ALLA SCUOLA DI MATTEO / 6
GLI ANNUNCI DI PASSIONE (Mt 16,21-20,34)
Questa è una grande sezione, tutta centrata su tre annunci di Passione. In essa, Gesù è quasi sempre solo con i suoi discepoli. A volte appaiono le folle o singole persone, ma sono delle semplici comparse perché il tutto è focalizzato sulle relazioni Gesù-discepoli. Per la comunità di Matteo, il tema è vivo: perché il popolo ha rifiutato Cristo? Questo, però, è un tema attuale anche per noi. Le domande: Chi è Gesù per me? Qual è la mia disponibilità alla sequela? sono inevitabili. In secondo luogo, si toccano quelle componenti della vita cristiana valide in ogni tempo.
Il suo inizio è molto importante perché Gesù rivela ai suoi discepoli, che in Pietro lo hanno dichiarato Messia, quale senso ha per lui la sua messianicità. Gesù parte da una situazione molto concreta: la rottura con l’Israele ufficiale è totale. I suoi capi hanno già deciso di farlo morire. E Gesù legge il suo futuro nella luce del Padre.

Primo annuncio di Passione

Per la prima volta Gesù rivela ai suoi che «Egli deve andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani e dei sacerdoti ed essere ucciso, ma il terzo giorno sarà risuscitato» (16,21). Il “deve” non indica fatalità, ma dice che tutto rientra nel progetto salvifico di Dio che non finisce mai nella morte ma nella vita. Abbiamo poi tradotto “sarà risuscitato”, un passivo teologico che ci rimanda ai primi atti di fede: «Dio lo ha risuscitato dai morti». La reazione di Pietro è più che ovvia, anche se Gesù la vede come un’azione di Satana, che lo distoglie dal volere del Padre. Subito l’affronta cercando di strappare Pietro a Satana.

Gli dice: «Riprendi il tuo posto di discepolo dietro a me. Non fare il tentatore. Altrimenti non la pensi come Dio, ma come gli uomini». Gesù vuole vivere la volontà del Padre (16,22s).
Poi mette i discepoli (16,24-28), che oramai sanno qual è il destino di Gesù, di fronte a una scelta: «Se qualcuno vuol essere mio discepolo, la smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua». «Se qualcuno vuole...»: Gesù non vuole dei costretti, ma gente che liberamente lo segue e si lascia coinvolgere nel suo destino, poiché quello è l’unico modo per salvare davvero la propria vita e avere la vita eterna.

Trasfigurazione e fede (17,1-21)

Gesù sente le difficoltà dei suoi discepoli, perciò ne sceglie tre e li porta sul monte: là si trasfigura davanti a loro. Essi lassù sentono la voce del Padre che dice: «Questo è il Figlio mio... Ascoltatelo». L’imperativo della voce, certamente l’hanno capito. Il resto no. Infatti Gesù, scendendo dal monte, dice loro: «Non parlate a nessuno della visione fino a quando il Figlio dell’uomo sia stato risuscitato». Si misero così a discutere sulla venuta di Elia. Gesù fa loro capire che Elia è già venuto e lo hanno rifiutato e così sarà anche per il Figlio dell’uomo. I discepoli capirono che parlava di Giovanni Battista e che accennava alla sua Passione.

Interessante quello che avviene quando giungono tra la gente. Un padre di famiglia presenta a Gesù suo figlio indemoniato e gli dice: «Ho portato mio figlio dai tuoi discepoli ma non ci sono riusciti a guarirlo». E Gesù: «Generazione senza fede, fino a quando vi sopporterò?». È chiaro che Gesù ci riesce, ma ai discepoli che avevano ricevuto il potere di scacciare i demoni (10,8) quel «non ci sono riusciti» scotta e quando riescono a essere soli con Gesù gli chiedono: «Perché non ci siamo riusciti?». E Gesù: «Per la vostra poca fede». Senza la fede è impossibile penetrare nel mistero di Gesù e assolvere alla propria missione.

