“Ciò che conta nella vita
è solo amare”


Il 5 ottobre scorso, a Borama, una cittadina del Somaliland (ex Somalia britannica e che ora costituisce la parte a nord-ovest della Somalia), fu uccisa, con un colpo di fucile al capo, Annalena Tonelli.
Morì dissanguata nell’ospedale che lei stessa aveva fondato sette anni fa. Aveva 60 anni e da 33 anni si trovava in Africa. Chi fosse e che cosa facesse in Somalia lo dice lei stessa in una testimonianza resa nel dicembre 2001 in un convegno tenuto in Vaticano:

“Lasciai l’Italia a gennaio del 1969. Da allora vivo a servizio dei somali. Sono trent’anni di condivisione. Scelsi di essere per gli altri – i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati – che ero bambina e così sono stata e confido di continuare ad essere fino alla fine della mia vita. Volevo seguire Gesù, povera con i poveri di cui è piena ogni mia giornata”.
“Vivo a servizio, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenenza a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi per quando sarò vecchia. Da trentatré anni grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a gridarlo così, fino alla fine”.
“Tento di vivere con un rispetto estremo per i «loro» che il Signore mi ha dato. Ho assunto fin dove è possibile un loro stile di vita. Vivo una vita molto sobria nell’abitazione, nel cibo, nei mezzi di trasporto, negli abiti. Ho rinunciato spontaneamente alle abitudini occidentali. Ho cercato il dialogo con tutti”.
“Vivo in un mondo rigidamente musulmano. Ho vissuto gli ultimi cinque anni a Borama, nell’estremo nord-ovest del Paese, sul confine con l’Etiopia e Gibuti. Là non c’è nessun cristiano con cui io possa condividere. Due volte l’anno, intorno a Natale e intorno a Pasqua, il vescovo di Gibuti viene a dire la Messa per me e con me. Oggi molti dei somali che avevano remore contro di me mi hanno accettata e sono diventati miei amici. Oggi sanno che ero pronta a dare la vita per loro, che ho rischiato la vita per loro”.
“Il mio primo amore furono i malati di tubercolosi, la gente più abbandonata, più rifiutata in quel mondo (...). Tutto mi era contro. Ero giovane e dunque non degna né di ascolto né di rispetto. Ero bianca e dunque disprezzata da quella razza che si considera superiore a tutti. Ero cristiana e dunque disprezzata, rifiutata, temuta. Erano convinti che io fossi andata a Wajir per fare proseliti. E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo, in cui il celibato non esiste e non è un valore per nessuno, anzi è un non valore”.
“Trent’anni dopo, per il fatto che non sono sposata, sono ancora guardata con compassione e con disprezzo in tutto il mondo somalo che non mi conosce bene. Solo chi mi conosce bene dice che io sono somala come loro e sono madre autentica di tutti quelli che ho salvato, guarito, aiutato, facendo passare sotto silenzio la realtà che io madre naturale non sono e non sarò mai”.
“È una vita che combatto e mi struggo, come diceva Gandhi, mio grande maestro insieme a Vinoba, dopo Gesù Cristo. La mia vita ha conosciuto tanti pericoli, ho rischiato la morte tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, la cattiveria dell’uomo, la sua crudeltà, la sua iniquità. E ne sono uscita con una convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare (...)”.

***
In quanto cristiana, era per essi oggetto di disprezzo e di odio: di disprezzo, perché “miscredente” come tutti i cristiani; di odio, perché, sempre secondo il fondamentalismo islamico radicale (che nell’universo musulmano è soltanto una minoranza, ma molto attiva), il cristianesimo è stato ed è il nemico dell’islàm. Come appare dalla sua “testimonianza”, Annalena era ben consapevole del pericolo che correva per la sua vita in quanto cristiana: “Ero cristiana, e dunque disprezzata, rifiutata, temuta”.

                                                       Da Civiltà Cattolica, 11-2003


IMMAGINE: Annalena Tonelli
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-3
VISITA Nr.