ALLA SCUOLA DI MATTEO (13,1-16,20:
VERSO LA CHIESA

Il mese scorso, abbiamo concluso con una domanda: «È ancora possibile la speranza? E abbiamo risposto con un sì, pensando al capitolo 13, il capitolo delle parabole. Lo potremmo definire l’Inno della Speranza-certezza». Gesù, parlando in parabole dice tutta la sua certezza nel trionfo storico e finale del Regno di Dio, senza nascondere le difficoltà, che appariranno con evidenza nella seconda parte (14,1-16,20), dove, da un discorso immaginario si passa alla concretezza storica del lento realizzarsi del Regno di Dio.

Le parabole

«Come parlava facile Gesù!», dicono alcuni che non conoscono il Vangelo. Certo un racconto come quello del seminatore in sé è semplice. Quando però ci si chiede quale sia il suo significato nel contesto dell’annuncio del Regno, allora le cose si complicano. Eppure è questo che Gesù vuole che si capisca quando dice: «Chi ha orecchi per capire, cerchi di pensarci su». La parabola è un racconto enigmatico che vuole portare il lettore altrove e a chiedersi perché Gesù ha narrato quella parabola nel contesto storico che si sta vivendo. Allora la parabola appare anche come un atto di bontà. Gli avversari sono totalmente chiusi all’annuncio. Gesù non può più parlare direttamente per coinvolgerli. Ecco che Gesù allora ricorre alle parabole, in cui parla di terzi o racconta eventi della natura, a cui segue l’invito a pensarci su. È un modo semplice per continuare ad annunciare loro il Vangelo.
I discepoli però si meravigliano di questo cambio di metodo e dicono a Gesù: «Perché parli loro in parabole?». Gesù risponde: «A voi è dato conoscere il mistero del Regno dei cieli, a loro invece no» “A voi sì, a loro no!”. È la divisione degli ascoltatori apparsa nelle pagine precedenti: c’è chi accoglie la Parola e chi la rifiuta. A costoro Gesù parla in parabole nella speranza che “si convertano e io li guarisca” (13,13). Poi spiega ai suoi discepoli quella del Seminatore (13,18-25) e parla di quattro categorie di ascoltatori. C’è chi ascolta l’annuncio del Regno, ma subito lo rifiuta perché è sotto l’agire del Maligno; c’è chi l’ascolta e accoglie, ma poi di fronte alle prime difficoltà, subito cede: è incostante; ci
sono poi coloro che l’accolgono, ma il loro cuore è pieno di tanti altri desideri o passioni che soffocano la Parola ascoltata, impedendole di fruttificare; infine ci sono coloro che accolgono la Parola, cercano di capirla: questi sì che danno frutto. Si potrebbe continuare su questa linea e osservare gli ascoltatori, ma a noi interessa osservare Gesù.

Gesù l’uomo della speranza

Abbiamo definito questo capitolo: L’Inno della speranza certezza. E questo appare sin dall’inizio. Raccontando la parabola del Seminatore Gesù sa che ci saranno delle perdite, ma sa anche che molti semi daranno il trenta, il sessanta, il cento per uno. Perciò sa che la sua predicazione non è vana perché non sono pochi coloro che l’ascoltano e si sforzano di capire. La parabola della zizzania e la sua spiegazione (13,24-30.37-43) presenta un Gesù che sa di avere seminato del buon seme nel suo campo e che questo buon seme rappresenta i “figli del Regno”. Nel mondo crescono insieme alla zizzania che rappresenta i “figli del Maligno”. I buoni e i cattivi vivono insieme. C’è chi vorrebbe fare subito piazza pulita dei cattivi, ma Gesù sa che i veramente buoni non si lasceranno corrompere dai cattivi ed è bene che finché c’è storia sia così. È l’unico modo per dare ai cattivi la possibilità di convertirsi. Alla fine però i buoni saranno separati dai cattivi e «risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro».
Certo, sembra che in realtà i buoni siano un piccolo gregge. Ma non sarà sempre così; lo spiegano le parabole del piccolo seme di senapa (13,31s) e del lievito (13,33). Com’è piccolo quel seme, eppure a poco a poco diventa un albero che protegge molti. Com’è piccola la quantità di lievito, ma è un fermento di bene che giunge ovunque. Così vede Gesù la sua piccola comunità, ma sa che raggiungerà la sua piena crescita e che la sua azione sarà un fermento nella società intera, un beneficio per tutti.
Molti infatti sentiranno la bellezza del Regno, lo vedranno come un tesoro, come una perla preziosa (13.44-45). Vale la pena vendere tutto, distaccarsi da ogni bene per possederlo. Gesù sa che sarà così e guarda il futuro del suo lavoro con entusiasmo. È colmo di una speranza che non delude.
Alla fine i discepoli sono lì a bocca aperta e Gesù chiede loro: «Avete capito tutte queste cose?». Gli rispondono: “Sì”. E Gesù che li vede immersi nell’annuncio del Regno, dice: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del Regno dei cieli è simile a un padrone di casa che trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (13,51-52).
Chi si lascia colmare il cuore dal messaggio del Regno è così ricco dentro che non riesce a tenerlo per sé, deve donarlo.

