Nel canto natalizio
Tu scendi dalle stelle di SantAlfonso, mi ha
sempre impressionato lespressione Ah! Quanto ti costò
lavermi amato, ripetuto due volte, perché
potessimo memorizzarne il messaggio. Le parole sono rivolte a
quel Bambino, che noi crediamo il Figlio di Dio incarnato in
mezzo a noi.
Il contenuto
è chiaro: lamore ha un costo, lamore vero
costa sofferenza, costa fatica, e Cristo ha pagato a caro prezzo
il suo amore per noi. Sì, perché la contemplazione
di quel Bambino non deve fermarsi alla Grotta di Betlemme (rischiando
il sentimentalismo) ma deve includere anche la tappa definitiva
del Calvario a Gerusalemme.
E proprio sul
quel monte lamore di Cristo per lumanità ha
pagato il prezzo più alto. Proprio in quel momento abbiamo
la dimostrazione di quanto siamo costati. Quanta fatica, fatta
per amore, ha sopportato Dio per la nostra salvezza, attraverso
quel Figlio in croce.
Dio ci ha tanto
amato da affrontare questa fatica per noi. E noi? Abbiamo il
coraggio di fare qualche piccolo sforzo per Dio per aiutarlo
a salvarci? San Bernardo ci ricorda: Non domandare, uomo,
che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui... Riconosci
quanto tu vali per lui e capirai la sua bontà attraverso
la sua umanità attraverso la sua fatica affrontata
per amore di noi, di ciascuno di noi.
Nel mondo moderno, iper tecnologico, la parola fatica o sforzo
non godono piena accoglienza.
Ho sempre pensato
al telecomando, che spesso nelle famiglie è fonte di baruffe.
Telecomando significa comando a distanza, senza la fatica di
alzarsi dalla propria sedia e cambiare canale televisivo o qualcosaltro.
Unazione, un lavoro raggiunto senza sprecare
energie, senza una vera fatica. Massimo risultato con sforzo
quasi nullo.
E Dio? Dio
creatore mediante il suo semplice pensare e volere non ha forse
creato tutto luniverso compreso luomo? Per salvarci
poteva farlo usando il suo telecomando onnipotente,
cioè la sua volontà? Poteva farlo, una parola sarebbe
stata sufficiente.
Ci ha salvato
invece nella debolezza dellincarnazione, nel camminare
sulle strade polverose di questo nostro mondo, nel convivere
con noi uomini... che sappiamo dalla lettura dei Vangeli è
stata molto difficile.
Un Cristo debole,
insomma, che ha condiviso la fatica del vivere e del morire delluomo
debole, di ogni uomo. Dio in Gesù Cristo ci ha salvato,
certo per amore, ma accettando la fatica che quellamore
comportava. Gli siamo costati molto, è stato un amore
a caro prezzo. Siamo noi, solo noi, la fatica di Dio
la sua sofferenza, il suo lavoro più duro.
F. Nietzsche
ha detto che lamore di Dio per luomo è il
suo inferno, cioè la sua sofferenza. Luomo, io,
tu, non certo gli angeli. La contemplazione del Bambino deve
portarci anche a queste riflessioni, che poi dovranno tradursi
in azioni positive per Dio e per il prossimo, nellamore
e nella fatica.
MARIO SCUDU sdb
Venne Dio nella carne
per
rivelarsi anche agli uomini che sono di carne
e
perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi
nellumanità.
Manifestandosi Dio
nelluomo non più esserne nascosta la bontà...
Nulla mostra maggiormente la sua misericordia
che
laver assunto Egli la nostra stessa miseria...
Non
domandare,
uomo che cosa soffri tu,
ma
che cosa ha sofferto Lui... San Bernardo di Chiaravalle
Tu scendi
dalle stelle...
Tu scendi dalle
stelle o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio
divino, io ti vedo qui a tremar.
O Dio beato!
Ah! Quanto ti costò lavermi amato.
Ah! Quanto ti costò lavermi amato.
A te che sei
del mondo il Creatore,
mancano i panni e il fuoco, o mio Signore.
Mancano i panni e il fuoco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanta questa povertà più mi innamora,
giacché ti fece amor povero ancora.
Dunque a morir
per me tu pensi, o Dio,
e chaltro amar fuori di te possio?
O Maria, speranza mia,
sio pocamo il tuo Gesù, non ti sdegnare,
amalo tu per me, sio nol so amare.
SantAlfonso Maria
de Liguori
Cristo è
suo Figlio
Cristo
è suo figlio,
carne della sua
carne
e frutto delle sue viscere.
Ella lo ha portato per nove mesi
e
gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue
di Dio.
Ella sente insieme che il Cristo
è suo figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio.
Ella lo guarda e pensa:
«Questo
Dio è mio figlio. Egli mi assomiglia. È Dio e mi
assomiglia!».
Nessuna donna ha avuto in
questo modo il suo Dio per lei sola.
Un Dio piccolissimo
che si può prendere tra le braccia e coprire di baci,
un Dio tutto caldo che sorride e respira,
un Dio che si può toccare e vive.
Jean
Paul Sartre,
da Bariona o Il figlio del tuono,
scritto durante la prigionia a Treviri, Germania 1940