Secondo annuncio di Passione (17,22-23)

Gesù ora è solo con i suoi discepoli ed eccolo annunciare loro per la seconda volta la sua Passione. Lo fa in modo nuovo e senza usare il “deve”. Si limita a dire: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno». È probabile che la parola “uomini” indichi tutto il mondo ostile a Dio e all’annuncio del Vangelo, quel mondo che perseguiterà anche i discepoli. Comunque Gesù dice tutta la sua speranza di non finire nella morte ma nella vita. Perciò anche qui aggiunge: «Ma il terzo giorno sarò risuscitato».

Gesù e i discepoli (17,24-18,14)

Dopo un giro per la Galilea giungono a Cafarnao, dove quelli che riscuotono le tasse per il Tempio dicono a Pietro: «Il vostro Maestro non paga la tassa del Tempio?». Pietro dice loro: «Sì, la paga». Gesù ne approfitta per fare con lui, che lo ha dichiarato “Figlio di Dio”, un piccolo dialogo. Gli chiede: “I figli dei re pagano le tasse?”. È logico che non le pagano. Perciò neppure Gesù dovrebbe pagarle essendo Figlio di Colui che viene onorato nel Tempio. Comunque Gesù dice a Pietro: «Paghiamola, non scandalizziamoli. Va’ al lago a pescare e nella bocca del primo pesce troverai una moneta con cui puoi pagare per me e per te». Tutto qui.

Non si dice se Pietro sia andato o no a pescare. Comunque il fatto sembra aver suscitato un po’ di gelosia tra i discepoli che chiedono a Gesù: «Chi è il più grande nel Regno dei cieli?». Se la domanda è letta in parallelo a Marco 9,54 e Luca 9,46 i discepoli intendono parlare del primo posto nella Chiesa. Gesù risponde con un gesto significativo. Prende un bambino e dice: «Questi è il più grande». Nel contesto del discorso è chiaro che i piccoli, termine che viene quasi subito sostituito alla parola “bambino” devono avere nella comunità il valore più grande.

La parola “piccoli” indica le persone semplici, quelle che non possono nelle discussioni confrontarsi con chi si crede forte nella fede (vedi 1 Cor, 8) e che dai loro ragionamenti possono essere scandalizzati e perdere la fede e non sentirsi accolti nella comunità (vedi 18,5). È qui che risuona il forte “guai” di Gesù. «Guai alla persona per colpa della quale avviene lo scandalo» (18,7). È così grande il male che fa a se stessa che se si gettasse nel mare con una pietra al collo, si farebbe un male minore. Perciò dice Gesù: «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli vedono la faccia del Padre mio che è nei cieli» (18,10). E Matteo, per spiegare meglio l’importanza dei piccoli nella comunità, racconta la parabola della “pecora perduta” che il pastore (Dio) va a cercare finché non la trova e, trovatala si colma di gioia. La conclusione è solenne: «È volontà del Padre mio che nessuno di questi piccoli si perda» (18,14).

Il peccatore nella comunità (18,15-20)

Molti leggono l’inizio di questo racconto così: «Se tuo fratello ha peccato contro di te». Le ultime tre parole sono un tentativo di certi amanuensi di uniformare il testo col v. 21. Questo brano, però, riguarda di come trattare una persona che ha peccato contro la comunità. E si offrono regole precise. In primo luogo: nessuna pubblicità. Se solo tu ti accorgi che è di scandalo, va’ e rimproveralo. Se ti ascolta il fatto è chiuso e tu gioisci di avere fatto del bene. Se non ti ascolta, cerca di richiamarlo con l’aiuto di uno o due amici, cercando sempre di tenere nascosto il fatto ad altri. Solo se non ti ascolta, allora bisogna dirlo a chi ha autorità nella comunità perché è certo che il male dev’essere tolto. Solo se anche questa via, sempre compiuta nella carità, non dà risultato, allora il peccatore dev’essere eliminato dalla comunità. La conclusione dice, come oltre alla carità, tutto dev’essere compiuto nella preghiera che ci assicura di agire alla presenza di Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Le offese personali (18,21-35)

