VANGELO SECONDO MATTEO:
LA PASSIONE: GESU' E I DISCEPOLI

Nella domenica delle Palme, anno A, così inizia il racconto della passione: «In quel tempo uno dei Dodici, chiamato Giuda, andò dai sommi sacerdoti...». Si inizia raccontando il tradimento di Giuda. Ma questo è stravolgere il pensiero di Matteo, anzi della prima predicazione cristiana: i racconti di Passione sono Vangelo, Lieta Notizia di salvezza. Ma per capire questo bisogna guardare i protagonisti della salvezza: Dio e il suo inviato Gesù. Gli altri: i gran sacerdoti, cioè il sinedrio e Giuda stanno peccando e chi pecca non è certo portatore di salvezza. Non è nel loro agire che corre la via della salvezza. Essi agiscono per la morte, mentre il Dio dei viventi e Gesù, malgrado il peccato degli uomini, continuano anche in questo momento a salvare: lo dimostra la Risurrezione.

Matteo è convinto di questo e perciò inizia il suo racconto mettendo subito in evidenza i Protagonisti della salvezza. Così inizia (26,1): «Gesù disse ai suoi discepoli: Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso». “Voi sapete”: non è solo Gesù che sa quello che deve capitare, ma anche i discepoli.

Nel terzo annuncio di Passione (20,18-19) ha detto chiaro che a Gerusalemme sarà consegnato e crocifisso. Ora dice loro che questo avverrà fra due giorni. Ebbene, di fronte a questo evento come si comporta Gesù? come si comportano i discepoli? Matteo nella prima parte della sua catechesi sulla Passione instaura un serrato confronto tra Gesù e i discepoli. Questi finora di fronte all’eventualità della Passione per mezzo di Pietro si sono opposti: «Questo non ti accadrà mai, Signore» (16,22s); al secondo annuncio “si rattristarono molto” (17,22); dopo il terzo annuncio (20,17-19) preferirono discutere sul primo posto; alla passione meglio non pensarci.

Gesù invece si presenta deciso e colmo di speranza. Dal racconto della parabola dei “Vignaioli omicidi” (21,33-44) sappiamo che egli è cosciente che la sua missione vissuta nella fedeltà al Padre diventerà sorgente di vita per sé e per gli altri: sarà risuscitato. Egli, per opera del Padre, diventerà la “pietra angolare” di un nuovo edificio (21,42), ci sarà il nuovo popolo di Dio, perché la vigna, il regno passeranno ad altri.

Questa speranza appare anche nel racconto della Cena di Betania (26,6-13). Una donna lo unge di olio profumato: i discepoli si sdegnarono contro la donna, non sono in sintonia con Gesù: per loro è uno spreco quello che ha fatto la donna, ci sono i poveri. Per Gesù invece ha fatto un’opera buona:

«Lo ha fatto per la mia sepoltura. Dovunque sarà predicato il Vangelo si racconterà questo fatto».

Sarà sepolto, ma non rimarrà solo: dopo nascerà un popolo. Gesù è totalmente assorbito dal pensiero della sua missione.

Giuda non ci sta; sognava altro, non un Messia sofferente, e va a tradirlo, forse sperando in un atto di potenza messianica. Il solo Matteo, descrivendo Giuda, parla di “trenta monete d’argento”, di cui parlerà di nuovo narrando, solo lui, il pentimento e la morte di Giuda e lo farà usando esplicitamente frasi dell’Antico Testamento (Zc 11,12), quasi a dire al lettore: non meravigliatevi di quello che sta capitando, che stai vedendo; sappi che, malgrado questo, la storia della salvezza continua.

L’ultima Cena (26,17-30)