Dalle immagini alla concreta realtà

La seconda parte della sezione (13,53-16,20) inizia con il racconto del rifiuto dei Nazaretani (13,53-57) totalmente chiusi alla parola di Gesù perché non riescono a capire come da una tale famiglia possa uscire un profeta. E Gesù costata: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». Poi si passa a dire che la fama di Gesù giunse fino a Erode il quale disse: «Costui è Giovanni Battista risuscitato dai morti, per questo la potenza dei prodigi opera in lui» (14,1-2). Questo offre a Matteo l’occasione per raccontare il martirio del Battista (14,3-12) ma soprattutto per parlare della reazione di Gesù alla notizia della sua morte.
Poi, Gesù fuggì di là su una barca e si rifugiò in un luogo deserto, ma la gente lo seguì via terra. E Gesù, quando scese
dalla barca, vide quella grande folla: ne sentì compassione e guarì i loro malati. Verso sera i discepoli gli dissero: «Congeda la folla perché vada a comprarsi da mangiare». E Gesù: «Date voi stessi da mangiare a loro». Avevano solo cinque pani e due pesci. Ma Gesù, li moltiplicò e ce ne fu per tutti, per cinquemila uomini senza contare le donne e i bambini (14,13-23). Alla fine però non ci fu nessun gesto di lode o ringraziamento per Gesù.


Di nuovo in barca (14,24-33)


Gesù ordina ai discepoli di risalire in barca e di precederlo sull’altra riva; poi, congedata la folla, se ne va sul monte a pregare. Aveva bisogno di parlare con il Padre, di discutere con lui la sua strategia missionaria perché la situazione che sta vivendo è colma di rifiuto (12.24-45; 13,53-57). Ma dopo l’incontro con il Padre, eccolo di nuovo colmo di attenzione per i suoi discepoli: sono là sul mare sballottati dalle onde. Ed egli va verso di loro e si fa conoscere. Qui Pietro, appena lo vide, gli dice: «Se sei tu, comanda che io venga a te camminando sulle acque». Gesù glielo permise, ma Pietro si impaurì per la potenza del vento e stava per affondare. Gesù lo prese per mano e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Senza la fede è impossibile camminare con Gesù nella storia così piena di contraddizioni. Se invece si vive la propria fede, allora con Gesù tutto si calma e meravigliati si esclama: «Tu sei davvero il Figlio di Dio». Questa frase è l’opposto del parallelo di Marco 6,51-52: «Non capirono perché il loro cuore era indurito». Marco fa storia, Matteo rilegge i fatti nella luce pasquale e ci dà l’atto di fede della sua comunità che trova nella sua tormentata e tempestosa storia quella fede che dà il coraggio di continuare a camminare con Gesù. È questo che vale per noi.

