«Disprezzato,
reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato
e non ne avevamo alcuna stima, eppure egli si è caricato
delle nostre sofferenze... è stato trafitto per le nostre
iniquità» (Is 53,3-4). È così perché
vuole. Non ha chiamato a sua difesa dodici legioni di angeli;
lo poteva fare, ma non ha voluto. Non ha voluto camminare sul
sangue degli altri; lascia che camminino sul suo sangue: «Beati i miti,
i non violenti, perché possederanno la terra». Già
questo dice che Gesù vincerà.
A questa immagine di Gesù,
mettiamo sullo sfondo i segni della gloria e della Risurrezione,
come certamente lo contemplava la comunità di Matteo,
ma non mettiamogli una corona doro, lasciamogli i segni
della sua regalità, quella del servizio, come voleva San
Francesco dAssisi. Questi segni dicono che solo lui ha
dato la vita per il suo popolo e che non è come i potenti
di questo mondo che per salvarsi mandano gli altri, soprattutto
i giovani, al macello. Gesù non ha agito così.
Perciò non mettiamo la sua immagine accanto a quella dei
potenti di questo mondo. Sarebbe insultarlo di nuovo. E ora seguiamolo
sul Calvario.
Il Crocifisso
(27,33-37)
«Giunti al Calvario gli
diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò,
ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si spartirono i
suoi vestiti tirandoli a sorte». Un dato è subito
evidente: Matteo non descrive la crocifissione, si limita a dire
dopo averlo crocifisso, non gli interessa la crocifissione
in sé; essa è un peccato, non è un atto
di salvezza. A lui interessa il Crocifisso, colui
che è stato appeso alla croce. Questo spiega il nostro
titolo e il lettore deve fissare lo sguardo su Gesù e
non su quello che fanno a Gesù: è lui che realizza
la storia della salvezza. Perciò la domanda fondamentale
è: Come si comporta Gesù?
«Gli diedero da bere
vino mescolato con fiele; lo assaggiò ma non ne volle
bere». La parola fiele unita alla parola aceto,
che verrà usata dopo (27,48) è un richiamo al Salmo
69,22: «Nel mio cibo hanno messo fiele e quando avevo sete
mi hanno dato aceto». Subito dopo si cita il Salmo 22,19:
«Si divisero le sue vesti tirando a sorte su di esse».
Il lettore è abituato a questo modo di esporre e, quindi,
percepisce la fede della comunità che sa di ascoltare
non una storia qualsiasi, ma un evento che si compie secondo
le Scritture, cioè un evento salvifico. Il morire in Croce
di Gesù è storia di salvezza, è in lui e
solo in lui che si compie la salvezza umana.
Limmagine di Gesù è ancora arricchita dal
fatto che quando gli diedero quel vino mescolato con fiele, non
ne volle bere. È la settima volta che Matteo usa il verbo
volere con soggetto Gesù e sempre indica che
Gesù vuole compiere la volontà del Padre, cioè
la salvezza e qui Gesù vuole essere coscientemente fedele
sino in fondo a quella totale donazione di sé agli altri
che è riscatto per i molti (20,28) e perdono
dei peccati (26,28).
Gesù
insultato (27,38-44)
La seconda scena è una
rivelazione ancora più evidente. La notizia che due malfattori
sono stati crocifissi con lui, ripetuta due volte (vv. 38 e 44),
fa da cornice allintera azione ed è un richiamo
a Isaia 53,12: «Tra i malfattori fu annoverato».
Lavevano già percepito alcuni antichi amanuensi
che la introdussero nel passo parallelo di Mc 15,28 e che in
Luca è citata tra le profezie fatte da Gesù (22,37).
Allinterno di questa cornice ci sono due implicite citazioni
del Salmo 22. I passanti lo insultano scuotendo la testa
(v. 8); i gran sacerdoti, i dottori della Legge e i capi del
popolo si burlano di lui, dicendo: «Ha confidato in Dio,
lo liberi lui se gli vuole bene» (v. 9). Quella che viene
descritta è storia di salvezza, anche se a prima vista
è solo una scena di atroci insulti. Sinsulta il
potere che Gesù ha preteso di avere e ciò che lui
pretende di essere. Anche in Marco è così, ma le
modifiche di Matteo e laver aggiunto due volte il titolo
Figlio di Dio, rendono gli insulti ancora più
duri e sferzanti.
