Satana ha ingannato Adamo ed Eva prospettando loro che sarebbero diventati “come Dio” disobbedendo. Gesù ci insegna che diventiamo “come Dio” se perdoniamo!

La gioia del perdonare

Concludiamo con una riflessione stupenda di Sant’Ambrogio che, nel descrivere e spiegare i giorni della creazione, conclude dicendo che Dio, al settimo giorno, cessò di lavorare e si riposò. Perché? “Perché finalmente, creando l’uomo, aveva qualcuno a cui concedere il perdono!” (Esamerone).

                                                                    Don Rodolfo Reviglio


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-8
VISITA Nr.