LA CONFESSIONE: SACRAMENTO DA RISCOPRIRE - 2
Gesù Cristo cerca il peccatore,

Il peccatore cerca...chi?

Un incontro rivelatore

Il racconto dell’incontro di Gesù con Zaccheo è narrato dal solo Luca al capitolo 19 (1-10). L’episodio è conosciuto: questo pubblicano (esattore delle imposte e, pertanto, ritenuto ladro di professione) voleva conoscere Gesù ma, essendo piccolo di statura, pensò di salire su una pianta per vederlo meglio, restando per di più nascosto tra i rami, per non essere visto dalla gente, che lo odiava.
Ma Gesù, passando sotto, guardò in alto e lo vide e gli disse: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Tutto felice scese e andò a casa a preparare per l’ospite divino. Al termine del pranzo fece la sua confessione pubblica, o meglio: manifestò i suoi propositi, di una vita nuova, tutta aperta al bene degli altri e soprattutto dei poveri.
C’è un particolare che non va passato sotto silenzio. L’evangelista Luca dice – all’inizio – che Zaccheo cercava di vedere Gesù. Al termine del pranzo, dopo il generoso pronunciamento del neo convertito, Gesù commenta dicendo: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa (...); il Figlio dell’uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Il verbo “cercare’’ compare due volte nel racconto: prima per indicare che Zaccheo cercava Gesù, e alla fine per rilevare che, in realtà, era Gesù che cercava Zaccheo. Per salvarlo!
Il Papa – nella sua Lettera ai sacerdoti del Giovedì Santo di quest’anno, che parla della confessione – costruisce la sua riflessione a partire dall’episodio di Zaccheo; pertanto mi sento confortato ad attingere anch’io a questo episodio. E credo giusto partire proprio dal verbo cercare, che indica i due movimenti: del peccatore che cerca Gesù e di Gesù che cerca il peccatore.
In realtà, il muoversi di Zaccheo che cerca di vedere Gesù è suggerito, sebbene lui non lo sappia, da Gesù stesso: è Gesù che, cercando Zaccheo per aprirlo al suo perdono e ad una vita nuova, gli mette in cuore il desiderio di cercarlo. E Gesù lo chiama per nome: «Zaccheo, scendi subito!». Il Papa commenta: «Sentirsi chiamare per nome. Sapersi conosciuti ed accolti in ciò che siamo, nelle nostre qualità più personali, ci fa sentire veramente vivi» (n. 9).

Il nostro cercare

Quali sono i motivi per cui andiamo a confessarci? Alcune persone fissano un periodo: ad es. una volta al mese (per molti: il primo venerdì del mese), ogni 2-3 mesi, o nelle grandi solennità, Natale... Pasqua... Ci sono quelli che, per una reminiscenza del catechismo, si confessano ogni anno a Pasqua.
Altre persone sono mosse da motivi vari: “mi sposo”, “si sposa mia figlia”, “il mio bambino fa la prima Comunione”... oppure in occasione di un funerale, della morte di una persona cara... Ancora: in occasione di un pellegrinaggio, di una grande ricorrenza... prima di un intervento chirurgico. Tutti motivi più o meno validi, a seconda anche della situazione spirituale delle singole persone.
Il Papa, nella sua Lettera, scrive: «Alcuni fedeli arrivano a confessarsi senza neppure sapere bene che cosa vogliono» (n. 5). Giunge anche a dire (sempre al n. 5): «A volte gli incontri di Dio con l’uomo hanno proprio l’apparenza della casualità. Ma nulla è casuale sul versante di Dio».
Il vero motivo, quello più perfetto, è la volontà di convertirsi, il desiderio di ricevere il perdono del Signore e di cominciare una vita nuova, di “ritornare nella casa del Padre”. Nella parabola del figlio prodigo e del padre misericordioso (Luca 15, 11-32), il motivo che porta il figlio perduto a ritornare a casa è, a prima vista, un po’ egoistico: «Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!». Dobbiamo però riconoscere che il figlio non torna a casa di una persona qualsiasi, ma a casa di suo padre, perché è suo padre: torno da Papà! Questo deve essere il motivo del nostro ritorno, della nostra conversione e, dunque, della nostra confessione!
Il confessore, ogni volta che si trova davanti un penitente, è bene che lo aiuti a raggiungere il motivo più vero, più giusto. E la riflessione può essere questa: “il penitente si rivolge al prete, ma attraverso il prete si rivolge al Padre. Riconosce dunque, almeno implicitamente il progetto di Dio e il suo amore, capisce la malizia del peccato e sente il bisogno di riconciliarsi: finalmente ti ritrovo e cado nel tuo abbraccio!

Il cercare di Dio

Ma «prima del nostro invito, e prima ancora delle nostre (dei sacerdoti) parole sacramentali, i fratelli che chiedono il nostro ministero sono già avvolti da una misericordia che li lavora dal di dentro». Sono parole del Papa (n. 6 della Lettera).
Scrive ancora il Papa (n. 5): «Se non ci fosse stata, ad un certo punto, la sorpresa dello sguardo di Cristo, Zaccheo sarebbe forse rimasto muto spettatore del suo passaggio tra le strade di Gerico. Gesù sarebbe passato accanto, non dentro la sua vita».
Approfondiamo. Nel nostro stato di peccatori cerchiamo, forse senza accorgerci, un rifugio, un perdono, un ristabilimento della nostra pace, della nostra integrità; ebbene, questa pace e questa integrità le cerca anche Gesù, le cerca anche il Padre, perché vogliono comunicarci la loro sete di amore e di beatitudine. Le beatitudini proclamate da Gesù sono l’illustrazione e l’illuminazione del progetto della creazione; quando ci ha creati, Dio ci ha fatti capaci di viverle tutte e otto, e ora gode di farle riemergere in noi.
Per questo, ogni confessione è molto impegnativa da parte di noi peccatori: è una volontà di ritorno alle beatitudini! Ma è ancora più impegnativa da parte di Dio (e quindi del confessore che lo rappresenta): è un ritorno al progetto della creazione. Dio ci cerca, più di quanto noi cerchiamo Lui!
In pratica, dovremmo augurarci che ogni confessione – sì! ogni confessione! – finisca sempre con un inno alla misericordia del Padre, un momento di gioia e di pace che confessore e penitente si scambiano e condividono: «L’anima mia magnifica il Signore... la sua misericordia si stende su coloro che lo temono!».
Concludiamo allora con il Papa: «È la misericordia a spingerlo (il penitente) sulla strada della conversione. L’uomo, da se stesso, non è capace di nulla. E non merita nulla. La confessione... è un approdo di Dio nella casa dell’uomo» (n. 6).

                                                                  Don Rodolfo Reviglio


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-7
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