I passanti
ridicolizzano la sua capacità di distruggere il Tempio
e di ricostruirlo in tre giorni e aggiungono: «Salva te
stesso. Se sei il Figlio di Dio scendi dalla croce». I
capi dicono: «Se è il Re dIsraele, scenda
dalla croce e gli crederemo». La formulazione delle frasi
in Matteo è simile a quella delle tentazioni. Il lettore
sa che Gesù ha vinto le tentazioni rinunciando a un messianismo
spettacolare e ora le vince di nuovo, rinunciando a scendere
dalla croce. Non vuole scendere dalla croce, vuole continuare
nel suo servizio, per vivere di ogni parola che esce dalla bocca
di Dio.
Lo insultano dicendo: «Ha
salvato gli altri, non può salvare se stesso?».
Anche il più piccolo nella comunità di Matteo ha
la risposta pronta: «Non può perché non vuole,
se volesse chiamerebbe dodici legioni di angeli, ma come si compirebbero
le Scritture?». Ed eccoci al culmine degli insulti. Solo
in Matteo si mette in ridicolo latteggiamento di fondo
di tutta la vita di Gesù, la sua fiducia in Dio. Ma lui
si fida lo stesso di Dio: «Ha confidato in Dio: Dio lo
liberi se gli vuole bene. Ha detto infatti: Sono Figlio
di Dio».
Gesù
muore in croce (27,45-54)
Avevano detto ridendo: «Ha
confidato in Dio». E Gesù risponde pregando: «Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È
linizio del Salmo 21, che è un salmo di speranza,
non di disperazione. È il giusto sofferente che nella
sua immensa angoscia si aggrappa a Dio, anche se non riesce a
sentirne la presenza, perché la morte, che è lantitesi
della vita, si avvicina. Gesù non ha mai cessato di affidarsi
a Dio e di pregare, di avere il coraggio di guardare avanti e
di sperare contro ogni speranza. Lo dimostra il fatto che, secondo
Luca (23,46), Gesù dice tutta la sua fiducia in Dio con
le parole del Salmo 31,6: «Padre, nelle tue mani affido
il mio spirito»; e secondo Giovanni, con il Salmo 69,22:
la sete di Gesù è compimento delle Scritture ed
è anche in Giovanni sete del Dio vivente (Sal
42,3), espressione del desiderio di Gesù di essere glorificato
presso il Padre.
Hanno osato
sfidare Dio: «Dio lo liberi, se gli vuole bene, perché
ha detto: Sono Figlio di Dio». Non è solo una citazione
del Salmo 21, ma anche unallusione al libro della Sapienza,
dove, con sarcasmi, si descrive la vita del giusto: dà
fastidio a tutti perché è un vivente rimprovero.
Di lui si dice: «Si vanta di avere Dio come Padre»
(2,16) e allora dicono: «Se il giusto è figlio di
Dio, egli lo libererà... Condanniamolo a morte, tanto
il soccorso gli verrà», (2,18.20). Lautore
commenta: «La pensano così, ma si sbagliano; non
conoscono i segreti di Dio... né credono alla ricompensa
delle anime pure» (2,21-22).
Sul Calvario tutto suona come
una sfida a Dio, che laccetta e risponde: «Si fece
buio su tutta la terra». Poi, quando Gesù
gridò con voce forte e morì, Matteo dice: «Ed
ecco che il velo del Tempio si squarciò da cima a fondo;
(continua il solo Matteo) e la terra tremò e le rocce
si spaccarono, le tombe si aprirono e molti corpi dei santi che
erano morti tornarono in vita». Questo non è un
racconto di morte, ma di trionfo della vita. È Dio che
sente il forte grido del Figlio che si affida a lui e irrompe
in modo definitivo nella storia dimostrando che è sempre
stato dalla parte del Giusto. Di fronte a questi eventi, cioè
come dice il testo: «sentendo il terremoto e tutto quello
che accadeva», il lettore cristiano, abituato al linguaggio
biblico, sa che è in atto una grande teofania, cioè
una manifestazione potente e gloriosa di Dio.
La storia è davvero
al suo punto cruciale: lantico è spazzato via: «il
velo del tempio si squarciò». È Gesù
che distrugge il Tempio terreno, quel velo che segnava la separazione
da Dio; squarciandolo ci apre la via verso il Padre.
