11 SETTEMBRE 2002:
UN ANNO E' GIA' PASSATO

Ad un anno dall’attentato dell’11 settembre, il mondo è più sicuro?

 La pace sta trionfando, oppure sta dilagando un senso di rassegnazione alla violenza? Non si vive forse con un’angoscia, non dichiarata, che coabita con le attività quotidiane?
Mentre un anno fa partiva una grande offensiva rivolta contro il terrorismo i cui risultati, a tutt’ora, sono poco verificabili, i grandi della terra quasi ogni settimana ci ricordano che viviamo sotto l’incubo di un attentato. Intanto sono morti migliaia di civili i cui cadaveri sono serviti per colmare la paura dei quartier generali militari scossi dal timore di non riuscire a colpire un obiettivo che loro stessi avevano creato e, fino a poco tempo prima, sostenuto.
Ancora una volta si sono uccisi esseri innocenti, si sono provocati migliaia di profughi e si è prodotto dolore. Pare quasi che il dolore sia la moneta con cui le parti in guerra vogliono far pagare all’altro, nemico senza volto dall’identità indefinita, il prezzo del proprio odio e della propria avversione.
Quali sono le cause di questo odio? Se sono politiche vanno risolte con metodi politici. Se sono economiche vanno sciolti gli impedimenti allo sviluppo che tengono i popoli schiavi di un progresso che non possono raggiungere. Se sono culturali, vanno comprese attraverso lo studio, la convivenza pacifica e l’accettazione della diversità. Ma nessuna di queste cause può essere religiosa, perché in qualunque Dio si creda, non si può pensare che voglia la distruzione di ciò che ha creato. In nessun testo sacro, è mai stato scritto che Dio voglia l’annientamento radicale di ciò che esiste. Poiché il nemico è sempre frutto dell’odio che è figlio delle proprie paure.
Per cinquant’anni i Paesi tecnologicamente più sviluppati del pianeta hanno speso migliaia di miliardi, investito risorse ed impegnato intelligenze per studiare armi sempre più potenti e ben poco – anzi nulla a dire di uno dei più potenti rappresentanti della CIA, il servizio segreto statunitense – si è fatto per studiare la diversità delle culture degli uomini che è poi quell’elemento che crea la distanza fra gli esseri umani. In un mondo che ogni giorno diventa più unito, in cui le varietà delle civiltà sono sempre più a stretto contatto, questo risulta essere una follia. Si afferma che il futuro analfabeta non saprà usare il computer e non avrà l’accesso ad Internet, forse questo è vero per quanto riguarda l’aspetto tecnologico della vita, ma senza lo studio delle diversità culturali, il vero analfabeta rischia di esserlo la società nel suo insieme, oltre al singolo che ne risente tutto lo smarrimento e l’angoscia. Perché ancora una volta, la nostra attenzione deve essere rivolta all’uomo e a tutto ciò che è umano, se vogliamo sopravvivere insieme, su questa terra che Dio ci ha donato.
Capire ciò che ci rende diversi significa comprendere meglio se stessi, e per noi cristiani vuol dire scendere nell’essenziale della fede, quell’essenziale oggi tanto ricercato dall’uomo del nostro tempo che non vuole perdersi in un linguaggio religioso stantio, desueto e anacronistico. Solo così sarà possibile annunziare la fede alle diverse culture e tramite essa, purificarle.
In un mondo che ha la possibilità di liberarsi dal fantasma della fame, l’uomo di domani invoca un senso e questo non può che essere religioso, visto il fallimento di ogni altra utopia storica che voleva liberarsi di Dio. Ma questo senso religioso non può fare a meno di guardare all’uomo che storicamente si realizza, che lo sappia o no, secondo l’amoroso disegno di Dio. Nel suo essere in cammino, l’uomo assume sempre una cultura e mediante questa esprime se stesso e le sue necessità spirituali. Non è pensabile una fede dissociata dalla cultura nella quale questa fede deve essere vissuta. Tuttavia, al di là delle culture, che talvolta sembrano persino soffocare alcune necessità vitali della natura umana, restano taluni elementi dell’uomo che sono irrinunciabili: il desiderio di essere riconosciuto ed amato, l’aspirazione alla realizzazione di sé, il vivere socialmente con altri e l’anelito alla vita eterna. Il primo investe la psicologia, il secondo l’economia, il terzo la politica e il quarto la religione. E su questo è possibile l’incontro fra gli uomini, per reinterpretare gli altri ambiti della vita e per ridare speranza ad un mondo che non può più vivere sotto l’incubo del terrore, stretto dall’angoscia della morte.
                                                                  Giuseppe Pelizza SDB


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-8
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