ALLA SCUOLA DI MATTEO:
LA MISSIONE DI GESU' E DEI DISCEPOLI

In questa bellissima sezione predomina il “Discorso Apostolico” (10,5-42) da cui appare come la missione dei discepoli emana da quella di Gesù e come la missione di Gesù sia l’esemplare di quella dei discepoli. L’introduzione (9,35-38) presenta Gesù colmo di interesse per le folle e quello che si dice è impressionante: «Gesù vedendo le folle ne sentì compassione, erano stanche e sfinite come pecore senza pastore». Qui il richiamo ai profeti era familiare per i primi destinatari del Vangelo e richiamava loro la situazione di Israele.

Nella compassione di Gesù essi sentivano risuonare il “Misericordia voglio, non sacrificio” di Os 6,6 (Mt 9,13) e risentivano pure il lamento di Dio di fronte agli smarriti di Israele che vanno “vagando e oppressi come pecore senza pastore” (Zc 1,2); “vanno errando le mie pecore – dice Dio – sono smarrite, disperse, nessuno si prende cura di esse; i loro pastori... pensano solo a se stessi” (cf Ez 34,1-3). Perciò decide di “mandare loro un pastore, Davide mio servo” (Ez 34,23) e di “costituire su di esse pastori che avranno cura del gregge” (Ger 23,4). La comunità di Matteo è convinta che il Pastore promesso è Gesù, che ora eleggendo gli Apostoli costituisce pastori sul gregge di Dio che è la Chiesa.

Ma qual è il vero e primario mandante? Osserviamo Gesù che dice ai discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi, pregate il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe». Gesù non perde mai di vista il Padre e non solo si sente mandato da lui, ma lo vede anche come il mandante di ogni pastore. La missione è dono del Padre e la si ottiene nella preghiera. Secondo Luca 6,12 Gesù prima di eleggere i Dodici passò tutta la notte in preghiera. Ora, secondo Matteo, sta per mandare i Dodici, ma sa che è il Padre a mandarli. Per questo li invita alla preghiera e poi, prima di mandarli rivolge loro un lungo discorso, il cui materiale è in parte sparso qua e là nei Vangeli di Marco e di Luca.

La missione dei Dodici (10,1-4)

«Chiamati a sé i Dodici diede loro potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni malattia e infermità». Tutti comprendiamo che comunica loro i suoi stessi poteri. Abbiamo tradotto “guarire”, ma il significato primario del verbo greco “therapeuein” non è quello di compiere guarigioni in senso di miracoli, ma quello di “curare”. Forse sarebbe meglio tradurre con una parafrasi: “interessatevi degli ammalati, cercate di curarli e di portarli verso la guarigione”. La comunità cristiana ci pensi: Gesù le ha affidato come compito primario quello di “predicare”, che qui Matteo non ricorda, vedi però 10,7 (Mc 3,14: At 6,8) e poi quello di “curare”. A questo punto Matteo interrompe il racconto per fare l’elenco dei Dodici (10,2-4). Non lo si può tralasciare, sono troppo importanti; sono i testimoni oculari, la loro testimonianza è il fondamento della nostra fede.

Il mandato (10,5-15)

Prima di inviarli Gesù li istruì dicendo: «Non andate tra i pagani, né tra i Samaritani, ma piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele». Quanta attualità c’è in queste parole per la chiesa giudeo-cristiana di Matteo. Benché scomunicata e rifiutata dal proprio popolo, essa sente che ha il dovere di annunciare il Vangelo prima a Israele, i cui membri sono qui definiti «pecore perdute», cioè fuori dalla storia della salvezza, gente che non cammina più con Dio nella storia. Il motivo è che non accettano Cristo come il perfetto compimento della Legge e dei Profeti. Perciò i giudeo-cristiani debbono fare come Paolo, che rifiutato e perseguitato dal proprio popolo, ovunque andava cercava subito un contatto con la comunità ebraica.
Il contenuto dell’annuncio è pure chiaro: Il Regno di Dio è vicino, un evento che si personalizza in ogni persona che si sforza di vivere la volontà di Dio come Gesù ci ha insegnato. Chi vive la realtà del regno entra in un clima di vera risurrezione che non consiste nel rianimare un cadavere ma che si esplicita nell’interesse degli altri per portare tutti verso una vera liberazione dalla radicalità del male. Questo compito si realizza quando nell’annunciatore c’è un vero distacco dalla ricchezza e un rispetto per la libertà altrui. Il messaggio non si impone; dev’essere accolto liberamente e se si è rifiutati si va altrove come ha fatto Gesù quando i Gadareni non lo accolsero.

