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1 - Il Natale visto da Maria


Andando in montagna e camminando in quota, càpita di passare da un versante all’altro di una stessa valle. Non sempre è facile riconoscere il luogo che si è appena percorso, osservandolo dall’altro versante.
È l’effetto, non secondario, del cambio di punto di vista, che di una stessa cosa ci propone aspetti nuovi, non sempre facilmente visibili rimanendo nella stessa posizione.
Se pensiamo alla solennità del
Natale, siamo commossi, meravigliati, magari travolti o anche interrogati da Gesù che nasce. Ma che cosa accade se questa nascita è osservata dal versante di sua madre, dal versante di Maria?
L’incarnazione di Gesù dove è avvenuta? È avvenuta in Maria. Lì si è annidato come tutti noi, nel grembo della sua mamma, e con lei ha iniziato a comunicare usando la stessa biochimica che ciascun figlio usa nel grembo materno. Le più recenti scoperte scientifiche del prenatale ci dicono che la comunicazione tra madre e figlio c’è, ed è intensa già nei primi giorni di vita del figlio.
È abbastanza “curioso” che la Chiesa, senza microscopio e fibre ottiche o senza documentari di Super Quark, ponga l’accento su questa accoglienza iniziale e proponga a tutti noi, da secoli, di festeggiare il concepimento di Gesù proprio 270 giorni prima della sua nascita, cioè il 25 marzo. A Firenze è gran festa il 25 marzo d’ogni anno proprio nel ricordo del concepimento di Gesù.
È anche bello pensare che al centro dell’Evento che cambierà il mondo – l’incarnazione di Gesù – ci sia stata l’esperienza della maternità di cui tutti siamo debitori e di cui metà dell’umanità ha fatto diretta esperienza.
Ci sarà da apprendere qualche cosa in più ponendoci sul versante della maternità? Senza andare troppo lontano, noi che leggiamo queste righe siamo stati accolti da nostra madre? Direi di sì, altrimenti non ci saremmo! La mamma che ci ha generati è stata aiutata nel suo compito straordinario di ospitare dentro di sé il figlio per 270 giorni? Come è stata l’attesa? Quali pensieri l’hanno ornata?
Nell’attesa di questo Natale proviamo a metterci dal punto di vista di Maria che accoglie, sente e nutre con grande trepidazione questo suo Figlio. Di lì a poco, dopo il parto, per Lei si tratterà di fuggire, a piedi, sino in Egitto, ma l’accoglienza saprà vincere ogni difficoltà.

Valter Boero - MPV (Movimento per la vita - Torino)


2 - Ho imparato


Sono una donna fortunata. Ho 35 anni, sono un medico anestesista, amo il mio lavoro. Vivo gli anni in cui inizi a raccogliere i primi frutti di quello che hai seminato con i tuoi studi e le fatiche giovanili. Gli anni belli in cui ti godi le amicizie che hai costruito, in cui, se come me, sei inserito in un oratorio parrocchiale da una vita e non sei sposato (e quindi, la famiglia non ha l’ovvia precedenza), sei ormai un’“istituzione” e riesci a restituire un po’ di tutto quello che ti è stato donato. E ho un linfoma.
Da più di due anni ormai, la mia vita di medico è stata rivoltata, capovolta. Da medico a paziente. Da calendari fitti di turni e impegni, a lenti giorni in cui aspetti che chiamino per un ricovero, o aspetti che arrivino gli esiti degli esami, o attendi che finisca la flebo delle terapie in day-hospital, o semplicemente che passi il giorno. Dall’avere la vita degli altri nelle mie mani, a dipendere dagli altri per la mia vita.

Confermare il primo “sì”

Sin dall’inizio ho vissuto la mia malattia come una chiamata, una vocazione. Come ogni vera chiamata di Dio, molte cose diventano chiare soltanto dopo che le hai vissute, e quando dici il primo “sì” non sai veramente cosa stai accogliendo, ma lo accogli lo stesso, ti fidi.
Poi viene il momento di dire il tuo “sì”. Davanti a ogni cambiamento di programma, davanti alle piccole e grandi sofferenze a cui vai incontro, più per le terapie, in realtà, che per la malattia stessa. Ma se la malattia è infida, la si può sconfiggere solo con cure drastiche e pesanti. Davanti alle complicanze, alle ricadute. Ma anche davanti alle cose belle, agli amici che ti stanno vicino, alle piccole gioie quotidiane che diventano sempre più importanti.
In questi anni ho imparato innanzi tutto ad avere pazienza. Poi ad essere sempre più disponibile ai “cambi di programma” anche improvvisi. E man mano che le cure si intensificavano, che anche il mio corpo diventava più debole, ho scoperto che la mia forza più grande non è tanto resistere e stringere i denti: è piuttosto quando da sola non ce la faccio, sapermi affidare a Dio, ma sapere anche chiedere una mano agli altri, mettendo da parte il mio orgoglio. È non lottare da sola.
Ho scritto che sono passata dall’avere in mano la vita degli altri a dipendere dagli altri per la mia vita. Intendevo quelle parole in senso letterale, una per una. La mia vita ora dipende dagli altri. Già tante volte ho avuto bisogno di trasfusioni di globuli rossi e piastrine. Ogni volta ho ringraziato e pregato in silenzio per quei donatori che senza fare rumore, senza mettersi in mostra, semplicemente erano andati a donare il loro sangue, plasma, piastrine. Quante volte quando lavoravo ho richiesto derivati del sangue per pazienti gravi, traumi, emorragie... Ora tocca a me ricevere.

