E SE DOPO IL MATRIMONIO...?

Rev.do Direttore,
forse sarò un po’ apprensiva, ma la cosa riguarda mia figlia. Niente di male. Anzi, mio marito ed io siamo contenti di lei. In questi mesi, poi, siamo tutti un po’ presi dalle tante preoccupazioni per il prossimo matrimonio. Sì, mia figlia si sposa! E di questo ne siamo felici. Lei, io, suo padre, i parenti. Tutti, insomma. Avrà un bravo marito. Un ragazzo di buona famiglia che conosciamo e stimiamo. Però, sa come sono le cose. Ogni tanto penso con angoscia: “E se non dovesse andar bene?”. Le dico questo perché ho visto altri matrimoni, iniziati nel migliore dei modi e poi… Non vorrei che questo capitasse anche a mia figlia. So che loro due si vogliono bene. Ma così sembrava anche per tanti altri.
                                                       Teresa Foresti - Civitavecchia


Gentile Signora,
pur nella sua brevità, il biglietto che lei ha inviato è un fedele specchio delle sue naturali e più che giustificate apprensioni. Non in merito alle qualità morali, di rettitudine, semplicità e genuinità di sua figlia o del suo futuro marito, quanto piuttosto sul carattere squisitamente incerto del comportamento umano. Non a caso lei sottolinea come tanti altri matrimoni, iniziati con la migliore lista nozze, sono poi terminati col servizio da dodici usato per esprimere quei sentimenti matrimoniali che faticavano ad essere espressi in altro modo se non che con il lancio del disco. Così, dopo pochi anni o anche solo, purtroppo, alcuni mesi, si sono raccolti non solo i cocci delle porcellane matrimoniali, ma anche quelli del cuore e della vita.
Se le cause di questa situazione, sempre più dilagante, sono molte, i rimedi possono essere semplici. Alcuni, con equilibrio e coscienza, vanno attuati prima del matrimonio, altri, con saggezza, comprensione e sacrificio, è bene applicarli nel corso della vita coniugale.
Il problema è che questi rimedi, proprio perché semplici, non sono facili da realizzare, a causa dell’accidia: la tendenza dello spirito umano a dire di no a soluzioni che sono a portata di mano, e che risolverebbero molti problemi. Si preferisce, invece, chiudere un occhio, piuttosto che iniziare un vero cammino di crescita e di rinnovamento.
La prima verifica riguarda gli sposi stessi. Si conoscono realmente? Sanno quali sono i limiti dell’altro? Si amano per questi limiti che hanno? (Si amano, non si sopportano!). Sanno quali sono i bisogni reciproci? Senza la conoscenza e l’amore che nasce da tale conoscenza è conveniente non sposarsi.
Il secondo criterio di verità non è mai dato dalla gratificazione che i due futuri sposi provano stando insieme. La psicologia ci dice che le ragioni per cui due persone stanno bene insieme possono essere varie e anche assai contraddittorie. Il sentimento di appagamento non è la ragione che sostiene a lungo un rapporto. Tutt’al più, può essere la scintilla che accende la fiamma dell’amore, ma se questa deve durare a lungo, allora il suo combustile deve essere un altro: la volontà di amare l’altro così come egli è, perché lui è lui e lei è lei.
Il terzo consiglio si può sintetizzare in questo modo: “Se vuoi conoscere il tuo sposo, o la tua sposa, guarda come si comporta quotidianamente in casa”. Attenzione, non quello che i genitori dicono di lui o di lei, ma come lei o lui si comportano quando entrano in casa, quando sono seduti sul divano o davanti alla televisione, come trattano i fratelli o le sorelle, come si comportano con i genitori quando chiedono loro un impegno o come reagiscono davanti a qualcosa che non piace loro. In queste occasioni, i futuri sposi manifestano il loro vero carattere poiché proiettano sui genitori la stima che avranno del loro consorte dopo pochi mesi. Questa cosa potrebbe sembrare un po’ contorta, ma l’esperienza dimostra che non è lontana dal vero.
L’amore è apertura a ciò che è altro da me. Per questo, superato l’entusiasmo dell’innamoramento, si è maggiormente in grado di valutare la realtà dell’altro che sta di fronte e considerarla per quello che è: non ciò che essa è a mio favore, ma ciò che io posso fare in suo favore.
E qui veniamo alle attenzioni da mostrare durante il matrimonio. Gli sposi pensano che sia sufficiente volersi bene e che con questo tutto si può aggiustare. Vero; peccato che non funzioni. E non potrà mai funzionare perché volersi bene è necessario ma non sufficiente. Occorre sapere cosa intende l’altro quando si sente dire: “Ti voglio bene”. Chi dice questa frase, forse, sa appena lui cosa vuole dire. Ma è talmente impegnato a dirla che non sente cosa comprende l’altro quando ascolta queste tre magiche parole. E a forza di non ascoltare l’altro, perché troppo impegnati a sentire i nostri sentimenti, finiamo per pronunciare non più una frase magica ma una formula maledetta. Questo avviene perché i bisogni di amore di uno non sono i bisogni di amore dell’altro. E quasi mai lo sono. Infatti i due si sono innamorati proprio perché diversi e non uguali. Ora, dopo il matrimonio questa diversità emerge e bisogna ascoltarla, farla crescere, rispettarla, nutrirla e rafforzarla, perché costituisce l’identità dell’altro.
Troppe volte i motivi di separazione sono gli stessi che hanno portato i due all’altare. Solo che si sono manifestati in modo diverso, utilizzando un linguaggio diverso, e non sono stati realizzati. Forse perché si è troppo impegnati nel “voler bene all’altro” piuttosto che essere disponibili ad ascoltare. Questa disponibilità a sapersi ascoltare reciprocamente, piuttosto che voler sempre gridare il proprio affetto, è la piccola via, umile e semplice, per far riuscire un matrimonio. In tal modo si giunge a conoscere il linguaggio d’amore di cui ha bisogno l’altro. Ciò significa conoscere i suoi bisogni che sono diversi dai miei. Se io amo l’altra persona, riconosco la diversità dei suoi bisogni dai miei e scelgo di realizzare questi suoi bisogni di attenzione, tenerezza, ascolto, gratuità e accoglienza. Questo richiede sensibilità e sacrificio; rinuncia di sé affinché l’altro sia felice. E in questa sua felicità vi è anche la mia. Con il matrimonio inizia questo cammino nel quale uno sceglie di far felice l’altro ed è responsabile della felicità dell’altro.
Responsabile davanti a chi? Davanti a Dio che gli ha donato il coniuge perché ha avuto fiducia in lui. È come se Dio gli avesse detto:“Io so quale deve essere la felicità della persona che ti affido. Ed ho fiducia in te. So che tu hai tutte le possibilità per renderla felice, così come la renderei felice io che l’ho creata”.
È ovvio che in questo clima, la crescita della coppia nella conoscenza e nell’amore reciproco, avviene nella preghiera. Non solo nella preghiera che la moglie fa per il marito o questi per la moglie, ma proprio nel pregare insieme. Questa esperienza rafforza il vincolo d’amore fra i due e infiamma ancor di più i cuori.
A conclusione di questa lunga, ma non certo esauriente risposta, non mi resta che augurare a sua figlia un felice matrimonio, che, a quanto mi è sembrato di capire, dovrebbe svolgersi nel mese di maggio; sotto lo sguardo fiducioso e materno di Maria. Auguri ancora e, anche se non sarò presente alla festa, ricorderò volentieri nelle preghiere questa giovane famiglia cristiana.
                                                                      Giuseppe Pelizza SDB

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-3
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