Tutto da Dio e tutto dall’uomo

Dietrich Bonhoeffer è uno dei testimoni cristiani del XX secolo. Teologo e pastore protestante partecipò alla congiura contro Hitler, pagando con la vita questo coraggio. È autore di opere famose quali Etica, Resistenza e Resa.

Ecco un passaggio di un’intervista di Pietro Negri a Eraldo Affinati, autore del libro Un teologo contro Hitler, Edizioni Paoline.

– Fu una scelta tormentata, quella per la soluzione violenta?
– Sì, Bonhoeffer era un pacifista vero, aveva cercato anche di andare in India per incontrare Gandhi. Lui diceva: “Immaginiamo che sul Kurfürstendamm un pazzo alla guida di un’auto uccida i passanti. Qual è il dovere di un pastore? Prima ancora che curare i feriti, è mettere fuori causa il guidatore”.
– Che cosa trova l’uomo di oggi in Bonhoeffer?
– È modernissima la sua idea centrale di un cristianesimo “maggiorenne”, che porti l’uomo a imparare a fare a meno di Dio, a non rimettere a Lui la responsabilità ma ad agire su “tutte e due le gambe”. Molti teologi, soprattutto americani, lo considerano quasi un ateo, ma non è così: l’uomo, secondo Bonhoeffer, deve agire senza l’aiuto di Dio ma confidando in Lui. Riteneva che il vero cristiano non si dovesse distinguere in apparenza, ma in sostanza, e che ci fosse bisogno di “commandos” cristiani che entrassero nelle linee “nemiche” parlando la lingua degli avversari. Per questo, secondo me, in carcere cominciò a scrivere freneticamente, e come narratore, poeta, commediografo, non più come teologo: aveva avvertito la necessità di un linguaggio nuovo.
                                               Da Famiglia Cristiana, n. 12 - 2002


Se c’è Don Bosco in treno... nulla da temere

In uno dei suoi viaggi “diplomatici” Don Bosco era diretto a Roma, via Firenze. Prese le mosse da Torino il 18 febbraio 1873, con il segretario don Berto. Durante il percorso in treno, successe un fatto da ricordare. Il convoglio aveva raggiunto quello che per il tracciato ferroviario si poteva considerare il crinale appenninico tra Bologna e Firenze.
Stava viaggiando rasente a uno spaventoso precipizio, quando uno strano sferragliare segnalò un guasto meccanico a una ruota della locomotiva: poteva capitare un orribile disastro. Provvidenzialmente ebbe buon esito la non facile manovra che consentì di fermare il treno ed eseguire la riparazione.
Ma poco dopo una nuova fermata con stridio di freni, allarmò ancora di più i viaggiatori. In prossimità dell’imboccatura di una galleria appena in tempo era stata avvistata una rotaia fuori sede: sarebbe successo uno sfracello, se il treno non fosse stato fermato.
Tra il panico generale, Don Bosco trovò modo di celiare. Disse: “Siamo qui due preti: nel caso di un capitombolo, prima ci diamo l’assoluzione noi due
e poi la diamo agli altri” (MB
X 467).
La facezia andò in giro, si sparse la voce che l’aveva detta Don Bosco. A tale notizia ci fu chi disse: “Oh, se c’è Don Bosco, niente paura: anche capitasse un capitombolo, non ci faremmo male!” (MB X 482).
Comunque sia, il viaggio ebbe felice conclusione. E il pensiero che Don Bosco era compartecipe servì a instillare fiducia.
                                                          
 Pietro Ciccarelli SDB
                                                   Da Don Bosco, schegge luminose, SEI


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-1
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