Il caso lo suscita Pietro con una domanda: «Signore, se un mio fratello pecca contro di me quante volte debbo perdonarlo? Fino a sette?». E Gesù, vero rivelatore dell’infinita misericordia del Padre, dice: «Fino a settanta volte sette», cioè sempre; e subito racconta una parabola per dire che il suo è un Regno di perdono. In essa si parla di uno a cui viene condonato un immenso debito ma che non vuole condonare una piccolissima somma a un suo collega. Quando il Re viene a saperlo, annulla il condono e lo castiga. La conclusione di Gesù è ovvia: «Così farà il Padre mio con ciascuno di voi se non perdonerete a un vostro fratello».

Il divorzio

I problemi sono sempre molti in una comunità. Ora, per mezzo dei farisei si solleva il problema del divorzio. Essi chiedono a Gesù: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie?». La risposta di Gesù è chiara: «Ben conoscete ciò che ha fatto Dio sin dall’inizio. Egli ha creato l’uomo e la donna. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. L’uomo dunque non divida ciò che Dio ha unito».

La reazione dei farisei non interessa, quella dei discepoli sì: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Quello che spaventa i discepoli è l’impossibilità di ricostruire un’altra famiglia. A costoro Gesù propone un ideale immenso, che non tutti possono capire: «Ci sono coloro che sono incapaci al matrimonio sin dalla nascita e altri che sono stati resi tali dagli uomini, ma ci sono anche coloro che rinunciano al matrimonio (o a risposarsi) per il Regno dei cieli». Si tratta di coloro che mantengono integra la loro fedeltà al coniuge che li ha abbandonati, mentre gli altri scelgono volontariamente la via della perfetta verginità per testimoniare un aspetto radicale del Vangelo. La conclusione: «Chi può capire, capisca» forse può essere interpretata in questo modo: bisogna sempre agire con un profondo senso di comunione.

Dal tema sul divorzio, il discorso non può non passare a parlare dei bambini. «Lasciate che i bambini vengano a me perché il Regno dei cieli è di coloro che sono come loro». L’amore ai piccoli è molto importante soprattutto per gli sposati. Coloro che amano i propri figli evitano sempre il divorzio, ricostruendo la loro concordia.

La scelta della povertà (19,16-30)

Un tema scottante: «Non potete servire Dio e il denaro» (6,24). La discussione tra i discepoli e Gesù nasce dal dialogo tra Gesù e un giovane che diceva di aver osservato tutti i comandamenti. Gesù lo chiama a un ideale più grande: «Se vuoi essere perfetto va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi». Il giovane se ne andò triste: aveva troppe ricchezze. «Com’è difficile – dice Gesù – che un ricco entri nel Regno dei cieli». Anzi, con un esempio dimostra che è impossibile (19,24). I discepoli spaventati dissero: «Ma allora chi potrà salvarsi?». E Gesù: «Agli uomini è impossibile, ma a Dio tutto è possibile». Si pensi a Zaccheo (Lc 19,1-10).

Comunque la salvezza è sempre un dono di Dio, ed è questo dono che ora Gesù promette ai discepoli che, come dice Pietro: «Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». E che sia un dono, risulta anche dalla parabola degli invitati a lavorare nella vigna (20,1-16). Sono stati chiamati a diverse ore del giorno, ma quando si giunge alla sera tutti ricevono la stessa paga. Questo modo di fare a prima vista urta, ma quando dall’immagine si passa alla realtà, si scopre l’amore di Dio verso tutti.

Sia verso chi fa parte del Regno di Dio e della comunità fin dalla nascita sia verso chi entra nella comunità dopo un lungo e travagliato cammino di conversione. Tutti ricevono lo stesso dono della vita eterna. E se qualcuno non vuole sentirsi alla pari, si sentirà dire: «Prendi quello che è tuo e vattene».