Le persecuzioni sono inevitabili (10,16-23)

In che situazioni i discepoli annunceranno il Regno? Basta osservare quello che è capitato a Gesù e quanto ha detto loro: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Gesù è il primo che ha vissuto quanto ora dice ai suoi discepoli: «Vi consegneranno nelle loro sinagoghe e sarete condotti davanti a governatori e re per dare testimonianza a loro e ai pagani». Gesù ha dato la sua bella testimonianza davanti a Pilato (1 Tm 6,7). La persecuzione è un momento privilegiato per rendere testimonianza a Gesù. Non è facile, ma Gesù dice loro “Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire quando sarete giudicati, perché in quel momento non sarete voi a parlare ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”. Comunque quando si è perseguitati, se uno riesce a fuggire fugga. E se non può fuggire cerchi di mettere la propria fiducia nel Padre sicuro che “tutti i suoi capelli sono contati. Perciò non abbia timore”. Ciò che veramente conta è di sapere in ogni circostanza “confessare e annunciare Cristo”. Perché ci dice: “chi nega di avermi conosciuto, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio” (10,32s).

C’è un caso molto triste (10,34-39)

È con tristezza che Gesù, la nostra pace (Ef 2,14), sente di dover costatare che in realtà “non è venuto a portare la pace ma la spada”, cioè la divisione.
Ed eccolo che mette in evidenza il fatto più doloroso: “la divisione tra i familiari”. Egli stesso ne ha fatto esperienza (12,46-50).
Alla domanda: “Come affrontare da discepoli questa situazione? Gesù risponde con parole chiare: «Chi ama la madre o il padre più di me non è degno di me». Solo chi sa mettere l’amore di Gesù al di sopra di ogni cosa può sopportare tali divisioni nella pace. Solo chi ama Gesù e fa la scelta per lui, costui, se è figlio, continuerà ad amare i propri genitori e fratelli carnali anche se lo perseguitano o, come si è detto in 10,21, lo denunciano e cercano di farlo morire.
Chi fa la scelta di Gesù è sempre disposto a perdere anche la propria vita, sicuro di riaverla in tutta la sua pienezza (v. 39).

Ma non tutto è tristezza (10,40-42)

Una cosa comunque è certa: ci sarà sempre qualcuno che ci accoglie come inviati di Cristo. E questo significa un vincolo infinito di amore. Gesù ha detto: «Chi accoglie voi, accoglie me e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha inviato». La comunione con Gesù e il Padre passa attraverso l’accoglienza dell’inviato che porta il messaggio di salvezza. È così importante per Gesù anche il più piccolo gesto di accoglienza che arriva a dire: «E chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua a questi piccoli perché mio discepolo, in verità vi dico: non perderà la sua ricompensa». Il più piccolo per Gesù ha lo stesso valore dell’apostolo, del profeta e del giusto. E questo dice che Gesù ci vuole tutti uniti nell’amore.
È con questa nota di accoglienza che si chiude il “Discorso Apostolico”. Possono essere anche tragiche le vicende che deve attraversare l’inviato, ma non sarà mai un abbandonato da Dio e troverà sempre in un’autentica comunità un ristoro e veri momenti di fraternità e di pace.

La missione di Gesù (11,1-19)

