LA CONFESSIONE:
LA MISSIONE DEL CONFESSORE

Mettiamo a confronto confessore e penitente

Su questa rivista – che certamente viene letta da laici e laiche, religiosi e religiose, nonché da sacerdoti (quindi confessori) – non si può parlare del sacramento della Riconciliazione su un solo versante.
Vorremmo che queste poche e semplici riflessioni venissero lette da chiunque, sia con gli occhi, il cuore e la mente, del penitente, sia con gli occhi, il cuore e la mente, del confessore. Non si intende in alcun modo fare delle critiche né agli uni né agli altri, ma solo offrire delle semplici considerazioni, dettate dall’amore della verità, della carità e della santità.
E per cominciare bene, diamo un po’ di spazio al Santo Padre, che nella Lettera ai Sacerdoti dell’ultimo Giovedì Santo (2002) ha detto delle cose molto belle e importanti: “Dio conta anche su di noi [si intende: i sacerdoti confessori], sulla nostra disponibilità e fedeltà, per operare i suoi prodigi nei cuori. ... L’abbraccio del Padre, la gioia del Buon Pastore, devono essere testimoniati da ciascuno di noi, nel momento in cui siamo richiesti di farci, per un penitente, ministri del perdono” (n. 4).
“Ogni nostro incontro con un fedele che ci chiede di confessarsi (...) può essere sempre, per la Grazia sorprendente di Dio, quel «luogo» vicino al sicomoro, in cui Cristo levò gli occhi verso Zaccheo. ... Quel nome era, da tanti suoi compaesani, caricato di disprezzo. Ora lo sentiva pronunciare con un accento di tenerezza, che esprimeva non solo fiducia, ma familiarità, e quasi urgenza di un’amicizia” (n. 5).
“Sempre attenti a ciascuna persona. ... Riusciamo a farci collaboratori della misericordia che accoglie e dell’amore che salva” (n. 6).
Ci rendiamo conto, come la realtà più bella, nella confessione, è quella che scende dall’Alto. Dobbiamo comprendere che questo sacramento l’ha inventato Dio e ce l’ha presentato Gesù, proprio attraverso gli incontri con i peccatori e le peccatrici. Perché, allora, l’abbiamo ridotto, tante volte, ad un fatto quasi tecnico e astratto, giuridico, a un elenco di peccati e a qualche parola di esortazione, insomma a un’incolore ripetizione da una settimana all’altra, da un mese all’altro, da una Pasqua all’altra?

Sei verbi che cominciano per “a”

Proviamo a interpretare il comportamento di Gesù con i peccatori. Ci vengono in aiuto sei verbi, che cominciano tutti per “a” (così sono più facili da ricordare).

Accogliere - Gesù accoglieva i peccatori, i poveri e i bambini. Era severo con gli scribi e i farisei ipocriti, ma nel suo cuore accoglieva anche essi e sarebbe stato contentissimo di poterli attirare al Suo amore.
Così il confessore: come entra in confessionale deve sentirsi investito dallo Spirito di Gesù e farsi accogliente con tutti. Vuol dire molto, per il penitente, sentirsi accolto con gioia fin dal primo istante: il suo cuore si apre subito alla confidenza e si sente attirato nel fare una santa confessione e ad iniziare un cammino di conversione.

Ascoltare - Gesù ha ascoltato Nicodemo e la Samaritana, ha ascoltato chi lo andava a cercare per una guarigione (il centurione), per un perdono (la peccatrice in casa del fariseo), per un lutto (Giairo). L’ascolto non è fatto solo né principalmente con le orecchie, ma con il cuore.
Anche il confessore è chiamato ad ascoltare, perché – al di là dell’accusa dei peccati – deve poter cogliere i sentimenti più profondi del cuore di chi si confessa; ha bisogno di essere calmo, attento, paziente. Ascoltando, farà anche qualche domanda per capire meglio: il penitente, allora, si sente incoraggiato e vedendo di essere ascoltato con attenzione e comprensione, è più disposto a correggersi.

Aiutare - Gesù, con le sue parole piene di amore e ricche di grazia, ha aiutato la Samaritana ad aprirgli il cuore; così ha fatto con Marta e Maria, in occasione della morte del loro fratello Lazzaro.
Il confessore aiuta il penitente tirandolo fuori da eventuale scoraggiamento, o vergogna, o timore; svolge questo prezioso servizio con gioia e bontà e indicando le vie più sicure per uscire dal peccato e per mirare alla santità. Fa vedere che, con l’aiuto di Gesù, sarà sicuro di vincere, gli suggerirà la virtù dell’umiltà che è la più sicura via di accesso al cuore del Signore.

Amare - Certamente, la radice di tutta l’opera della santificazione è l’amore, che ha guidato Gesù sempre, anche quando doveva rimproverare. Amando, non si sbaglia mai; ma l’amore vuol dire pazienza, vuol dire volontà tenace anche di fronte alle difficoltà. A volte, il confessore si trova di fronte a persone e a casi che richiedono una grande carica di amore, di comprensione, e talvolta anche l’invenzione di un linguaggio che non scoraggi ma dia fiducia. Solo un amore generoso, e qualche volta eroico, è capace di fare questo. Ma Gesù aiuta e guida il cuore umile e generoso del suo sacerdote.

Ammaestrare - Il sacerdote confessore continua l’opera di Gesù, che è venuto a portare agli uomini il perdono del Padre. Gesù però non ha fatto questo in modo automatico, quasi disimpegnando il peccatore perdonato. Il perdono vero, quello degno di Dio, ricostruisce il cuore dell’uomo e lo rende capace di amare il Padre. Pertanto, era necessario che Gesù ammaestrasse i discepoli e le folle: solo così avrebbero potuto comprendere, apprezzare e accogliere l’opera della redenzione.
Di conseguenza, il sacerdote confessore deve essere maestro e sentire profondamente la responsabilità che il Signore gli affida. Egli deve essere maestro sia verso i penitenti già avanti nella vita spirituale – perché possano crescere nella santità –, sia verso i peccatori lontani da Dio, i credenti superficiali e abitudinari – perché sappiano convertirsi sul serio e intraprendere il cammino seguendo Gesù con coerenza.
Guai se la confessione si riduce a un’abitudine, da parte del penitente come da parte del confessore! L’abitudine non fa parte del Regno di Dio. Ogni atto sacramentale è carico di tutta la sapienza, la potenza e l’amore di Dio. Dio non opera mai con leggerezza, e nemmeno noi dobbiamo prendere le cose alla leggera.

Ammaestrare, insegnare, esortare è un gravissimo debito che i sacerdoti hanno verso i peccatori e i penitenti.

Assolvere - Gesù ha perdonato tante volte anche coloro che a prima vista sembravano cercarlo solo per ottenere una guarigione. È significativo l’episodio del paralitico calato giù dal tetto, nella stanza dove Gesù predicava. Dice l’evangelista che “Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Ti sono rimessi i peccati” (Luca 5,20). La fede, di chi era? Dei portatori (c’è il plurale), ma certamente anche del paralitico. E la fede ottiene il perdono.
Non si può perdonare se non c’è un minimo di fede e di pentimento; ma è pur vero che fede e pentimento possono crescere, e il confessore ha il compito di far crescere questa fede, affinché il perdono sia maggiore.
Voglia Dio che tutte le confessioni realizzino queste condizioni ottimali!
                                                                   
Don Rodolfo Reviglio


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-1
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