ALLA SCUOLA DI MATTEO / 7
A GERUSALEMME (Mt cc.21-25)

In questi capitoli, Matteo fa risaltare come l’autentico discendente di Davide sia Gesù e la polemica fra Lui e i detentori del potere si fa feroce e riguarda proprio l’identità di Gesù. Israele ormai è una pianta incapace di dare frutti di salvezza. Matteo rafforza la fede della sua comunità che, rifiutata come Cristo dal suo popolo, si apre a tutte le genti (cc. 21-23). Nella seconda parte (cc. 24-25) medita sulla distruzione di Gerusalemme e poi ci invita a vivere nell’attesa della venuta del Signore.

Gesù, compimento delle Scritture (21,1-17)

A Gerusalemme avverrà il vero compimento della Legge e dei Profeti. Gesù stesso prende l’iniziativa per l’entrata solenne in città. Manda due discepoli a prendere un asinello e poi dà inizio a una marcia un po’ gloriosa. Matteo lo osserva e commenta citando un testo che all’inizio è di Isaia 62,11: «Dite alla Figlia di Sion...», ma che poi continua con il testo di Zaccaria 9,9 tralasciando intenzionalmente due parole: “giusto e vittorioso”. In quest’occasione valgono solo le altre: «Il tuo re viene a te, mite cavalcando un puledro». Matteo non si stanca di risottolineare la mitezza di Gesù (5,4; 11,29; 12,18-21), infatti, non è nella violenza che affronta il suo destino.

Ma per la città non c’è nessun trionfo. Quando vedono quella piccola carovana di Galilei che entrano festeggiando un tale, si chiedono: «Ma chi è costui?». Gesù per loro è uno sconosciuto, anche se la folla risponde: «È il profeta Gesù di Nazaret di Galilea». Ed eccolo agire subito da profeta compiendo un gesto simbolico: scaccia i venditori dal Tempio rivendicando i diritti di Dio: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera» a cui segue l’accusa: «Ma voi ne fate una spelonca di ladri». Il testo è una citazione di Geremia 7,11, che subito dopo annuncia la distruzione del Tempio. Anche il gesto di Gesù contiene un simile annuncio.

Quanto segue è bello: i bambini nel Tempio acclamavano Gesù dicendo: «Osanna al Figlio di Davide». I sommi sacerdoti, sdegnati, gli dissero: «Ma non senti quello che dicono?». E Gesù (quante volte lo farà) li mette di fronte alla loro ignoranza delle Scritture. Dice: «Non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurato una lode?». Poi lasciateli se ne andò. Come si vede, Matteo continua a presentare Gesù che compie le Scritture.

L’autorità di Gesù

Il giorno dopo, rientrando in città, vide una pianta piena di foglie ma senza fichi. Allora, compiendo un gesto simbolico, disse: «Mai più nasca frutto da te». La pianta è simbolo di Israele che non è più “la pianta piantata dal Padre” (15,13) e quindi incapace di dare frutti di salvezza. Segue un piccolo insegnamento sulla fede, riservato ai discepoli, che subito scompaiono dalla scena. Li ritroveremo in 24,1.

Ora, tutto si concentra sull’autorità di Gesù. La domanda che i capi di Israele gli fanno è chiara: «Con quale autorità fai queste cose o chi ti ha dato l’autorità di farle?». Gesù non risponde subito, prima indaga se ci sono le premesse per una risposta. Perciò chiede: «Il Battesimo di Giovanni da dove veniva, da Dio o dagli uomini?». Gli rispondono di non saperlo. Perciò anche Gesù non può dare una risposta chiara, ma la offre loro con due parabole.

Con la parabola dei “Due Figli” (21,28-32) afferma che il Battesimo di Giovanni veniva da Dio. Con la seconda, invece, quella dei “Vignaioli omicidi” (21,33-45), Gesù afferma con chiarezza con quale autorità compie quelle cose e chi gli ha dato l’autorità di farle: “Il Padrone della vigna, cioè Dio”. È lui che lo ha mandato dicendo: «Rispetteranno almeno mio figlio». È chiaro che lo ha mandato perché lo accogliessero e, invece, lo uccideranno. E qui è interessante notare come Gesù invita coloro che lo vogliono uccidere a pronunciare su se stessi la condanna. Infatti chiede loro: «Che farà il Padrone della vigna?». Ed essi risposero: «Farà perire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri». Israele non è più la vigna del Signore.