Quello che finora si è detto della missione dei discepoli per Gesù appartiene al futuro. Esprimendolo ci siamo richiamati varie volte alla sua esperienza. Ora vogliamo toccarlo con mano, risalendo per così dire agli inizi con un confronto Giovanni Battista-Gesù.
Il Battista ora è in carcere e manda i suoi discepoli a interrogare Gesù. La domanda è ben precisa: «Ma sei proprio tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?». Cioè: “Sei proprio tu il Messia, il definitivo inviato di Dio?”. La risposta diretta non ha valore. Ognuno deve dedurla da ciò che ascolta da Gesù e da ciò che egli fa. Gesù comunque sa che molti dei suoi uditori e ascoltatori si dividono davanti al suo comportamento. Perciò aggiunge: «Beato chi non si scandalizza di me».
Poi passa a parlare di Giovanni Battista e precisa la sua collocazione storica definendola con le parole del profeta Malachia e della Legge (Esodo): «Ecco io mando il mio angelo davanti a te; egli preparerà la strada davanti a te». È chiaro che lo definisce suo precursore. Poi dice di Giovanni una cosa molto bella: «Non c’è nessuno nato da donna più grande di Giovanni Battista; però il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande di lui». Giovanni per Gesù appartiene al tempo antico. La Legge e i profeti infatti hanno in lui il loro termine. Poi ha inizio il tempo della novità assoluta, il tempo in cui l’antico giunge alla sua perfezione. E la definitiva novità è l’annuncio del Regno di Dio.
Ora tutti gli ascoltatori e lettori sanno chi è Giovanni e chi è Gesù. Ma come ci si è comportati di fronte a loro? Di Giovanni hanno detto: “è un indemoniato”, mentre il Figlio dell’uomo l’hanno trattato come un mangione e un beone amico dei pubblicani, cioè dei peccatori. «Ma – dice Gesù – la Sapienza, cioè il sapiente e salvifico agire di Dio nella storia, lo si riconosce dalle sue opere».

Due quadri opposti (11,20-30)

Ora si passa a parlare della situazione di chi rifiuta e della situazione di chi accoglie Gesù. Nel primo quadro (vv. 20-24) risuona un “guai”, però non si tratta di un “guai” maledizione, ma di un “guai” profetico, cioè di un appello fatto con parole dure per riuscire a scuotere i cuori e a chiamarli a conversione. Se Cafarnao, che nella sua superbia si innalza fino al cielo, non si converte sarà precipitata nell’inferno.
Nel secondo quadro (vv. 25-30) si parla di chi accoglie Gesù. Gesù li guarda e scoppia in un inno di lode e di ringraziamento al Padre: «Ti lodo, o Padre, creatore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose a chi si crede sapiente e intelligente e le hai rivelate ai piccoli, ai semplici». Poi parla della sua conoscenza del Padre: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». E ha già detto chi è costui o chi sono costoro: sono i semplici, gli affaticati, gli oppressi ai quali dice: «Venite a me voi tutti perché io sono mite e umile di cuore e io vi ristorerò, perché il mio giogo (cioè: la Legge del Regno) è leggero...». Sentendo queste ultime parole, la comunità di Matteo sente che Gesù li ha veramente liberati dal Regno della Legge con il suo cumulo insopportabile di tradizioni inventate dagli uomini. È ciò che subito appare.

Gesù e i farisei (12,1-14)

Nel primo quadro i farisei condannano i discepoli perché raccolgono spighe in giorno di sabato e le mangiano: è contro la Legge. Ma per Gesù non hanno fatto nulla di male: avevano fame, perciò in un simile caso la Legge non ha valore: è la persona che conta. E poi dice loro: «Il Figlio dell’uomo è padrone del Sabato». Egli afferma che è lui che decide ciò che si può fare o non fare in giorno di sabato. Non l’avesse detto.
Entra nella sinagoga ed ecco che gli hanno preparato un tranello. Gli presentano un uomo con la mano secca e gli chiedono: “È lecito curare di sabato?”. E Gesù a loro: “Se voi salvate una pecora caduta nel fosso in gior-
no di sabato, perché non è lecito fare del bene a un uomo che vale più di una pecora?”. Perciò guarì quell’uomo e i farisei uscirono e decisero di toglierlo di mezzo perché non osservava il sabato. Siamo all’assurdo.

Come reagisce Gesù (12,15-20)

Gesù si allontanò dal pericolo e continuò a fare del bene alla gente che lo seguiva dicendo di non divulgarlo. In questo modo si comportò come dice il testo di Isaia 42,1-4: «Ecco il mio servo che io ho scelto. Porrò il mio spirito su di lui e annunzierà la giustizia (cioè: la volontà di Dio) alle genti. Non contenderà, né griderà, né si udrà la sua voce nelle piazze». Cioè cercherà di non suscitare contrasti che gli impediscano la sua missione. Cercherà di agire in modo da «non spezzare la canna incrinata e da non spegnere il lucignolo fumigante finché abbia fatto trionfare la giustizia. Solo così nel suo nome spereranno le genti». Senza immagini: continuerà la sua missione nella mitezza. Nessuno riuscirà a impedirgli di fare il bene, anche se continuerà ad essere rifiutato.

