LA PACE, UN SEGNO ABUSATO?

Rev.do Direttore,

non le pare che il segno della pace che ci scambiamo durante la Messa sia da evitare, o per lo meno, da limitare solo ad alcune circostanze? Non poche volte, proprio prima della Comunione, questo gesto rappresenta una vera distrazione. Causa disordine e non favorisce il raccoglimento. Non credo che la partecipazione dei fedeli ne perda se questo gesto venisse limitato. Certo, la mia è solo un’opinione, tuttavia, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa lei in proposito.
                                                                        Angela Ludovisi - Roma


Gentile Signora,
non nascondo che la sua osservazione contiene un fondo di verità. Ma non mi riferisco al fatto, pur evidente e a molti, che lo scambio della pace appaia, talvolta, come un gesto abusato. La sua lettera, anche senza volerlo, evidenzia una mancanza più estesa e, purtroppo, meno evidente. Con l’avvio della riforma liturgica – ormai sono passati quasi quarant’anni – ci si proponeva di avvicinare i fedeli alla comprensione del Mistero e favorire la loro partecipazione attiva. In tal senso, non si può negare che molto sia stato fatto e i segni positivi di questo cambiamento sono evidenti. La Messa viene celebrata in lingua italiana, tutti la comprendono e la partecipazione dei fedeli ne ha sicuramente guadagnato. Pensiamo a cosa sarebbe oggi la Messa, se fosse obbligatoriamente ancora in latino! In questi anni, tuttavia, stanno emergendo nuove esigenze da parte dei fedeli. Si è compreso che capire tutto, solo perché detto in una lingua a tutti comprensibile, non significa svelare tutto. Anzi, non sono pochi oggi, quelli che desiderano il ritorno, se non al latino, almeno a forme che esprimano ancora il senso del mistero. Su questo punto, però ci sarebbe molto da dire e il poco spazio che abbiamo non ce lo consente. Basti sapere che la parola “mistero” non significa “non comprensibile”, bensì “evento della vita di Cristo” che i fedeli dovrebbero, invece, ben conoscere. Tuttavia, rimane un’esigenza della natura umana, quella di esprimere anche mediante forme non del tutto comprensibili, il rapporto con il mondo divino.
Mi viene in mente, a proposito, un fatto raccontatomi da un amico missionario, oramai scomparso. Proprio all’indomani del Concilio, con l’introduzione della Messa nella lingua popolare, anche lui dovette cercare di adattare i testi nella lingua delle tribù che si erano convertite al cattolicesimo. In poco tempo, però, dovette fare marcia indietro. I capi tribù si riunirono in consiglio e decisero che la Messa doveva continuare ad essere celebrata in latino! Perché? Per il semplice fatto che i loro antenati, quando si rivolgevano alla divinità non usavano la lingua di tutti i giorni, ma una lingua speciale che era conosciuta solo dagli sciamani. Ora la lingua speciale che usavano con Dio era il latino e questo in buona parte era conosciuta solo dal sacerdote. Tutto ciò era per loro garanzia della validità del rito.
Le ho raccontato questo episodio per dire che la nostra natura umana desidera certamente capire quel che fa, ma ha anche un profondo desiderio di esprimersi mediante simboli che non sempre siano perfettamente comprensibili. Ne è prova il dilagare incontrollato di riferimenti esoterici che invadono le nostre società altamente tecnologizzate.
A riguardo della Messa, occorre dire che la preoccupazione di molti è stata, giustamente, quella di tradurre in parole e gesti comprensibili quello che si celebrava, ma non sempre si è prestata attenzione a spiegare il senso di ciò che si faceva all’altare. Se a ciò si aggiunge la crescente ignoranza in fatto di religione, si comprende tanto il suo disagio, quanto quella vivacità fuori luogo che lei denuncia nella sua lettera.
Lo scambio della pace, che sarebbe meglio tradurre con “l’offerta della pace”, è un gesto ampiamente utilizzato dai primi cristiani (1 Tess 5,26; 1 Cor 16,20; 2 Cor 13,12; Rom 16,16; 1 Pt 5,14), mediante il bacio santo o dell’amore (en filémati aghìo). Questo gesto esprime due valori.
Indica il perdono reciproco vissuto all’interno della comunità. Perdono che può essere dato anche a persone che non si conoscono, proprio perché l’altro che incontro, anche casualmente fra i banchi della chiesa, è segno del “fratello” a cui perdono tutto quello che devo perdonare. Il secondo significato è quello della pace di Cristo che viene a me dal Signore risorto. Il primo senso è l’applicazione del brano di Matteo 5,23: “Se presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia il tuo dono e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello”. Questo perché non possiamo vivere la pienezza della nostra comunione con Cristo se nel cuore abbiamo astio e rancore verso qualcuno. Anzi, come dice il testo evangelico, questo gesto deve essere fatto se sappiamo che qualcuno ha qualcosa contro di noi, e non necessariamente se noi siamo in lotta con qualcuno. Gesù ci ricorda che dobbiamo essere disposti ad offrire la pace a chiunque e ad evitare le occasioni perché gli altri siano in lotta contro di noi.
Il secondo senso scaturisce dalla Risurrezione di Gesù. La sera di Pasqua, entrando nel Cenacolo, il Risorto dice: “Pace a voi” (Gv 20,19; Lc 24,36). Saluto che ripete anche la seconda volta quando torna per mostrare le ferite della passione a Tommaso (Gv 20,26). È la pace fra il cielo e la terra che Gesù ha realizzato con la sua morte e Risurrezione e che da Risorto offre a tutti gli uomini che lo accolgono. È quella pace che Lui aveva promesso la sera prima di morire: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace; non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,27) e ora è finalmente realizzata e scende sull’umanità assetata di riconciliazione. Questa pace sarà portata dai discepoli per le strade del mondo, ben sapendo che può anche essere rifiutata (Mt 10,13).
Questa pace, capace di riconciliare il mondo, poiché questi è stato riconciliato con il Padre, proviene da Cristo. E solo da Cristo. Il gesto liturgico, dunque, dovrebbe mostrare questa preminenza pasquale. Al momento dello scambio della pace, il sacerdote abbraccia chi gli sta accanto e poi, solo in un secondo momento, questo gesto viene portato dall’altare ai fedeli i quali possono iniziare ad offrirsi reciprocamente la pace. Un gesto, dunque, ben diverso dal saluto del “buon giorno”.
                                                                
    Giuseppe Pelizza
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-4
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