Mons. Romero lo ricordo così...


Vent’anni fa, il 24 marzo 1980, mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, veniva trucidato sull’altare dagli “squadroni della morte”. Dopo aver dato il cuore ai suoi campesinos, dava per loro anche la vita.
Ho conosciuto mons. Romero personalmente nel gennaio del 1979 a Puebla, partecipando ai lavori della III Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano (Celam)...
Un giorno, mons. Romero... mi disse che la scelta preferenziale dei poveri era divenuta per lui una ragione di vita. E mi spiegò come era avvenuta la sua “conversione”. “Quando assassinarono il mio braccio destro, il padre Rutilio Grande – mi disse –, anche i campesinos rimasero orfani del loro «padre» e del loro più strenuo difensore. Fu durante la veglia di preghiera davanti alle spoglie dell’eroico padre Gesuita, immolatosi per i poveri, che io capii – proseguì mons. Romero – che ora toccava a me prenderne il posto, ben sapendo che così anch’io mi sarei giocato la vita”. E l’arcivescovo di San Salvador mi parlò quindi della situazione drammatica del suo Paese, dei diritti umani calpestati, di tanti suoi figli spariti nel nulla, delle torture e delle esecuzioni sommarie.
Dalla sua bocca non uscì una sola parola di odio. Anzi ripeteva con forza che lui era convinto che la violenza si dovesse fermare, da qualsiasi parte venisse; che ogni spirito di vendetta andava assolutamente bandito; che solo l’amore poteva far trionfare la giustizia e avrebbe portato alla riconciliazione e alla pace.
A un certo punto... s’interruppe; e, cambiando di tono, aggiunse testualmente: “Ho appena saputo che un mio quarto sacerdote è stato assassinato. Lo so. Appena mi prenderanno, uccideranno anche me”. Lo guardai. Non mostrava alcun segno di rammarico o di paura. Sorrideva. Il suo volto lasciava trasparire una serenità, che solo la fede profonda e un amore grande possono dare. Quel volto non l’ho più potuto dimenticare. Il volto di un martire dei nuovi tempi...
                                         Bartolomeo Sorge S.I., da Popoli, n. 3, 2000

La vita?
È consegnarsi al Disegno buono di Dio su di noi

Ecco la testimonianza di Roberto Formigoni, presidente (2000) della Regione Lombardia, dopo la morte dei genitori...
«La morte dei miei genitori è stata un grande dolore per me e per i miei fratelli. E tuttavia abbiamo visto con chiarezza il compiersi di un disegno provvidenziale e buono. Mio padre e mia madre ci hanno dato una testimonianza di unità molto forte, e il Signore ha permesso che fossero uniti anche nella morte.
La morte dei genitori mi ha confermato ancora di più che veramente la vita è l’opera di Dio, e che compito della vita è consegnarsi al Dio buono che ti ha fatto, è consegnarsi al Disegno buono che Egli ha su di noi. Offrire la nostra vita e rinnovare l’offerta della nostra vita secondo la modalità con cui siamo stati chiamati è il più grande gesto di libertà e di crescita personale che possiamo fare. Anche di fronte agli attacchi, alle diffamazioni e ai presunti scoop elettoralistici».
                                                                   Da Tracce, marzo 2000


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2000-6
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