Quanto il Centurione dice: «Veramente questuomo era
Figlio di Dio», noi ascoltiamo latto di fede della
comunità cristiana. È la comunità che riconosce
in Gesù innalzato sulla croce la vera e definitiva teofania
della storia, quella che dà inizio ai tempi nuovi e sono
tempi in cui trionfa la vita. Quando Matteo parla dei morti che
ritornano in vita: «uscirono dalle tombe dopo la Risurrezione
di lui», non intende dire che sono rimasti tre giorni vivi
nei sepolcri. Sta facendo teologia e legge in modo sincronico
due eventi diversi: morte e Risurrezione. Matteo intende affermare
che la morte di Gesù devessere intesa come vittoria
sulla morte. È la vita che trionfa ed è una vita
che trascina tutti coloro che gli appartengono, i santi. Gesù
è il vero vincitore della morte: è risorto e vince
la morte in ciascuno di noi.
Attorno
al sepolcro (27,30-28,6)
Con un simile annuncio, sappiamo
già che il racconto della sepoltura non è la fine.
Lespressione: «Giuseppe di Arimatea fece rotolare
una grande pietra sulla porta del sepolcro e se ne andò
via» è solo la documentazione di un atto di fede:
Fu sepolto. Ma tutti sentono che non è finita.
Anche quelli che hanno fatto uccidere Gesù non si sentono
tranquilli, e, secondo il solo Matteo, corrono a sigillare il
sepolcro e vi mettono le guardie, almeno fino al terzo giorno.
Cè
una parola di Gesù che dà loro fastidio. Quando
era vivo diceva: «Il terzo giorno risorgerò».
Non sanno che la Parola di Dio non può essere incatenata
(è unesperienza viva). Il loro atteggiamento indica
non fede.
Non così latteggiamento delle donne che «alla
sera del sabato, alle prime luci del primo giorno della settimana».
Così bisogna tradurre 28,1, come si fa in Luca, quando
racconta la fretta di metterlo nel sepolcro, perché oramai
«si era alle prime luci del sabato» (Lc 23,54).
Le donne, appena iniziò
il primo giorno della settimana, cioè alla sera del sabato,
andarono a visitare la tomba. Non portano come in Marco e Luca
un vasetto di aromi per ungere il corpo di Gesù, ma «vanno
a visitare la tomba». È chiaro che sono in attesa
del compimento della Parola del Signore. Infatti «vi fu
un grande terremoto, perché un angelo del Signore, sceso
dal cielo, si avvicinò, rotolò via la pietra e
vi si sedette sopra». Poi disse alle donne: «Non
abbiate paura. So che cercate Gesù il crocifisso. Non
è qui; è risorto come aveva detto».
Nessuno ha visto Cristo risorgere, lo hanno visto vivo dopo la
morte. Infatti, «si è fatto vedere a Pietro, ai
Dodici e a più di cinquecento fratelli in una sola volta.
Si è fatto vedere a Giacomo e poi, dice Paolo, anche a
me come a un aborto»
(1 Cor 15,5-8).
Andate
(28,7-10.16-20)
Come incontrare Gesù
nella nostra vita? Langelo dice alle donne: «Presto,
andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti
».
E, mentre esse andavano, «Gesù venne loro incontro
e disse: Rallegratevi... E ora andate ad annunciare ai
miei fratelli, che vadano in Galilea; là mi vedranno».
E quando si fa vedere a loro in Galilea, dice: «Andate
a fare miei discepoli tutti i popoli». Lincontro
con Gesù è possibile se lo annunciamo. Il suo comando:
Andate continua a risuonare per tutti nella storia,
ed è il compito più bello per ogni discepolo.
Preghiamo
Gesù,
ora so che davvero mi ami e che fai di tutto per salvarmi. Lascia
che fissi su di te, crocifisso e coronato di spine, il mio sguardo
e che adorandoti ti dica: Tu sei il mio re, Tu sei colui che
regna sovrano nella tua Chiesa. Tu sei un re che non vive, anche
oggi che sei risorto, come i potenti di questo mondo, ma metti
sempre la tua autorità a servizio di tutti, perché
hai versato il tuo sangue per tutti, per liberare
tutti dal peccato e riconciliarli con il Padre. Tu sei la vera
guida della mia vita. Fa che non lo dica solo a parole
ma con i fatti. Amen!
D.
Mario Galizzi SdB
IMMAGINI:
1-4: Disegni di G. SCHNOOR - G. B.
CONTI, Editrice ELLE DI CI Torino-Leumann
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2005-3
VISITA Nr.