L’ignoto donatore

E oggi, la notizia che finalmente hanno trovato un donatore di midollo osseo. Un donatore che renderà possibile il trapianto, che al momento è la mia sola possibilità di guarigione completa. Una persona che, magari con un po’ di fifa per quel che l’aspettava, ha comunque sperato di essere compatibile con me. Una persona che ora affronterà il prelievo di midollo, sicuro e il più confortevole possibile, ma comunque un po’ impegnativo, e sarà orgoglioso perché sa che sta cercando di salvare una vita. Non so se sia credente, ma penso che il suo dono gratuito non possa non piacere a Dio. Credo che Dio in questo momento sia molto soddisfatto di lui.
Quanto a me, il mio primo “sì” alla malattia è diventato un pozzo a cui attingo sempre nuovi doni. E proprio grazie a quel “sì” continuo a imparare. Imparo la pazienza, imparo la disponibilità ai cambiamenti, imparo ad accettare la sofferenza, imparo a condividere gioie e dolori, imparo a ricevere. Oggi ho imparato la gratitudine. Cosa imparerò domani?

                                                                                                                                Claudia

Immagine: Il valore dell’amicizia e la bellezza della natura sono un segno dell’amore che Dio ha per tutti. © sfondigratis.it - Pastorale Giovanile ICP


Per informazioni sul linfoma,
sulla donazione di sangue e sul trapianto di midollo,
consulta i siti:

www.ail.it --- www.avis.it --- www.admo.it


3 -PARABOLE..... AL CONTRARIO

Poco dopo l’inizio dell’anno scolastico sono ripresi anche gli incontri di catechismo. Saluti, abbracci, racconti delle vacanze... Tra questi, uno interessante ai fini della catechesi. Gianluca ha ricordato che “una domenica sono andato a Messa con tutta la famiglia. Alla fine, però, mio padre ha detto che non gli era piaciuta per niente la parabola al contrario letta nel Vangelo. Me la spieghi tu? Così questa sera posso fare bella figura con papà”. Dal suo racconto confuso, riesco a capire che si tratta della parabola del cattivo amministratore (Lc 16, 1-13).
La leggiamo insieme. Cerco di trascinare il gruppo verso il messaggio finale, la cui comprensione sembra più semplice: non possiamo servire Dio e il denaro. Ma tra i ragazzi sorgono penosi interrogativi: “Ma allora dobbiamo per forza essere poveri? Vivere come barboni? Dobbiamo bruciare i soldi?”. No: il denaro deve essere un mezzo per vivere dignitosamente e per aiutare chi è meno fortunato di noi. Il Vangelo dice che non dobbiamo servire, e non che non dobbiamo usare. Sapete che cosa significa servire qualcuno?, chiedo. “Oh, sì – rispondono – vuol dire fare tutto quello che piace ad un altro, non essere liberi”. Ci siamo: servire il denaro vuol dire pensare soltanto a quello, temere di non averne mai abbastanza, avere una fifa blu di perderlo o di essere derubati... Il Vangelo, invece, vuole che ci liberiamo da queste ansie e che impariamo ad usare la ricchezza con libertà, con serenità, accettando anche l’idea di poterne fare a meno. Il discorso non piace ai ragazzi (come non piacerebbe agli adulti) e la cosa si complica quando parlo degli altri beni materiali che non devono schiavizzarci, compresi certi programmi televisivi, o i videogiochi, o Facebook. “Hai spiegato bene – commenta Gianluca –, ma forse è meglio che non ripeta questa lezione a mio padre”. Dopo lunghe trattative ci lasciamo con il proposito di rinunciare a dieci minuti di videogiochi. “Ma soltanto per oggi!”, osserva uno. Monica, la più saggia del gruppo, aggiunge: “Se noi che siamo istruiti facciamo tanta fatica a capire queste cose, come avrà fatto a capirle la gente al tempo di Gesù?”.

                                                                                               Anna Maria Musso Freni


         RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2010 - 8  
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