BEATO GIACOMO ALBERIONE:
La
mano del Signore sopra di me
Don Alberione ha coscienza
di essere stato mosso da Dio e di aver agito sotto la sua mano:
lo afferma in umiltà, e ci rivela alcuni momenti e modi
dellazione di Dio nella sua vita.
La mano del Signore sopra di me, dal 1900 al 1960. La volontà
del Signore si è compiuta, nonostante la miseria di chi
doveva esserne lo strumento indegno ed inetto. Dal tabernacolo:
la luce, la grazia, i richiami, la forza, le vocazioni: in partenza
e nel cammino. Ogni sacerdote va incontro a due giudizi: quello
degli uomini e quello di Dio. Per questultimo, che è
lunico che veramente conta, prego tutti ad ottenermi in
tempo la misericordia del Signore, a cui nell«anche
a noi peccatori» della Messa, diciamo, «non per i
nostri meriti, ma per la ricchezza del tuo perdono», di
ammetterci misericordiosamente nel consorzio dei santi.
Sento la gravità, innanzi a Dio e agli uomini, della missione
affidatami dal Signore; il quale, se avesse trovato persona più
indegna ed incapace, lavrebbe preferita. Questo tuttavia
è per me e per tutti garanzia che il Signore ha voluto
fare Lui e ha fatto Lui; così come lartista prende
qualsiasi pennello, da pochi soldi e cieco circa lopera
da eseguirsi, fosse pure un bel volto come quello del Divin Maestro.
Siamo fondati sulla Chiesa e sul Vicario di Gesù Cristo,
e questa convinzione ispira sicurezza, letizia, coraggio.
Don Giacomo Alberione dichiarato Beato dalla Chiesa il 27 aprile
2003, è il fondatore della Famiglia Paolina, particolarmente
impegnata nellevangelizzazione attraverso i mezzi di comunicazione
sociale.
La tavola
imbandita
Sarà stato un giorno
del gennaio 1949. Scrive Marilen:
Mi ricordo quella salita al buio per arrivare alla
chiesa. Quelle che sarebbero state le prime focolarine arrivavano
anche da fuori città, come Valeria e sua sorella Angelella
che venivano correndo.
Una volta persino senza scarpe, dato che i genitori le avevano
provate tutte pur di trattenerle a casa. Ma nel cuore di ognuna
era troppo forte la «chiamata». Si faceva perciò
di tutto per non mancare.
Dopo la Messa si restava insieme a lungo, facendo colazione.
Era lunico tempo possibile per stare fra noi. Alle otto
ci si lasciava. Cera il lavoro e a sera ci si curava di
tante persone e soprattutto dei poveri.
Una mattina, salendo la scaletta che portava alla chiesa, Chiara
commentava con noi: «Non abbiamo nemmeno un soldo, neanche
per la colazione, ma Gesù è il nostro sposo: ci
penserà lui».
Al ritorno a casa abbiamo trovato la tavola imbandita: accanto
alle tazze un bricco di latte, un pane dolce con luva sultanina
e un pacchetto di cacao.
Solo più tardi abbiamo saputo che unanziana signora,
nostra vicina, aveva voluto farci questa sorpresa. Del resto,
la chiave era sullo stipite!
M. H. - Trento
Liberamente tratto dal volume
I fioretti di Chiara e dei Focolari
A cura
di MARIO SCUDU
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2003-6
VISITA Nr.