AIDS e... santità contagiosa

Alcune giovanissime detenute nel carcere torinese delle Vallette, malate di AIDS e prossime alla morte, seguite dalla comunità parrocchiale di Santa Maria Goretti in Torino, hanno accolto la parola del Vangelo. È quanto traspare dai brani di lettere che qui di seguito vi riporto.

“(...) La vita mi sta lasciando. Non ce la faccio più, il dolore è tanto grande, ma con ciò non ho paura. Ti ricordi che mi dicevi che Dio mi ha perdonato il male che ho fatto? Ora con il cuore pieno di amore vado verso di lui che mi aspetta. (...) Chiudo gli occhi contenta. C. ci diceva che il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà nei suoi pascoli. Quella pecorella smarrita ha trovato il suo pascolo” (Carola).

La forte testimonianza di Carola conquista altre sei compagne. Alcune di loro scrivono: “abbiamo sbagliato in tutta la nostra vita ed ora paghiamo le nostre malefatte. (...) Abbiamo ricevuto la Bibbia che Carola ha lasciato a noi; ne leggiamo tutte le sere un pezzo. Abbiamo anche letto che san Francesco chiamava la morte «sorella», ora anche noi la chiamiamo così. Nessuno viene a trovarci perché siamo ammalate, ma voi sì, e noi siamo felici e vi vogliamo tanto bene”.

Samanta avrebbe desiderato far sapere a tutti i giovani di non fare le fesserie che aveva fatto lei, perché la droga porta alla morte e uscirne è molto difficile.
A 19 anni, Samanta conclude il suo cammino terreno e prima di morire lascia una lettera:
“Scrivo ora perché poi non so se ce la farò, perché sto perdendo la vista. Non me ne importa più di tanto, perché ora ho l’amore di Dio nel mio cuore (...). Vi chiedo di aiutarmi e mi avete dato il bene, l’amore, tutto e anche la lettura del Vangelo che è stata molto bella. Peccato che non ci sarò più per finirla. Ora me ne sto andando, ma non ho paura perché in me c’è qualcuno che mi segue ad ogni passo, è Gesù. Alla sera lo prego e gli dico: «Caro Gesù, io sono pronta, vienimi a prendere, ti sto aspettando. Prendimi per mano e io ti seguirò con gioia» (...). Non piangete per me perché sono felice e vi seguirò di lassù. Un bacione a tutta la comunità...”.

Così Miki:
“Sono una creatura di Dio anch’io. Con tutto quello che ho commesso, sento che lui mi ama e mi è vicino. Ho visto Samanta morire talmente felice e tranquilla che mi ha fatto capire che le cose belle ci sono ancora”.
Mi torna alla mente santa Caterina da Siena quando visitava e infondeva la misericordia divina ai condannati a morte. Li accompagnava fino al momento in cui essi venivano decapitati. Ed ecco che, dopo la macabra esecuzione, lei vedeva le loro anime ascendere al cielo...

                                 Gabriele Marsilli - Torino / da Città Nuova, n. 1, 2003



Quello che fa suonare le campane

Qualche mese fa, concludendo la visita pastorale in una parrocchia della mia diocesi, l’ultimo giorno andai in una scuola materna.
C’erano tantissimi bambini di 3-4 anni che si affollavano stupiti intorno a me: non mi conoscevano, mi vedevano come un personaggio esotico. La maestra chiese: “Bambini, sapete chi è il vescovo?”.
Tutti diedero delle risposte. Uno disse: “È quello che porta il cappello lungo in testa”; un altro, chissà per quale associazione di immagini, disse una cosa bellissima che a me piacque molto: “Il vescovo è quello che fa suonare le campane”. Forse mi aveva visto in processione, al suo paese, in qualche festa accompagnata dal tripudio delle campane.
Il vescovo come colui che fa suonare le campane: è una definizione bellissima, forse poco teologica ma profondamente umana. Sarebbe bello che i vostri fedeli, i vostri amici, coloro che vi conoscono, potessero dare di voi una definizione così.
Sarebbe bello che la gente dicesse di tutti noi che siamo “quelli che fanno suonare le campane”, le campane della gioia di Pasqua, le campane della speranza.

                                                                       Don Tonino Bello
                                                          Cirenei della gioia, Alba (CN) 1995, p. 15


A cura di MARIO SCUDU
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-5
VISITA
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