LE BEATITUDINI - 2 LA
BEATITUDINE DELLA POVERTA' Dice testualmente il Vangelo di Matteo: Vedendo
le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a
sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora
la parola, li ammaestrava dicendo... (Matteo 5,1-2).
Per lettori frettolosi o superficiali e in questa categoria
ci siamo un po tutti le parole di Matteo suonano
come una semplice introduzione a uno dei tanti discorsi di Gesù,
in questo caso al primo.
Ma se ci soffermiamo e riflettiamo, può sorgere subito
una domanda: a chi si vuole rivolgere Gesù? Solo ai suoi
discepoli e a quelle decine o centinaia di pescatori e contadini?
O, in prospettiva, anche ad altri? A che cosa mira questa sua
conversazione?
Gesù parla a gente che si è raccolta, forse per
curiosità, o forse perché ha visto qualche segno
miracoloso compiuto da quel giovane rabbì (maestro).
A giudicare dallambiente, dal grado di cultura degli ascoltatori,
dal tono del discorso, si può solo dedurre: parla di cose
molto semplici e a persone di estrazione popolare, quindi poco
dotte.
Eppure oggi a quasi duemila anni di distanza noi
diciamo con tutta sicurezza: in queste parole di Gesù
cè un insegnamento universale, per tutte le persone,
per tutti i tempi, per tutte le situazioni! Abbiamo qui un programma
universale e perenne!
Parlare di povertà...
ma di quale povertà?
Gesù apre la bocca e comincia con la prima beatitudine:
Beati i poveri in spirito, perché di essi è
il Regno dei cieli.
San Luca che, come abbiamo visto nellarticolo precedente,
ha una elencazione diversa delle beatitudini fa dire a
Gesù: Beati voi, poveri, perché vostro è
il Regno di Dio (Matteo, che scrive il suo vangelo per
cristiani di origine ebrea, invece di Dio usa il termine cieli,
perché il popolo di Israele era abituato a non nominare
mai, in alcun modo, il nome Dio, ma al suo posto diceva: Cieli,
Gloria, Potenza, ecc.).
Dunque, si comincia dalla povertà, vista come condizione
per entrare nel Regno di Dio. Luca parla di povertà concreta,
reale, mentre Matteo aggiungendo in spirito
indica chi nel proprio cuore, nel proprio spirito, è
staccato dalle ricchezze.
Possiamo dire due cose: 1. La povertà più importante
è quella che parte da un cuore staccato dalle ricchezze,
da un cuore capace di privarsi di beni terreni per cercare i
beni supremi (è il significato che troviamo in Matteo);
2. Per raggiungere il Regno di Dio, la condizione di partenza
privilegiata non è quella dei ricchi, ma di chi è
realmente povero; il ricco è condizionato dalle sue ricchezze,
da cui difficilmente riesce a liberarsi; il povero, invece, non
ha questi problemi.
Gesù dice al termine della parabola del ricco stolto:
Così è di chi accumula tesori per sé
e non arricchisce davanti a Dio (Luca 12,21). Il valore
e il significato della beatitudine della povertà è
proprio qui: di essi è il Regno di Dio.
Ma che cosa è questo Regno? Non è una cosa, è
Dio stesso! Gesù vuole dirci: se tu non sei povero
cioè staccato dalle ricchezze , non puoi entrare
in relazione con Dio: perché lattaccamento ai beni
della terra ti impedisce di capire la ricchezza di Dio, che è
ricchezza non di cose ma di amore, di bontà, di gioia,
di pace!
Il primo povero: Gesù!
Gesù non è venuto a raccontarci delle favole, ha
insegnato semplicemente ciò che era patrimonio della sua
stessa vita: è nato nella più squallida povertà,
in una stalla, in mezzo alle bestie, è cresciuto in una
famiglia povera e già da ragazzo ha imparato ad aiutare
suo padre, Giuseppe, nella sua bottega; da adulto, non aveva
nemmeno dove appoggiare il capo (Luca 9,58), per pagare le tasse
faceva trovare la moneta nella bocca di un pesce (Matteo 17,24-27),
perché Lui non aveva denaro.
Gesù ha perdonato molto facilmente i peccati della povera
prostituta, ma si è scagliato in modo rovente contro lidolatria
del denaro da parte dei ricchi. Non ha mai cercato appoggi terreni,
ha preferito predicare alla gente semplice e povera. È
guardando a Gesù che noi non solo impariamo, ma cominciamo
ad amare la povertà.
Noi cristiani diamo
testimonianza di povertà?
A giudicare da tanti programmi e iniziative pastorali, da tanti
libri e documenti scritti, da tanti bilanci delle comunità
cristiane, dobbiamo riconoscere che la povertà non ha
il posto che le ha dato Gesù. La preoccupazione della
povertà evangelica non appare quasi mai.
Non si tratta di distribuire condanne a destra e a manca, si
tratta di guardare negli occhi Gesù e poi di interrogarci:
quanta attenzione abbiamo per i veri poveri? Quale capacità
abbiamo di accontentarci del necessario, invece di cercare sempre,
o quasi, i nostri gusti e le nostre comodità?
Se guardiamo la distribuzione della ricchezza nel mondo, possiamo
dire che i cristiani al di là delle nazionalità
cerchino con tutte le forze di unirsi e coordinarsi per
aiutare le popolazioni più povere? È così
che cerchiamo e abbracciamo la povertà come beatitudine?
Adesso comprendiamo come mai il Vangelo non si fa strada tra
la gente: anche perché noi cristiani non diamo davanti
al mondo una chiara, umile e semplice testimonianza di povertà!
La nostra fede è scarsa, è racchiusa nei dogmi
e sfocia poco nella vita. Qui non servono i libri per spiegare,
basta la sincerità del cuore... a cominciare dal nostro
cuore.
Proviamo a coordinarci, per vivere di più la povertà
e per aiutare i più poveri. A chi tocca cominciare? Tutti
dobbiamo fare un primo passo...
Una scala di verbi
Per vivere la povertà si comincia con il verbo dare:
diamo ai poveri tutto quello di cui hanno bisogno.
Il secondo verbo è vivere: viviamo poveramente,
facendo a meno di tante cose superflue. La misura non cerchiamola
nei manuali, ma nel nostro cuore. Riflettiamo dentro di noi,
per vedere come vivere nella povertà insegnata da Gesù.
Il terzo verbo è convivere, proviamo cioè
a invitare qualche persona povera a casa nostra a pranzo, invitiamo
una famiglia che non ha lauto a fare una bella gita al
mare o ai monti, se poi ci è possibile, proviamo a girare
nei quartieri e tra le case dei poveri, a partecipare a incontri
di persone degradate... e poi studiamo quale bene possiamo fare.
Non deleghiamo ad altri, prendiamo noi liniziativa, in
prima persona.
Infine, condividere. Condividiamo qualche nostro
bene con chi non ne possiede, e ci stupiremo di quante cose belle
e buone avremo trovato, e allora crederemo veramente che il Regno
di Dio è dei poveri.
Don Rodolfo Reviglio RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2003-4 VISITA Nr.
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