Accusato di essere un indemoniato (12,21-45)

Un giorno gli portano un indemoniato cieco e muto ed egli lo guarì e la folla sbalordita diceva: «Ma non è costui il Figlio di Davide?». I farisei invece dicono: «Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebul, il principe dei demoni». Segue un lungo e facile discorso di Gesù in cui si sente il suo sforzo di aiutare i suoi avversari a capire che sbagliano. Non ci riesce e allora parla della triste situazione di chi lo rifiuta: «Chiunque bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questo secolo né nel futuro». Tale è la situazione di chi non riconosce che in Gesù agisce lo Spirito Santo. Ma non c’è nulla che riesca a far breccia nei farisei. E Gesù continua a descrivere la loro triste situazione (vv. 33-37). E quando osano chiedergli un segno dal cielo, risponde che non sarà dato loro nessun segno se non quello di Giona annunciando implicitamente la sua passione (vv. 38-40) e poi parla di nuovo con immagini della loro triste situazione (vv 43-45).

La famiglia di Gesù (12,46-50)

Con questo breve racconto si parla di una cosa bella, ma non si descrive una situazione migliore. Sì, Matteo soavizza molto il duro racconto di Mc 3,33-35. Comunque il distacco dai suoi familiari è evidente anche in lui. A coloro che gli dicono: «Tua madre e i tuoi fratelli vogliono parlare con te», Gesù risponde: «E chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?». Poi guarda i suoi discepoli e dice: «Ecco mia madre e i miei fratelli, perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli è per me fratello, sorella e madre». Chi vuole entrare in questa famiglia non rifiuta l’altra, ma può essere rifiutato dall’altra (vedi 10,34-39); e questo è accaduto anche a Gesù: «Neppure i suoi fratelli credevano in lui» (Gv 7,5).
Concludendo dobbiamo dire che il senso di rifiuto ha dominato l’intera sezione. C’è forse qualche speranza? Sì!

Preghiamo

Com’è attuale, o Signore, la tua parola. Viviamo in una società scristianizzata e la divisione è entrata nelle stesse famiglie. Come inventare oggi la nostra fedeltà a te? Ce lo hai insegnato in modo meraviglioso.

Tu ci hai implicitamente detto che non si può costruire un mondo nuovo senza la mitezza e l’umiltà del cuore. Come tu nelle difficoltà non hai mai tralasciato di continuare la tua missione cercando l’incontro con tutti e cercando anche il dialogo con chi ti voleva uccidere.

Così dobbiamo fare noi. Ma come ricevere la forza? Fissando sempre lo sguardo su di te. Solo lo sforzo di imitarti a ogni costo ci darà le capacità e la forza dello Spirito per credere che è possibile costruire un mondo nuovo. Basta solo non perdere mai la speranza e continuare a credere che tu solo hai parole di pace che portano alla vita eterna. Aiutaci, o Signore, ad amare tutti, anche i nemici. Amen!

                                                                                                         Mario Galizzi SDB


IMMAGINI: di G. Schoor / G. B. Conti, ELLE DI CI

1  Gesù sceglie i Dodici e li manda ad annunciare il Vangelo a tutte le genti. Il loro incarico però è duplice: hanno sia il compito di proclamare il Vangelo, sia quello di curare le persone a cui sono inviati.
 Chi annuncia il Vangelo sa che le sue parole si scontrano con la forza del peccato che rifiuta la presenza di Dio nel mondo, per questo deve essere pronto alla persecuzione.
3  Nel Regno di Dio non vi sono differenze di persone. Ognuno ha la stessa dignità, perché tutti sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Per questo, compito della Chiesa, è soprattutto quello di difendere i piccoli, i poveri e gli indifesi.
4  Con il martirio di Giovanni il Battista si chiude il tempo dell’Antico Testamento. Il suo compito è stato quello di indicare presente nella storia Colui che è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.  


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-5
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