Ma dove è ora la vigna del Signore? Gesù lo dice con un linguaggio edile, appellandosi alle Scritture che essi non conoscono: «La pietra scartata da voi costruttori è diventata la pietra angolare. Il Signore ha fatto questo ed è una meraviglia ai nostri occhi perciò vi dico: Vi sarà tolto il Regno e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare». A questo nuovo popolo appartengono i cristiani convertiti dal mondo pagano e quel resto di Israele (la comunità di Matteo) che Dio si è scelto per grazia (Rm 11,5).

Ma la reazione dei capi di Israele è omicida (21,45) come appare anche dalla terza parabola, quella degli “Invitati alle nozze” (22,1-10). Essa continua lo stesso tema del rifiuto di Israele. È strutturata come la precedente ed è una ripresa di tutta la storia di Israele. Anche qui il Re manda i suoi servi che debbono chiamare gli invitati alle nozze. Ma essi non vollero venire. È il rifiuto totale. Fece un secondo invito, ma alcuni presero i servi, li insultarono e li uccisero. Al rifiuto totale il re diede alle fiamme la loro città, chiara allusione a ciò che avvenne nell’anno 70 per opera dei Romani.
Dai veri invitati si passa ai sostituti, perché malgrado il rifiuto, la festa deve continuare e così la sala del banchetto si riempì di buoni e cattivi. Qui entriamo nella storia della Chiesa, dove non tutto è santo e dove ci si sforza di rivestirsi di Cristo. Se alla fine uno sarà trovato senza l’abito di nozze, allora è chiaro che non può partecipare al banchetto del cielo.

Un motivo per ucciderlo

Gesù appare come il rifiutato. Quanto finora ha detto, ha fatto decidere ai capi dei sacerdoti e ai farisei di catturarlo (21,46), ma per condannarlo ci vogliono dei motivi. Di qui la loro decisione di continuare a discutere con lui per riuscire a prenderlo in fallo nei suoi discorsi (22,15). Così, lo attaccano su precisi argomenti. Matteo ne cita quattro da cui risalta che Gesù è di gran lunga superiore a ogni rabbino, mentre gli avversari, che si credono specialisti nelle Scritture, appaiono come gente che di fatto non le conosce.
I primi a tentare un colloquio sono i farisei, subito tacciati da Gesù come “ipocriti”. L’argomento è politico: si tratta del tributo a Cesare. Gesù con loro fissa la moneta del tributo e vede che su di essa c’è l’immagine di Cesare. La risposta di Gesù è tagliente: «Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Sembra dire loro: “Il popolo che voi guidate è di Dio, fate che sia davvero di Dio”.

La seconda discussione è sulla Risurrezione ed è suscitata dai sadducei che non credono in essa. Il caso che gli pongono è ridicolo. Vogliono sapere di chi, dopo la Risurrezione, sarà moglie una che ha avuto sette mariti. Gesù risponde: «Ma voi siete fuori strada. Voi non conoscete le Scritture e neppure la potenza di Dio. Dio è il Dio dei vivi non dei morti». Infatti Dio ha creato l’uomo per l’immortalità. Solo gli empi non conoscono la ricompensa dei giusti dopo la morte (Sap 2,22-23).

