IL RIPOSO NELLO SPIRITO
Si racconta del Duca di Norfolk, che un giorno disse ad uno dei suoi servi: «Beati voi, che lavorate tutto l’anno e ogni tanto vi prendete un po’ di riposo! Almeno ve lo gustate! Invece noi, senza incombenze e senza impegni, non sappiamo più cosa voglia dire: godersi un po’ di riposo!».
Gli anni in cui la nobiltà affogava nella noia non appartengono ad un passato che si perde nelle nebbie della memoria. Quegli anni sono quanto mai i nostri. Non certo perché esista ancora una nobiltà tediata che si pone quale modello alla società, piuttosto perché il benessere ha distribuito un po’ a tutti quei benefici che un tempo erano appannaggio solo di una componente, per altro molto ristretta, della società.

Inutile nascondere che le condizioni di vita sono notevolmente migliorate, anche solo rispetto a cinquant’anni fa. Ma al miglioramento economico non sempre si è accompagnata un’elevazione dello spirito. Non si tratta di fare del facile pessimismo, quanto constatare come la noia sia uno dei mali del nostro tempo, anzi una caratteristica che colpisce vari strati della società, e quello che può sorprendere, attraversa tutte le generazioni.

Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura e uno dei massimi poeti italiani, aveva definito la noia come la condizione della nostra vita, una malattia da cui non si guarisce.
Il cristiano non può accettare questa affermazione come una sentenza definitiva né sulla vita, né sul nostro tempo. Per qualche facile maestro dello spirito, il cristiano è ottimista per definizione. Forse. Talvolta, l’ostentato ottimismo produce solo una reazione avversa che allontana dalla fede, invece di avvicinare chi ne avrebbe più bisogno. Il cristiano è realista, non nasconde la croce e le difficoltà, ma assume la fatica e la fa propria accettando la condizione umana senza fughe, nascondimenti o ripiegamenti.

Come in tutte le appartenenze sociali troviamo la noia quale malattia mortale dello spirito, così in tutti gli strati della comunità umana ritroviamo persone che non conoscono il tedio e la stanchezza della vita.
Non è il benessere la causa prima dell’insofferenza, ma la perdita del senso, la scomparsa della meta. È questo che conduce allo smarrimento dello spirito, al disagio e all’insoddisfazione.
Quello che sovente incontriamo sulle nostre strade, è un uomo che deve essere ricostruito e a cui occorre ridare un motivo d’esistere e non tanto un uomo che debba riposare.

Qualunque alternativa alla monotonia quotidiana, anche se ricercata con frenesia e spasmo, quando si è perso il sapore dei giorni feriali, non induce alla riscoperta di sé o all’arricchimento, poiché il malessere della vita è già dilagato nelle regioni dell’anima. È la quotidianità che si è svuotata di senso, non sono le vacanze che hanno perso il loro fascino.
Don Bosco, vero maestro dello spirito, amava ripetere: «Ci riposeremo in Paradiso», lui che, come disse il suo medico curante al termine della vita, si era consumato di lavoro.

Non v’è dubbio che i tempi sono cambiati, ma la sostanza del suo insegnamento resta. Se per molti il tempo del riposo produce soltanto stordimento o apatia, è perché il tempo del lavoro si è dissipato nella ricerca di un fine che non è il suo: la realizzazione della creazione secondo il piano d’amore di Dio.

Più volte il Papa ha sottolineato l’importanza delle vacanze quale tempo privilegiato che permette all’uomo di riacquistare la sua dimensione interiore. Tempo prezioso per raccogliere quelle ricchezze spirituali che l’impegno, anche frenetico, gli ha fatto disperdere.


Se vogliamo che le nostre vacanze non ci regalino tediosità e insofferenza, facciamo a noi stessi il regalo di un tempo spirituale. Intessuto non solo di riposo fisico o di svago, ma un tempo in cui predomina il Signore con la sua presenza. Saranno momenti di silenzio e di preghiera, giornate di ritiro o settimane di esercizi spirituali.

Le modalità sono le più varie, ma la certezza è una sola: là dove c’è il Signore della vita, non c’è spazio per la noia o lo sconforto, perché c’è Lui, fonte della gioia che, non annulla la fatica delle ore, ma infonde in tutto ciò che facciamo il calore del suo meriggio e ci fa dire con Maria: «L’anima mia esulta in Dio mio salvatore!» (Lc 1,46).
                                                                                                                                            ppe                                                              
          Giuseppe Pelizza sdb


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-7
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