Visita del Papa in Ucraina -
Una testimonianza


Giugno 2001: Papa Giovanni Paolo II in Ucraina.
 Uno dei tanti viaggi, (troppi per qualcuno), che quasi non fanno più notizia. Invece quel viaggio ha fatto molta notizia, non per le folle sterminate che quasi sempre circondano il Papa (queste ci furono solo l’ultimo giorno a Leopoli con un milione di fedeli) ma per le polemiche che ci sono state da parte della gerarchia ortodossa e specialmente di Alessio II, patriarca di Mosca che ha accusato il papa slavo di essere venuto a dividere... gli slavi. Addirittura.
Questa visita è stata un’occasione per la chiesa ucraina di vedere e ripensare la propria storia recente, fatta di sofferenze, di persecuzioni e di martirio. L’Ucraina è stata “coperta di montagne di cadaveri e da fiumi di sangue” secondo le parole terribili del metropolita Josif Slipyi.
I cattolici ucraini hanno pagato caro la loro fedeltà a Dio e la volontà di stare uniti con Roma. Tra i testimoni e martiri della persecuzione comunista (e nazista) ricordiamo il vescovo Pavlo Vassilyk, che ora ha 75 anni. Ecco la sua (e di tanti altri) storia: “La Chiesa delle catacombe eravamo noi. La nostra arma era quella di non avere armi, tranne quella della fede. Eravamo sempre una chiesa in cammino, in fuga perenne dalla polizia e dal KGB, da una casa all’altra, da un appartamento alla foresta, dai campi ad un tempio sconsacrato e chiuso...”. Tutto questo era cominciato nell’anno di disgrazia 1946 quando il dittatore Stalin stabilì l’unificazione forzata dei greco-cattolici (o Uniati, cioè uniti a Roma) nella Chiesa ortodossa di Mosca. Ancora il racconto di Mons. Pavlo Vassilyk: “Quando fui ordinato prete nel 1956, ero appena uscito dal carcere. La mia colpa era di essere greco-cattolico. Tre anni dopo ero di nuovo dentro, perché non volevo cambiare idea... Ci si riuniva, spesso di notte, nelle case, nei boschi, nelle chiese chiuse; ogni edificio poteva diventare un tempio della nostra chiesa sotterranea. Facevamo persino pellegrinaggi clandestini, rischiando. Perché la paura era tanta, la repressione continua, le sofferenze senza fine e l’incubo della fucilazione sempre presente. Ma ci sorreggeva la speranza e la fede in Dio. Nessuno può immaginare oggi lo stillicidio continuo di multe, carcere, repressioni e torture... La milizia cercava i sacerdoti e più di tutto i vescovi. Era una vera e propria caccia al vescovo... una volta un vescovo riuscì a fuggire travestito da donna. Io stesso un giorno mi sono salvato fuggendo da una finestra...”. Pavlo Vassilyk venne ordinato vescovo di Leopoli clandestinamente in una vecchia chiesa di campagna nel 1974. Quattro anni dopo ci fu l’elezione del Karol Wojtila, il primo papa slavo: “Ringraziammo Dio. Dovevamo stare zitti, ma eravamo felici. L’annuncio di un papa slavo ci sembrò una svolta”. Ma fino al 1989 (caduta del Muro dei Berlino, e disintegrazione dell’Unione Sovietica) la vita continuò ad essere dura. “Eravamo tra due fuochi. Il KGB ci colpiva e gli Ortodossi, che ci avevano tolto le chiese...”.
Nella sua patria liberata dal comunismo (ma non dalle polemiche della Chiesa Ortodossa) Pavlo Vassilyk ha potuto riabbracciare il papa slavo, in visita a Leopoli. Il suo bilancio finale: “La chiesa è stata più forte. Abbiamo vinto disarmati l’ateismo. Con la fede, la pazienza, la capacità di durare. Nonostante i vescovi fucilati, i preti torturati, i fedeli perseguitati. Non pensavamo che un giorno la nostra Chiesa e la nostra patria sarebbero state libere. Invece si è avverato. Il Papa è venuto tra noi”.
 (Mario Scudu)
                                                                               


IMMAGINE:
Giovanni Paolo II nel suo viaggio in Ucraina nel giugno 2001
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-11
VISITA
 Nr.