I discepoli pensano alla preparazione della Pasqua. Gesù accetta l’iniziativa dei discepoli. Ma Gesù e i discepoli non la pensano allo stesso modo, non riescono a entrare nel modo di pensare di Gesù. I discepoli pensano alla Pasqua ebraica, Gesù pensa alla sua Pasqua. Al padrone di casa fa dire: «Il mio tempo è vicino. Farò la Pasqua da te con i miei discepoli». Nel Vangelo di Giovanni la Passione è l’ora di Gesù, in Matteo è il tempo di Gesù, la sua Pasqua, il suo “passaggio, il suo esodo”. Il sacrificio di questa sua Pasqua sarà egli stesso, che ora anticipando gli eventi, si offre sotto i segni del pane e del vino. Ma vuole coinvolgere i suoi discepoli, anche Giuda al quale rivolge in modo particolare la sua parola: «Uno di voi mi tradirà». Prima che Gesù spezzi il suo pane, e lo fa ogni giorno, bisogna sempre esaminare se siamo o no in sintonia con lui. Nel Cenacolo nessuno si sente sicuro. Gesù li conosce: uno lo tradirà, Pietro lo rinnegherà,gli altri fuggiranno. Eppure egli si dona: «Questo è il mio corpo... Questo è il mio sangue dell’Alleanza versato per molti in remissione dei peccati». È Gesù che dice il senso che egli dà alla sua Passione e che continua a dare a ogni Eucaristia. Nel Cenacolo non c’è armonia tra Gesù e i discepoli, ma Egli vive tutto nella speranza. Egli sa che il suo sacrificio otterrà il suo effetto: «Non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre». Gesù sa che i suoi discepoli sono nell’incertezza, insicuri di sé, ma egli è sicuro che formeranno parte della sua Chiesa, formeranno quella comunità che egli cerca di ricostruire nella storia.

Getsemani (26,30-56)

Eccoli ora sulla strada del Getsemani e Gesù, parlando al futuro, annuncia la dispersione del gregge che realizzerà quanto ha detto Zaccaria 13,7: «Percuoterò il Pastore e saranno disperse le pecore del gregge», ma non per sempre: dopo la mia risurrezione vi precederò in Galilea». Gesù ha fiducia nei suoi discepoli, sa che ritorneranno a lui, anche se ora tutti negano, Pietro in testa, che mai si scandalizzeranno di lui.

Gesù invece dice a Pietro: «Questa notte stessa prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». No! Gli dice Pietro “anche se dovessi morire con te non ti rinnegherò”. E tutti gli altri dissero lo stesso. Chi ha ragione Gesù o i discepoli con Pietro? Conosciamo la risposta, ma vediamo come continua il confronto, pensando prima a una cosa bella che Matteo ama sottolineare.

La relazione Gesù-discepoli nel racconto di Matteo è molto sottolineata: “Faccio Pasqua da te con i miei discepoli... si mise a tavola con i Dodici... colui che intinge con me... berrò con voi... vi scandalizzerete di me... anche se tutti si scandalizzeranno di te... dovessi morire con te... giunge al Getsemani con loro... Dice loro vegliate con me... Non siete riusciti a vegliare una sola ora con me... Tutti lo abbandonarono. Alla volontà di comunione di Gesù si oppone la crisi di fede dei discepoli e poi il loro abbandono, la rottura della comunione si fa totale.

Qual è la causa di questa rottura? Secondo il solo Matteo è ciò che avviene in quella stessa notte; è il modo con cui Gesù affronta il suo destino, è quel suo presentarsi inerme di fronte ai nemici, rinunciando a ogni violenza. Si dimenticano che ha loro insegnato a “non opporsi al malvagio” (5,39). Ed ecco, uno tira fuori la spada e colpisce.

Gesù lo rimprovera. Non rifiutano di morire con lui, ma almeno menare le mani, alla violenza bisogna opporre violenza. No! dice Gesù: la via della salvezza è nell’amore, anche dei nemici. Ma come fare per entrare nei suoi pensieri, nei pensieri di Dio?

La risposta è una sola: l’unione con il Padre, mediante la preghiera, una preghiera che deve diventare molto personale. Gesù, giunto con loro al Getsemani, dice: «Sedetevi qui, mentre io, dopo essere andato là, pregherò». Ci sono dei momenti nell’apostolato, a volte duri, che il credente vuole sentirsi solo con Dio. Così ha agito Gesù quella notte.
La sua preghiera è un crescendo continuo. Più ci si immerge in Dio è più si entra in sintonia con lui. Ciascuno ha bisogno, a volte, di esprimere nell’intimo il suo essere figlio di Dio. Così ha agito Gesù anche quella notte. Matteo struttura la prima frase di Gesù ai discepoli su quella di Abramo che prima di salire il monte Moria per sacrificare il figlio disse ai servi:

«Sedetevi qui, mentre io e il figlio andremo fin là e adoreremo» Sotto le parole di Gesù non c’è solo il desiderio di essere solo con il Padre, ma anche la scelta di vivere da solo, nella solitudine la sua Passione, di non far pesare la sua sofferenza sugli altri. Come Abramo vuole essere solo di fronte al suo destino. Solo, ma in comunione. Infatti dice ai suoi discepoli: «Restate qui e vegliate con me».

