I GIOVANI E DIO

C’è chi parla di Dio perché ci crede, chi invece lo fa perché non ha fede, oppure ancora non si è fatto un’idea precisa in merito.
Pur ammettendo di avere una vita spirituale, molti affermano di sentirsi bloccati di fronte al mondo delle pratiche religiose, e che non se la sentono di scegliere l’appartenenza ad una chiesa o ad una specifica religione.

“Nella mia vita – spiega Alberto, di 29 anni – sono tornato a vivere anche in una dimensione spirituale dopo un periodo di pausa; ed in quel momento ho sentito di riuscire a colmare il senso di vuoto che prima avvertivo, come se mi mancasse qualcosa dentro.
Per me è stato un ritornare alle mie radici, alla vera natura dell’uomo e di me stesso, che è quella di vivere entrambe le dimensioni: quella terrena e quella spirituale”.

Secondo Niccolò (26 anni), “accanto alla quotidianità della vita «normale» c’è una dimensione spirituale da considerare e da vivere pienamente. La spiritualità è una parte importante della nostra vita, che completa e integra la vita di tutti i giorni.A questo proposito, ciò che a mio avviso testimonia maggiormente l’importanza di vivere anche ad un livello spirituale, è il dolore; è qui infatti che si rivela l’esistenza di Dio. È il saper vivere una propria vita a livello spirituale che dà significato alle sofferenze: soffrire altrimenti non avrebbe senso. L’uomo, per come è nel proprio carattere, tende a ricordare con più facilità le esperienze di sofferenza del suo passato, piuttosto che gli episodi di felicità.
Tanti dicono che se Dio amasse veramente l’uomo, dovrebbe evitargli le sofferenze, ma io invece credo che dobbiamo accettare il dolore, come poi anche la gioia”.

Mentre per Sonia, di 20 anni, “le generazioni più grandi sono anche più vicine all’ateismo, ma tra i miei coetanei vedo un ritorno alla spiritualità.
Oggi più che negli anni passati, sia da parte dei genitori che da parte della società siamo lasciati liberi di scegliere se e come credere; in passato c’era un senso di obbligatorietà ad una vita spirituale che portava tanti a rifiutarla. È come se le precedenti generazioni avessero cercato di forzare i loro figli alla religiosità, con il risultato di averveli alla fine allontanati.
Ora invece, dopo l’ondata di laicità passata, vedo tanti ragazzi vivere un ritorno spontaneo e un interesse concreto per la spiritualità”.

                                                                       
Stefano Cavallo
                                                                             da  Città Nuova, n. 8-2003


Il Card. Ballestrero diceva il Rosario

Il Card. Ballestrero, già arcivescovo di Torino per vari anni, da semplice carmelitano si chiamava Anastasio del Santo Rosario.
In un libro autobiografico troviamo questo simpatico episodio della sua vita.

Scrive il Cardinale che la prima volta che fu ricevuto in udienza da Giovanni XXIII, questi gli disse:

“Lei si chiama Anastasio del Santo Rosario. Ma lo dice il rosario?”
“Certo che lo dico”.
“Quante poste dice?”.
“Tutte e quindici”.
“Tutti i giorni?”.
“Sì”.
“Bravo, anch’io faccio lo stesso, anche adesso che sono Papa e quando qualcuno mi chiede quando trovo il tempo, dico a tutti che basta volere e il tempo c’è sempre”.

Siamo tutti d’accordo col Beato Giovanni XXIII. Se vogliamo... (M. S.)


IMMAGINE:
Foto di BARBARINA SCUDU (per gentile concessione alla pubblicazione di  RAFFAELLA SETTE)
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-9
VISITA
 Nr.