LA CONFESSIONE:
PECCATI E PECCATO.
DALL'ACCUSA DEI PECCATI AL 'CUORE NUOVO'

Peccati e peccato

Nella mentalità corrente – per un’abitudine che risale a secoli – la preoccupazione dei fedeli che vanno a confessarsi è soprattutto quella di “dire” i peccati, di dirli tutti e di dirli nel modo giusto. Alla preoccupazione di “dire” i peccati si aggiunge quella di “pentirsene”. E tutto questo è giusto, ma è chiuso in una visione un po’ troppo angusta che offusca la bellezza e la ricchezza di questo sacramento.
Troppa attenzione viene data ai peccati (plurale) e troppo poca attenzione al peccato (singolare). Il vero male non consiste tanto nel fatto che uno ha commesso questo o quel peccato, ma nel fatto che uno “ha peccato”. Tutti i peccati cadono sotto una medesima caratteristica; e qual è questa caratteristica? È facile rispondere che il peccato è un’offesa fatta a Dio. È vero. Ma è troppo poco ridurre tutto all’offesa. D’altronde, Dio che è tanto buono, perché si offende?
È male offendersi? Tra noi ci sono persone molto buone, che “non si offendono”. Ebbene, proviamo a trattare male una persona che non si offende. Pensiamo ad una santa mamma, ad un santo papà che non si offendono per gli insulti di un figlio degenere. Non si offendono, è certo. Ma quanto ne soffrono! E soffrono tanto più, quanto più amano quel figlio...
Dio non si offende per i nostri peccati, ma il suo amore infinito ne soffre: alla maniera di Dio, si intende, ma anche Dio soffre quando vede che l’amore non è capito, e viene respinto. E Dio non soffre per sé, ma per noi, perché vede un figlio perdersi. Come il padre della parabola del figliol prodigo.

I nostri peccati in rapporto alla Chiesa

Nei primi secoli del cristianesimo il fatto del peccato e dei peccati veniva visto come un problema che intaccava la purezza della Chiesa; lo si risolveva (parliamo dei peccati più gravi e pubblici, quali l’omicidio, l’adulterio e l’apostasia) escludendo il colpevole dalla comunità, e poi riammettendolo dopo la penitenza e il perdono.
In seguito, dal Medioevo in poi, la disciplina della penitenza è andata sempre più privatizzandosi e il sacramento del perdono ha acquistato una fisionomia più individuale.
Oggi, dopo il Concilio e dopo le prime iniziative di revisione del Rito della Riconciliazione, si sono instaurate nuove possibilità per far prendere coscienza, a tutti i fedeli, del rapporto tra i loro peccati e la comunità cristiana. Le celebrazioni penitenziali comunitarie – con l’accusa fatta singolarmente al confessore e l’assoluzione da lui ricevuta – ci aiutano a vedere i nostri peccati tanto in rapporto al Padre, e a Gesù, quanto in rapporto ai fratelli: alla Chiesa, la Sposa del Signore!
Questa coscienza del peccato che ferisce la comunità deve venire più rimarcata e crescere nelle nostre coscienze. In ogni Eucaristia, infatti, chiediamo perdono a Dio ma anche ai fratelli, che abbiamo impoverito, con le nostre colpe.

Alcuni peccati poco confessati

Pochi cristiani si accusano di avere poca fede; eppure questo è un peccato diffusissimo. Si ha poca fede quando non la si coltiva: non si cerca di conoscere Gesù come Amico, come Maestro, come Sposo, come Dio! Si perde tanto tempo davanti alla televisione, ma non si ha tempo (non interessa!) per aprirsi alle confidenze di Gesù, contenute nei Vangeli! Si possiedono, appiccicate in testa, alcune nozioni di catechismo, e basta. Ma questa non è fede.
La fede è attaccamento appassionato a Gesù, al Padre, è desiderio di essere ripieni di Spirito Santo!
Altri peccati poco o nulla confessati sono: i peccati contro la povertà (si spende molto per noi e non si pensa ai tanti che muoiono di fame; non si cercano i veri poveri da aiutare – e quante iniziative ci sono, a cui potremmo dare il nostro contributo – e così rifiutiamo di aiutare Gesù). (“L’avete fatto a Me... non l’avete fatto a Me!” cf Mt 25).
Un peccato, di cui è difficile pentirsi, è quello di non sapere o di non volere perdonare. Eppure Gesù ha detto – e ce lo fa ripetere in ogni Padre nostro –, che non saremo perdonati da Dio, se non perdoniamo i nostri fratelli.
Un’altra categoria di peccati poco confessati riguarda i peccati di omissione. Ci si confessa facilmente di non essere andati a Messa la domenica, perché questo è un precetto (quanti vanno a Messa solo perché è precetto!), ma tanti doveri di giustizia, di riparazione, di misericordia, di sincerità non compiuti... quante reticenze, quanti tirarsi indietro per comodità o per non correre rischi..., quante omissioni nell’educazione dei figli! Chi li confessa?

Accusa, pentimento e cuore nuovo

Tra accusa e pentimento noi facciamo una distinzione, doverosa; non basta accusare i peccati, bisogna pentirsi. Quando si ha la vera coscienza del peccato, che è tradimento dell’amore infinito di Dio, l’accusa non è disgiunta dall’amore verso il Padre, da un amore che si vuole ripristinare ad ogni costo; chi si confessa bene, si confessa sempre con amore e per amore!
Il sacramento della Riconciliazione non ha lo scopo – piuttosto squallido – di cancellare i peccati, quasi che essi siano una cosa esterna a noi, ai nostri sentimenti, al nostro cuore. Dio, perdonandoci, cambia il nostro cuore, come promette già per bocca del profeta Ezechiele: “Darò loro un cuore nuovo e metterò dentro di loro uno spirito nuovo; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne” (Ez 11,19).
Quando accusa e pentimento sgorgano da un cuore che vuole ritornare ad amare, allora il sacramento della Riconciliazione diventa la cosa più stupenda. Non bisogna ridurre l’accusa a un elenco delle colpe, bisogna aprirla sulla prospettiva di un amore interamente rinnovato.

Dalla conversione all’amore

Quando Pietro rinnegò Gesù e, dopo la morte e la Risurrezione, lo incontrò, ebbe paura che Gesù gli facesse una reprimenda. Ma Gesù lo chiamò, e non gli fece alcun rimbrotto, non gli ricordò la colpa, gli ripeté solo per tre volte la stessa domanda: “Mi ami? Mi ami più di quanto mi amino gli altri?”. Gesù è stato di una squisitezza e di una delicatezza straordinarie.
E Pietro, con tutto il cuore, gli rispose per tre volte: “Tu sai che ti amo!”. Probabilmente, la risposta di Pietro va interpretata in questo senso: “Io non oso più dirti – con la presunzione e la spudoratezza di prima della Passione – che sarei disposto a dare la vita per te; ti dico soltanto, con compunzione ma con fiducia: Gesù, lo sai tu se io ti amo! Io non oso più rispondere da me, fidandomi di me!”.
Andiamo alla confessione con fiducia e amore, con umiltà e confidenza. Il “dire i peccati” diventa una cosa facilissima, un autentico bisogno dell’anima, quando alla radice c’è tanta voglia di sentirci abbracciati e perdonati da Lui: come il figliol prodigo davanti a suo padre. Come Pietro davanti a Gesù.
                                                                        
 Don Rodolfo Reviglio


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-10
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