Poi si allontana un po’ e inizia così la sua preghiera: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice, però non come voglio io, ma come vuoi tu». Accetta pienamente la sua sofferenza, anche nelle sue modalità, nel suo “come”. Dopo un’ora va dai suoi discepoli e li trova addormentati. Costata che non sono riusciti a vegliare con lui. Ma non pensa a se stesso, pensa a loro: come faranno a resistere nella prova se non pregano? Perciò dice loro: «Vegliate e pregate per non cadere nella tentazione, lo spirito è pronto ma la carne è debole». Non lo ascoltano. Il lettore già sa che non resisteranno nella tentazione e cadranno.

Il secondo atto di preghiera è perfetto. Lo si può tradurre così: «Padre, dato che non è possibile che questo calice passi da me senza che io lo beva: sia fatta la tua volontà». E noi sappiamo che la volontà del Dio dei viventi non è la morte del Figlio, ma la salvezza degli uomini, la vita. Perciò sappiamo che tutto finirà nella vita, anche se per la cattiveria umana ci sarà di mezzo la morte. Gesù è deciso a vivere quello che ha detto ai suoi discepoli:

«Chi perderà la propria vita la salverà» (16,25). Gesù continua a vivere di speranza e acquista coraggio. Dopo una terza preghiera ritorna dai suoi discepoli e dice loro: «L’ora è giunta e il Figlio dell’uomo è consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi andiamo». È un Gesù deciso. E ciò appare anche da ciò che dice a Giuda: «Amico, si faccia quello per cui sei venuto».

Gesù guarda oltre il semplice gesto di Giuda e segue il cammino che deve percorrere per compiere la sua missione. Egli sa che per bere il suo calice dev’essere consegnato e che si debbono compiere le Scritture. Anche qui potrebbe dire: «Io sono venuto non per abolire la Legge e i Profeti, ma per portarli al loro pieno compimento».

Il processo giudaico (26,57-75)

Dopo la cattura, davanti a noi c’è solo Gesù e Pietro. Tutti gli altri sono fuggiti. Pietro no! Aveva promesso a Gesù «Anche se dovessi morire con te non ti rinnegherò». Vediamo se uno che non ha pregato riesce a vincere la tentazione. Il testo dice: «Condussero Gesù dal sommo sacerdote Caifa». Pietro lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote ed entrato si pose a sedere tra i servi per vedere la conclusione. Come si vede solo due personaggi sono bene evidenziati: Gesù e Pietro. Poi il racconto parla di Gesù di fronte a Caifa e quindi di Pietro di fronte ai servi. Il pensiero di Matteo è chiaro: vedere come si comporta Gesù; vedere come si comporta il discepolo che per essere tale deve imitare Gesù. Si direbbe che Matteo dica a ogni lettore quello che San Paolo scrive a Timoteo: “Combatti la buona battaglia della fede... al cospetto di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza di fronte a Pilato” (1 Tm 6,13). Lo stesso ha fatto di fronte al Sinedrio. È di questa che ora Matteo parla.

Lo accusano dicendo: «Costui ha detto: io posso distruggere il Tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni». L’evangelista sottolinea che Gesù taceva. È facile ricordare Is 53,7: “come pecora muta di fronte ai tosatori”. Gesù è il Servo di Dio che dona la vita per salvare.

Tace quando lo accusano, parla quando il sommo sacerdote lo scongiura in nome del Dio Vivente di dire se è il Cristo, il Figlio di Dio. E Gesù, pur sapendo che la sua risposta segnerà la sua morte, dice: «Tu l’hai detto. Anzi io vi dico che d’ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto accanto a Dio onnipotente venire sulle nubi del cielo».

Dicendo questo Gesù si dichiara Giudice universale, giudice dei suoi giudici. Ed essi hanno capito che Gesù si attribuisce la più grande autorità dopo Dio, un’autorità che eserciterà accanto a Dio stesso. Per chi non crede in Gesù questa è bestemmia e merita la morte.

Gesù ha detto: «D’ora in poi». È da questo momento che inizia il suo dominio. Vediamo come riconquista Pietro. Mentre era giudicato, Pietro era giù nel cortile, sicuro di sé voleva far vedere a Gesù che lui lo seguiva fino alla morte. Ed ecco avvicinarsi una serva: «Anche tu eri con Gesù Nazareno». E, mentre Gesù davanti a tutto il Sinedrio, dice chi è, Pietro, davanti a tutti i presenti, negò dicendo: «Non capisco quello che dici».