Terzo annuncio di Passione

Abbiamo passato in rassegna vari aspetti della vita cristiana ed è logico che abbiamo terminato con un accenno alla vita eterna. Comunque c’è ancora un aspetto molto importante: «Chi è il più grande, chi ha più importanza nella comunità?». Ebbene questo tema viene trattato alla luce del destino del Gesù terreno. Ecco allora il terzo annuncio di Passione (20,17-19): «Gesù prese in disparte i Dodici e lungo la via disse loro: “Noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito, flagellato e crocifisso, ma il terzo giorno sarà risuscitato”».

Quello che Gesù dice è riservato ai Dodici, come lo fu il primo (16,21) e secondo annuncio (17,22s). Il motivo è che sono loro che debbono trarne le conseguenze.
Quanto segue (20,20-28) contrasta con l’annuncio di Passione. I discepoli discutono sul potere, su chi avrà il primo posto nel Regno di Gesù.

Giacomo e Giovanni sembrano parlare del primo e secondo posto nel Regno glorioso di Cristo e Gesù li vaglia: sono disposti a bere il suo stesso calice di dolore? Allora parteciperanno al suo Regno glorioso. Ma quello rimane il Regno del Padre e tocca a Lui distribuire i posti. Il discorso ci fa scoprire che nella Chiesa delle origini c’era già la lotta per il potere e la parola di Gesù mette in chiaro come dev’essere il potere nella sua Chiesa. Egli dice chiaramente che non dev’essere sullo stile dei governanti di questo mondo, nella Chiesa non si tratta di dominare, ma di servire. Tutti debbono fare come «il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».
Di fronte a queste esigenze siamo come il cieco di Gerico (20,29-34) e perciò come lui dobbiamo dire al Signore: «Abbi pietà di me! Fa’ che i miei occhi si aprano perché possa vedere chiaro il mio compito nella Chiesa e imparare davvero a donarmi».

Preghiamo

Grazie, o Signore, perché ci hai educato a una vita di comunione con te e con gli altri. Ci hai invitati ad assumere liberamente il tuo destino e ci hai fatto prendere coscienza del nostro compito nella tua comunità. Ci hai insegnato a vedere i piccoli come il valore più grande e a rispettarli.

Ci hai invitati a vivere riconciliati e a essere sempre donatori di perdono. E, osservando la lotta per il potere che c’era anche tra gli Apostoli ci hai detto di non strutturarci sullo stile dei poteri di questo mondo, ma a far sì che tutto sia contrassegnato dal servizio e dal dono di sé.

Questo oggi esige una grande conversione, perché l’arrivismo è sempre in atto. Donaci il coraggio di reagire e fa’ che ciascuno nella sua missione si senta dono e sia sempre disposto a dare, come te, la vita per gli altri. Amen!

                                                                                                         Mario Galizzi SDB


IMMAGINI: di G. Schnoor - G.B. Conti / Elle Di Ci:

1  La trasfigurazione di Gesù si compie prima dell’evento pasquale, per indicare ai discepoli che Lui è l’inviato dal Padre che porta a compimento le promesse dell’Alleanza e realizza la salvezza dell’uomo.
 Annunciare il Vangelo significa porre al centro della propria attenzione i più deboli e indifesi, come ha fatto Gesù, dichiarando la grandezza dei bambini nel Regno dei Cieli.
3  Tutti gli uomini hanno la possibilità di pentirsi e di rinnovare la propria vita. La sincerità del cuore e la rettitudine delle intenzioni sono le componenti essenziali per riconoscere i propri errori e affermare il bisogno di riconciliazione con Dio
 Solo chi è disposto a subire il rifiuto del mondo e la persecuzione può dirsi autentico discepolo di Gesù. Anche gli Apostoli hanno dovuto modificare le loro aspettative riguardo il Regno di Dio e sono stati educati da Gesù a comprendere che solo la croce può salvare il mondo.


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-8
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