Bruciare di amor di Dio

Uno dei fenomeni mistici straordinari è conosciuto con il nome di “incendi di amore”. È un fatto, comprovato nella vita di alcuni santi, che la violenza dell’amore verso Dio si manifesta alle volte all’esterno sotto forma di fuoco che riscalda e brucia persino materialmente la carne e le vesti vicine al cuore.
Il cuore di San Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, ardeva talmente nel fuoco dell’amore divino che più di una volta la sua tonaca di lana apparve completamente bruciata dalla parte del cuore.
Il beato Nicola Factor, francescano, incapace di sopportare il fuoco che ardeva nel suo cuore, si gettò in una vasca di acqua gelida in pieno inverno. Consta dal processo di beatificazione che l’acqua subito si riscaldò.

                                                                  Da
“Il Timone”, 2004



Nove virtù per costruire la Speranza

Secondo Francesco Alberoni, ciò che distingue la speranza dall’ottimismo è l’etica. A formare la speranza concorrono, per quel sociologo, nove virtù:

l’entusiasmo, il rimorso, la pietà, l’umiltà, il merito, l’obiettività, il mantenimento della parola data, la disponibilità a non ricevere riconoscenza, il ricordarsi di essere riconoscenti.

Le componenti di questa descrizione della speranza, che sono valori etici, trovano un ostacolo in una mentalità e in un comportamento che Alberoni raccoglie sotto la categoria della frantumazione.
L’uomo di oggi è condizionato dagli slogan e dalle frasi brevi e spezzettate imposte dalla televisione a chi ha voglia di discutere. I ragazzi e i giovani parlano senza sapere argomentare, fanno fatica a formulare un ragionamento logico per lungo tempo, si distraggono perdendo il filo del discorso.
Alberoni nota che, anche all’università, gli studenti prendono posizione con un “mi piace”, “non mi piace”, come se si trattasse di un gelato, secondo una maniera di pensare imparata dai ritmi delle canzonette, ripetitivi e frantumati, nelle discoteche.
Dalla povertà del linguaggio a quella del pensiero e dell’etica: “Giustamente, quando vediamo tanta parte della gioventù priva di ragioni di vita, noi concludiamo subito che c’è qualcosa di malato nella nostra società”, perché “la libertà responsabile è una libertà sostenuta dalla speranza” (G. Cottier, Valori e transizione).

                                                         Da “
Civiltà Cattolica”, 2004


Risuscitato

Nell’anno 1686, il beato Padre Marco D’Aviano predica il Quaresimale a Schio. Accorrono ad ascoltarlo, come al solito, folle oceaniche.
Un certo Giovanni Zora d’Arcignano porta a Schio il cadavere di un suo bambino, già sepolto da 15 giorni. Supplica Padre Marco di ridargli quel tanto di vita che basta perché venga battezzato. Padre Marco lo benedice e ordina che sia portato innanzi all’immagine dell’Immacolata.
Appena posto sulla predella dell’altare il cadaverino apre le braccia, muove la lingua, spalanca gli occhi, piange.
Il Parroco, don Vincenzo Zamboni, lo battezza tremante e gli impone il nome di Giovanni. Poco dopo il piccolo chiude di nuovo gli occhi per sempre. L’atto di Battesimo del bambino morto-risuscitato, si conserva integrale.

                                                               Da
“Il Timone”, 2004
A cura di MARIO SCUDU
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-6
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