Poi mentre Gesù afferma di essere il Cristo, il Figlio del Dio Vivente, come un giorno gli aveva detto Pietro, ora invece giurando e spergiurando dice: «Non conosco quell’uomo». Si dissocia totalmente da Gesù: è un rinnegato. Ma canta il gallo. In quel canto c’è per Pietro la voce di Gesù: «Questa stessa notte prima che il gallo canti, mi avrai rinnegato tre volte».

È duro dire: aveva ragione lui, ma Pietro lo dice, e poi fugge e piange. La parola di Gesù, ora accolta, lo porta alla conversione. Gesù incomincia a dominare davvero sui suoi, ora il regno incomincia a realizzarsi.

Il caso Giuda (27,3-10)

C’è ancora Giuda. Solo Matteo ne parla. Quando Giuda vide che portavano Gesù da Pilato, corse al Tempio a cercare i capi dei sacerdoti e pentito disse loro: «Ho peccato consegnandovi sangue innocente». Riconosce la sua colpa, si desolidarizza dall’agire dei capi, proclama l’innocenza di Gesù. Chi di noi non darebbe l’assoluzione a uno che manifesta la sua colpevolezza con un sincero pentimento? Pensiamo che Gesù gliel’abbia data, che Gesù l’abbia riconciliato a sé. C’è in Giuda, abbandonato da tutti: “Veditela tu”, un atto di disperazione che lo porta al suicidio, ma il suicidio fin dove è davvero coscientemente volontario, fin dove è colpevole? ... Sono opinioni, ma è chiaro che Matteo qui cita il caso Giuda servendosi di frasi del profeta Zaccaria e Geremia attribuendole tutte a quest’ultimo. Facendo ciò, dice che la salvezza si sta davvero realizzando in Gesù.

Preghiamo

O Signore Gesù, quanto abbiamo meditato vuol essere anche per noi, tuoi discepoli, un vero confronto con te. Vogliamo meditare sul tuo amore, sulla tua totale donazione per la nostra salvezza, pensare che anche noi ti abbiamo promesso di donarci e di amarci come tu ci hai amato. Gesù, Signore, da soli non ce la facciamo. Pietro ce lo insegna; abbiamo bisogno di imparare a pregare per affrontare le difficoltà come tu le hai affrontate abbandonandoti totalmente al Padre. Donaci, o Signore, il coraggio della preghiera. Amen!
                                                                                                          
   

                                                                                      Mario Galizzi SdB


IMMAGINI: 1-7  © Elledici / Giambattista Galizi
  Nell’Orto degli Ulivi, gli Apostoli lasciano Gesù da solo con il Padre. È un momento di intensa drammaticità in cui emerge tutta la profonda umanità del Salvatore.
  Il Regno che Gesù è venuto ad instaurare non è una potenza di gloria umana o di dominio terreno, è un regno che cresce mediante la sofferenza e la tribolazione e s’instaura nel cuore dell’uomo solo con un grande desiderio di libertà.
3   Gli evangelisti ci presentano Gesù sottoposto a varie prove e vessazioni, inflittegli tanto dai Giudei quanto dai pagani, per sottolineare come la salvezza che la sua passione offre è in riparazione per i peccati di tutti gli uomini ed è offerta a tutti senza nessuna distinzione.
4  Gesù, nel Vangelo di Matteo, rivive nella sua passione le profezie dell’Antico Testamento che la Chiesa ripropone nella sua liturgia soprattutto durante la Settimana Santa.
  L’accusa che viene fatta a Gesù riguarda la sua identità. Proclamandosi Figlio di Dio afferma il compimento di tutte le promesse. E il Sommo Sacerdote, stracciandosi le vesti, sigilla il rifiuto del popolo di riconoscere in Gesù il Messia inviato dal Padre per la salvezza del mondo.
  Anche oggi, come allora, molti vorrebbero escludere Gesù dalla loro vita. Costoro rifiutano la loro libertà e sono incapaci di vero amore. 
7   Anche quando viene tradito, Gesù non abbandona mai il suo atteggiamento di profondo amore verso l’uomo, tanto da chiamare ancora Giuda con il nome di amico.

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-10
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