Una
vita dalla parte dei pazienti
Incontro con
Giovanni Rissone, medico psichiatra, coordinatore sanitario e
direttore generale di Asl innamorato del proprio lavoro e "amico"
di San Giovanni Bosco.
"Una vita
da matto vestito da dottore". Con queste parole Giovanni
Rissone, medico, psichiatra, coordinatore sanitario e direttore
generale di Asl sintetizza la propria esperienza professionale
al servizio della Sanità piemontese. E così ha
voluto intitolare il libro in cui la racconta.
Torinese, sessantaquattro anni, Rissone è abituato ad
affrontare la vita "a muso duro", convinto che gli
ostacoli vadano superati con coraggio e determinazione. Da Franco
Basaglia, che riformò la psichiatria italiana e ispirò
la legge che fece chiudere i manicomi, e Agostino Pirella, professore
di Psichiatria all'Università di Torino, ha imparato che
essere medico non è un mestiere ma uno stile di vita e
che i pazienti non sono malattie da curare ma - prima di tutto
- persone con cui entrare in relazione.
Valori cristiani
e professionalità
Nel volume
Una vita da matto vestito da dottore, pubblicato dall'editore
Tigullio-Bacherontius, narra diversi episodi che ruotano intorno
al mondo salesiano
"E non
potrebbe essere altrimenti, dal momento che sono ex allievo dell'Istituto
salesiano Richelmy di Torino. Oggi non esiste più, ma
è stato fondamentale per la mia formazione. Devo molto
ai salesiani perché, con il loro esempio, mi hanno insegnato
a vivere la mia professione con fermezza e rigore e mi hanno
trasmesso un credo religioso da uomo libero, fondato sull'esortazione
di Gesù ad amare e a rispettare il prossimo e a portarlo
nel cuore anche quando è povero, malato e rompe le scatole".
Racconta anche
di quando riuscì a far cambiare il nome dell'ospedale
torinese "Giovanni Bosco" in "San Giovanni Bosco"
"Dal 1996
al 2002 ne sono stato direttore generale. Quando mi fu affidato
si trovava in uno stato pietoso ma nel giro di pochi anni, con
i miei collaboratori, lo abbiamo trasformato nel miglior ospedale
a livello internazionale nel campo dell'emergenza. Non mi sembrava
giusto fosse dedicato a "Giovanni Bosco" privato dell'aggettivo
di "Santo", che non era stato voluto dai miei predecessori
molto attenti alla Torino laica. E mi sono battuto per ribattezzarlo
"Torino-nord-emergenza, san Giovanni Bosco" in modo
che i laici potessero riferirsi alla prima parte del nome e i
cristiani cattolici alla seconda".
Molti hanno
paragonato il suo modo di organizzare e gestire le emergenze
ai protagonisti del telefilm E.R.
"Apprezzo
molto il modello americano in cui i medici sono capaci di fare
qualsiasi tipo di intervento perché il paziente, quando
è in fin di vita, non ha tempo di aspettare lo specialista
di turno. I medici del San Giovanni Bosco - a differenza di quelli
di altri ospedali, dove la gente moriva in attesa di un posto
in sala operatoria o di un medico - quando era il caso incominciavano
a operare in corridoio, dando la precedenza assoluta ai casi
urgenti e senza mai respingere alcun paziente".
Non svendere
mai la libertà
Qual è
il segreto per essere un buon medico?
"Mettere
l'intelligenza al servizio delle cure e non delle malattie. Considerare
il paziente che mi sta davanti - cosciente o non cosciente -
come una persona e non come un organo malato. Usare le competenze
pensando ai diritti della persona e occuparsi globalmente dei
suoi problemi: non come accade a volte per i cosiddetti malati
psichici, spesso curati a suon di pillole e privati dei propri
diritti all'assistenza domiciliare, alla possibilità di
vivere nella propria casa, a contatto del proprio mondo e delle
cose che sono loro care. E poi impegnarsi allo stremo, senza
risparmio".
Ha ricoperto
incarichi di responsabilità senza essere mai stato sfiorato
da scandali...
"Non ho
mai tenuto in tasca nessuna tessera, ad eccezione di quella del
supermercato di fiducia, perché se fossi iscritto a un
partito dovrei accettare indicazioni e pressioni su tutte le
decisioni che dovrei prendere, a cominciare dalla nomina dei
primari. Ho scelto di non prostituirmi al potere, anche a costo
di guadagnare meno, e di non svendere la mia libertà".
Un cammino
che non ha percorso da solo...
"Ho scelto
di volta in volta obiettivi alti e motivato le persone con cui
collaboravo per realizzarli, stabilendo rapporti franchi e badando
che ciascuno si sentisse parte di una squadra. I medici e gli
infermieri erano disposti a mettersi in gioco, fieri di far parte
di un progetto che oltrepassava la mediocrità imperante.
Come suor Carmela, che dopo aver prestato cure ai malati per
otto ore andava alla bollatrice per la fine del turno e, anziché
andare a casa, tornava in corsia a confortare i malati".
In un periodo
di crisi per l'Italia, in cui budget sempre più ridotti
costringono a tagli ingenti anche sulla spesa sanitaria, quali
sono rimedi possibili?
"La spesa
sanitaria incide sull'80% dei bilanci nazionali e regionali.
Fino a quando i politici chiameranno a gestire questi immensi
capitali stupidi di fiducia o yes man non si andrà lontano.
I posti cardine dovrebbero essere occupati da persone competenti,
preferibilmente medici, motivati ad agire onestamente e ad assumersi
le proprie responsabilità".
Carlo
Tagliani