La polemica si fa dura

Di nuovo uno scontro con i farisei che ora discutono con Gesù sulle tradizioni degli antichi, un tema che è stato e forse continua a essere scottante per la comunità giudeo-cristiana di Matteo. È difficile abbandonare quello in cui uno è stato educato sin dall’infanzia. Per questo Matteo si sofferma a lungo sulle tradizioni dei padri.
L’inizio sembra banale. I farisei accusano i discepoli di Gesù di trasgredire le tradizioni degli antichi perché quando prendono cibo non si lavano le mani. E Gesù di rimando: «Voi fate peggio: trasgredite il comandamento di Dio in nome delle vostre tradizioni». Per voi le tradizioni che voi stessi avete inventato valgono più della Legge che è di origine divina. Infatti dite: «Chi offre a Dio i beni con cui dovrebbe aiutare i genitori, non è più tenuto ad aiutarli. E così annullate il comandamento di Dio: “Onora il padre e la madre” in nome delle vostre tradizioni». Poi viene all’accusa contro i suoi discepoli che mangiano senza lavarsi le mani rendendosi impuri perché entrano in loro delle impurità. Qui Gesù, alle folle che l’ascoltano, dice: «Non ciò che entra nella bocca rende impura la persona, ma ciò che esce dal suo cuore». L’impurità nasce nel cuore, nei pensieri. In questo modo Gesù annulla ogni tradizione sui cibi puri e impuri.
I discepoli, forse spaventati, gli dicono in disparte: «Guarda che si scandalizzano e non riescono a credere in te». E Gesù risponde con una frase che fa tremare, perché è un rifiuto dell’Israele ufficiale: «Ogni pianta che non è stata piantata dal Padre mio sarà sradicata». Con altre parole: Israele non è più la piantagione di Dio o come dice Paolo: “La maggioranza degli Israeliti sono rami tagliati dall’ulivo, non formano più parte dell’Israele di Dio. La comunità giudeo-cristiana di Matteo invece è tra il “il numero degli Israeliti che Dio si è scelto per grazia” (Rm 11,5). Perciò sono parte del nuovo popolo di Dio che ha come capo Cristo, un popolo che ha saputo rompere con tante tradizioni che impedivano di onorare Dio con il cuore (Mt 15,8). Gesù conclude con un imperativo assai forte: «Lasciateli, sono ciechi e guide cieche» (15,14).
Matteo è un vero catechista che aiuta la sua comunità a capire il senso di tante rinunce che ha dovuto fare per essere di Cristo. E ora con un meraviglioso racconto fa meditare la sua comunità sulla fede dei cristiani convertiti dal paganesimo.

La fede di una donna pagana (15,21-28)

Siamo forse di fronte a una delle più belle descrizioni di una mamma. Si tratta di una donna siro-fenicia che esce dal suo mondo, il mondo dell’incredulità e va verso il mondo della fede, rappresentato da Gesù e discepoli che si dirigono verso il mondo pagano. Ora, le difficoltà per un vero incontro, nascono dal mondo della fede, e sono le stesse che sente la comunità di Matteo.
Quella donna si avvicina a Gesù e con tutta la sua fede grida: «Pietà di me, Signore, Figlio di Davide, mia figlia è molto tormentata da un demonio». E i discepoli, chiusi a ogni apertura verso i pagani, dicono a Gesù: «Cacciala via!» (è questa la traduzione giusta). E Gesù: «E sì. Io sono stato mandato alle sole pecore perdute della casa di Israele». Però non riesce a cacciarla via. La donna se ne accorge, si avvicina e gli dice: «Aiutami!». È una mamma immedesimata nel dolore della figlia. In lei non c’è solo fede, ma anche carità. Gesù la mette alla prova con dure parole: «Non è lecito prendere il pane dei figli (= Israele) per gettarlo ai cagnolini». E la donna sperando contro ogni speranza dice: «È vero, Signore, ma i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni». Gesù, aprendosi prima di Pietro ai pagani, l’accoglie nella sua famiglia: «Donna, grande è la tua fede, avvenga per te come desideri». È la fede, la carità, la speranza la base per essere parte della famiglia di Dio.
Pensiamo che la comunità di Matteo abbia sentito tutta la forza della sua catechesi, che rilegge l’evento nella luce pasquale usando il titolo “Signore” e abbia imparato a osservare meglio i cristiani di origine pagana.