I farisei fanno la terza domanda. Vogliono sapere qual è il comandamento più importante. Ma come fanno a pensare che Gesù possa sbagliare su questo? La risposta di Gesù è gioiosa: «Amerai il Signore, Dio tuo con tutto il cuore...». E, subito dopo, aggiunge una cosa che essi non si aspettavano: «e il prossimo tuo come te stesso». Non si può vivere l’uno senza l’altro, anzi il secondo è l’unico criterio per sapere se davvero si ama Dio con tutto il cuore.
La quarta volta è Gesù che suscita la discussione. Chiede ai farisei: «Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?». Gli risposero: “Di Davide”; e Gesù: «Come mai allora Davide lo chiama Signore?». L’insegnamento è chiaro: la figliolanza davidica non esaurisce l’identità del Messia.
Nessuno era in grado di rispondergli e nessuno osava più interrogarlo. Gesù è il più grande rabbino. Gesù solo può insegnare la via di Dio e guidarci verso la salvezza.

I guai contro i farisei (c. 23)

Quante volte Gesù è stato accusato di scacciare i demoni in nome di Beelzebul (12,22-45), ha discusso sul puro e l’impuro (c. 15) e si è sentito chiedere un segno dal cielo (16,1-4). Nel secondo caso e nel terzo c’è stato un chiaro invito ai discepoli di abbandonare il loro insegnamento: «Non sono più la pianta piantata dal Padre. Lasciateli!» (15,13-14), «fate attenzione al lievito dei farisei...» (16,6-12) e i discepoli con fatica capirono che si trattava di abbandonare la dottrina dei farisei. Ora, tutto si conclude con un duro attacco contro di loro. Matteo lo riporta per aiutare la sua comunità a vincere ogni resistenza e a lasciar cadere tutto ciò che si oppone all’insegnamento di Gesù. Quanto qui si dice dovrebbe essere meditato anche da tutti coloro che hanno autorità nella Chiesa e che sono dediti all’insegnamento.

L’inizio è significativo: Gesù invita a fare tutto quello che dicono, ma subito dopo dice “non fate secondo le loro opere”. È qui è chiara l’allusione alle tradizioni da loro inventate. Sono un giogo impossibile da portare che essi impongono sulle spalle degli uomini, ma che non osano muovere con un dito. Cercano solo di essere lodati e di sentirsi chiamare “rabbi”. Da qui proviene un insegnamento molto importante che scalza tutti i titoli che si sono inventati nella Chiesa. Gesù dice: «Voi non siate così! Non fatevi chiamare “maestro”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli; non fatevi chiamare padre, perché uno solo è il vostro Padre, quello nei cieli; non fatevi chiamare guide, perché uno solo è colui che vi guida (Matteo aggiunge) il Cristo». Solo chi vive questo e solo quando mancheranno coloro che guardano gli altri dall’alto in basso facendo pesare la loro autorità, il discorso sulla fraternità sarà sincero. La burocrazia annulla ogni senso di fraternità.
Seguono sei “guai”(23,13-31) e un’invettiva (23,32-36). Basta leggere e meditare.

Il lamento di Gesù (23,37-39)

Gesù guarda con tristezza il suo popolo. Sa che non c’è più nulla da fare e dice con sgomento: «Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che Dio ti ha mandato. Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali e tu non hai voluto», un’espressione che ricorda il “non vollero venire” e il “non tennero conto dell’invito alle nozze messianiche”. Sono parole che dicono con chiarezza che Israele ha liberamente rifiutato il definitivo inviato di Dio. Comunque tutto finisce con un atto di speranza: un giorno lo accoglieranno dicendo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore».
Ora però è la fine. Gesù, mentre esce dal Tempio e lo osserva sull’invito dei suoi discepoli, dice: «Vedete tutte queste cose? Non resterà pietra su pietra» (24,1s). È l’annuncio della rovina e della dispersione del popolo.

Guardando il futuro (cc. 24-25)

Giunti sul Monte degli Ulivi, i discepoli, “in disparte” gli chiesero: «Di’ a noi quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo». L’espressione “in disparte” dice che l’insegnamento di Gesù è riservato ai soli discepoli. La prima parte (24, 4-41) rivela la situazione e il compito dei discepoli nel mondo; la seconda (24,42-25,30) parla dei segni della sua venuta e della fine del mondo.

