RICORDO DI GIOVANNI XXIII

Ricordiamo il neo Beato Giovanni XXIII con alcuni passaggi di un’intervista di Sergio Zavoli a Mons. L. Capovilla, segretario del “Papa buono”.

Era questo l’ottimismo di papa Giovanni?

«Soleva ripetere spesso un aforisma attribuito a san Bernardo “Vedere tutto, sopportare molto, correggere una cosa alla volta”. E aggiungeva: “Però lavorare sempre, e non voltarsi dall’altra parte del guanciale per dormire”. Sì, papa Giovanni è stato un ottimista. “Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia concluso qualcosa di bene. E poiché noi siamo chiamati a fare il bene, più che a distruggere il male, a edificare più che a demolire, per questo mi pare di trovarmi a posto e di dover proseguire per la mia via di ricerca del bene, senza più curarmi dei modi diversi di concepire la vita e di giudicarla...”».

Ebbe coscienza di piacere ai laici, agli indifferenti, e del sospetto che queste simpatie gli attiravano?

«Sì, c’è anche una nota nel suo diario personale: “A volte questo essere tenuto in molta considerazione e lodato da persone che non hanno fede o ne hanno poca mi umilia, perché mi espone al pericolo di essere ritenuto da molti in concetto di troppa condiscendenza... Eppure parmi di poter dire che la verità non la nego né la diminuisco in faccia a nessuno. Cerco di mettere insieme le ragioni della verità e quelle della carità. Per questo tutte le porte si aprono”»...

Morì serenamente?

«Sì, Alla conclusione della sua vita, attorno al letto, i suoi collaboratori piangevano. Lui non versò una lacrima».

Come fu il vostro congedo?

«Ebbi il mio congedo da papa Giovanni il 31 maggio 1963, quando gli annunciai che la sua vita era terminata. Mi avvicinai al letto e gli dissi: “Santo Padre, compio il mio dovere, come d’accordo. Faccio con lei quello che lei ha fatto con il suo vescovo, monsignor Radini. Vengo a dirle che l’ora della fine è giunta”. Può immaginare la mia emozione. Ma lui rimase tranquillo. Mi prese la mano, mi disse parole che conservo come un ricordo incancellabile del mio servizio presso di lui e poi, pacatamente e delicatamente, concluse: “Abbiamo lavorato, abbiamo servito la Chiesa. Non ci siamo soffermati a raccattare i sassi che da una parte e dall’altra ci venivano lanciati. E non li abbiamo rilanciati a nessuno”».
                                                                                   Da Jesus, n. 6, 2000


In preghiera davanti alla Porta Santa con quel rosario costruito di nascosto

La profonda devozione di un’anziana coppia di pellegrini si manifesta apertamente proprio quando oltrepassano quella Porta, camminando sulle ginocchia. Poveri negli abiti, ma non nello spirito, i due romei provengono dalla Romania, e si dichiarano orgogliosi di appartenere alla minoranza cattolica che vive nel paese. “La maggior parte dei cristiani rumeni sono ortodossi”, spiega Joanne Roca, sessantotto anni a giugno, “però nella nostra città la comunità cattolica è abbastanza numerosa, non solo adesso, ma anche durante il periodo del comunismo: certo, allora era più difficile, non si poteva professare liberamente la propria fede, ma questo non ci ha impedito di credere”.
Joanne tira fuori dalla tasca un rosario: “questo l’ho fatto io, con i semi di corniolo, più di venti anni fa... e così anche quello di mia moglie”, prosegue il pellegrino, mostrando le due corone del rosario, “quando c’era il comunismo, queste non si potevano vendere, né comprare: e allora io le ho costruite con le mie mani”. “Non mi potevano impedire di pregare: io recito il rosario almeno tre volte al giorno, da solo o con mia moglie”, ci dice, mentre riprende a camminare accanto a una donna scarna, con il capo coperto da un fazzolettone annodato sotto al mento.
                                                               L. Coretto - Da L’osservatore Romano


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2000-9
VISITA
 Nr.