Di nuovo in Galilea

Gesù ritorna presso il mare di Tiberiade e di nuovo tanta folla si radunò attorno a Lui. Gesù guarì i loro malati e la folla vedendo ciò «Glorificava il Dio di Israele». Segue la seconda moltiplicazione dei pani (15,32-38) che come la prima (14,15-21) si conclude senza una nota di lode o ringraziamento. Poi Gesù lascia la folla e passa in barca nella regione di Magadàn, dove i farisei di nuovo gli chiesero un segno dal cielo che davvero dimostrasse che lui è il Messia. Ma Gesù rispose: «Non sarà dato nessun segno a questa generazione perversa e adultera se non il segno di Giona». E “abbandonateli se ne andò”. È il segno di una totale e definitiva rottura. Gesù sa che non c’è più nulla da fare con loro (16,1-4).
Risalì in barca con i suoi discepoli e disse loro: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei».
Fu duro per i discepoli capire questo discorso, ma alla fine compresero che Gesù li metteva in guardia dalla dottrina dei farisei, cioè chiedeva loro di abbandonare il loro insegnamento. Era una dottrina fuorviante, non permetteva loro di camminare con Dio nella storia, era necessario buttarla via. La comunità di Matteo lo stava facendo, però era duro liberarsi da un’educazione ricevuta fin da piccoli. Comunque sentiva che era bello aprirsi alla novità di Cristo, gli orizzonti diventavano sempre più vasti. Si trattava di abbandonare il ghetto per immergersi nell’universalità che faceva sentire tutti fratelli (16,5-12).

Dopo la rottura, la fede (16,13-20)

Gesù, mentre cammina verso Cesarea di Filippo, vaglia la fede dei suoi discepoli. È solo una curiosità sapere quello che pensano gli altri; è importante, invece, quello che i discepoli pensano di lui. La domanda è molto personalizzata: «Ma per voi chi sono io?». Pietro rispose: «Tu sei il Cristo» (v. 16); e Gesù disse loro di non dirlo a nessuno (v. 20). Questo è quello che avvenne a Cesarea di Filippo come appare dal racconto di Mc 8,23-30.
Solo dopo Pasqua, Pietro può dire: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», perché è solo dopo Pasqua che c’è la piena rivelazione dell’identità di Gesù e il dono del primato (Gv 21). È dopo Pasqua che si realizza una parola di Gesù a Pietro: «E tu una volta convertito, conferma nella fede i tuoi fratelli» (Lc 22,32).
Gesù, secondo Giovanni dice a Pietro: «Pasci i miei agnelli... Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,15s). Secondo Matteo gli dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa». Questa promessa dev’essere intesa nell’ordine dei ministeri. La Chiesa è fondata su Cristo “pietra angolare” (Ef 2,20), ma questa verità è resa visibile dal ministero di Pietro, che nella storia ha il compito di confermare nella fede i fratelli. È per mezzo suo, “pietra visibile” che si è uniti a Cristo “pietra angolare”. Il servizio dell’unità che gli è stato affidato rende visibile che la Chiesa ha un solo fondamento: Cristo Gesù. E Gesù non è divisibile.

Preghiamo

Signore Gesù, ora so dove trovi la forza per donarti e continuare a vivere di speranza malgrado il totale rifiuto dei capi del tuo popolo. Il tuo evangelista ti ha presentato solo sul monte in preghiera. Anche tu, come uomo, avevi bisogno in certi momenti di parlare, discutere e di confrontarti con il Padre per camminare secondo la sua volontà. Che questa tua immagine si imprima profondamente in me. Fa’ che io mi convinca sempre più che non posso assolvere la mia missione se non faccio come fai tu. È urgente che io sappia trovare momenti personali di comunione con te e il Padre. Solo la forza che mi viene dalla preghiera mi può dare la capacità di inventare ogni giorno la fedeltà alla mia missione. Donami, o Signore, un vero spirito di preghiera. Amen!

                                                                                               Mario Galizzi SDB


IMMAGINI:
© Elledici / G. B. Conti /
Gesù sfama il popolo che lo segue e lo cerca, per dimostrare che è Lui il vero cibo disceso dal cielo; l’unico che possa soddisfare il desiderio di verità e di pace dell’uomo.
2  © Elledici / G. Schnoor - G. B. Conti / Il popolo, anche se sfamato mediante un miracolo da Gesù, non ringrazia in nessun modo per un gesto così straordinario. Questo terribile silenzio è per Matteo il segno di allontanamento della folla da Gesù e l’inizio della solitudine del Messia.
 © Elledici / G. B. Conti / Pietro viene salvato da Gesù che lo afferra per un braccio, impedendogli di affogare. Il primo degli Apostoli rappresenta la Chiesa che chiamata ad attraversare il mare della storia, sperimenta sempre la presenza salvifica del suo Salvatore.
4  © Elledici / G. B. Conti / Pietro viene scelto da Gesù quale rappresentante dell’unità della Chiesa, non per i suoi meriti o per la sua santità, ma per un libero e gratuito disegno divino che comunica a Pietro e ai suoi successori il dono dell’infallibilità.

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-7
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