Gesù si limita a mettere in guardia i discepoli dalle difficoltà che incontreranno: ci sarà sempre chi inganna; le persecuzioni non mancheranno mai e si dovrà vivere in un mondo che non trova la pace; non mancheranno neppure eventi naturali disastrosi. Comunque la storia non va verso la catastrofe. Quello che capita può essere paragonato ai “dolori del parto” e perciò dev’essere vissuto nella speranza che ci sarà alla fine una vita definitiva in Dio. E poi bisogna sapere che la fine verrà solo quando il Vangelo sarà stato annunciato a tutte le genti (24,4-14).

Si passa quindi a parlare della distruzione di Gerusalemme (24,15-25). Il linguaggio è tale che si ha l’impressione che la comunità di Matteo abbia vissuto quanto si dice. Infatti quando hanno saputo che “il sacrilego devastatore romano” si era insediato in Gerusalemme e nel Tempio, la fuga fu totale e le sofferenze immense.
La distruzione di Gerusalemme è un evento storico, ma non la fine. Perché la venuta del Cristo sarà istantanea come il lampo e quando accadrà tutte le genti “vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo e mandare i suoi angeli a radunare tutti gli eletti”.

Come vivere l’attesa (24,42–25,3)

L’imperativo è uno solo: «State svegli perché non sapete quando verrà il vostro Signore». Tutto ciò viene spiegato con parabole. C’è quella del “Servo vigilante e del servo cattivo”. Il primo è sempre vigile nell’attesa, il secondo no (24,45-51). Segue la parabola delle “Dieci vergini” cinque sagge e cinque stolte. La terza è quella delle “Monete d’oro” che il padrone affida ai suoi servi perché le facciano fruttificare: i doni del Signore debbono svilupparsi in noi, chi non li sviluppa perché ha paura del suo Signore non avrà il premio.

Conclusione (25,31-46)

Si tratta del cosiddetto racconto del “Giudizio universale” che è sempre in atto. Ogni giorno un’immensa moltitudine di persone passa da questa vita all’altra e appartiene a tutte le genti. Si presentano davanti al Signore che li giudicherà sull’amore del prossimo: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere...». Solo chi ha vissuto il comandamento: «Amerai il prossimo tuo come te stesso», che permette di vivere tutti gli altri, compreso il primo: «Amerai il Signore, Dio tuo con tutto il cuore» sarà salvo, riceverà la vita eterna e «splenderà come il sole nel Regno del Padre» perché: è l’amore per gli altri che salva.

          Preghiamo

Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto riunire i tuoi figli, ma tu non hai voluto. Gesù, qui si sente tutta la tua sofferenza di fronte al rifiuto del tuo popolo che hai amato tanto. Il tuo apostolo Paolo ti ha imitato in questa sofferenza e tanti altri nei secoli. Oggi tocca a noi nell’annuncio del Vangelo, un messaggio che sembra inascoltato. Eppure come te continuiamo a sperare e a credere che non c’è altra via di salvezza. Donaci perciò il coraggio di affrontare ogni difficoltà fino al giorno in cui tutti diranno: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Siamo certi che l’ultima parola nella storia sarà la tua e sarà una parola di salvezza. Amen!

                                                                                                          Mario Galizzi


IMMAGINI 1-4: Elle Di Ci, © Elledici / G. Schnoor - G. B. Conti
1  
Entrando a Gerusalemme su di un semplice asino, Gesù dimostra tutta la sua nobiltà e mansuetudine. Nel corso della Passione, subita per amore nostro, rifiutò sempre la scelta della violenza.
 La cacciata dei venditori dal Tempio è un gesto di profonda purificazione. Non possiamo metterci a pregare senza prima aver tolto dal nostro cuore il peso della cupidigia, dell’affanno e dell’ostilità.
3  Alla fine dei tempi, Gesù si mostrerà Giudice universale. Dinanzi a Lui si presenteranno tutte le genti per essere giudicate dalla legge dell’amore.
 La parabola delle dieci vergini, cinque sagge e cinque stolte, indica la prontezza con cui dobbiamo vegliare perché il nostro cuore non cada nella tentazione dell’oblio dell’amore di Dio.

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-9
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