ATTI DEGLI APOSTOLI: 18,23-20,28
TERZA MISSIONE DI PAOLO

È stato facile determinare il limite del primo e secondo viaggio, sia perché il punto di partenza e quello di arrivo era Antiochia di Siria, sia perché i due erano dotati di un’introduzione. Ma non così per quello che gli studiosi chiamano “il terzo viaggio”. Per noi inizia a 18,23 e si conclude a 21,38, secondo le indicazioni offerte da Paolo a Efeso: “debbo andare a Gerusalemme e poi a Roma” (19.21).

Se il primo viaggio ha avuto il suo culmine nel discorso ad Antiochia di Pisidia (13,16-41) e il secondo nel discorso di Atene (17,22-34), il terzo viaggio trova il suo apice nel discorso di Paolo agli Anziani di Efeso (20,18-37). Siamo di fronte a una bellissima sezione e invitiamo il lettore a mettersi in contemplazione di Dio, dello Spirito e della Potenza della Parola che, come Verità, s’impone da sé senza alcuna coercizione.

Galazia e Frigia (18,23)

L’inizio del viaggio suscita non poche difficoltà: «Paolo partì percorrendo una dopo l’altra le regioni della Galazia meridionale e della Frigia, confermando nella fede tutti i discepoli». Stupisce che Paolo sia solo e anche che rinvigorisca nella fede i discepoli. Questo suppone che lì ci siano delle comunità, ma chi le ha fondate? È probabile che le abbia fondate Paolo durante il secondo viaggio, quando attraversò queste due regioni (16,6). Il fatto è che ora deve aver incontrato certe difficoltà nella fede dei Galati, perché, “giunto a Efeso” (19,1) scrive loro una lettera nella quale afferma che “non c’è un altro vangelo” (Gal 1,7).
A questo punto c’è un brano (18,24-28) che tralasciamo perché sembra un masso erratico avulso dal suo contesto, senza alcun collegamento con quanto precede e quanto segue. Comunque ci offre una notizia utile: Efeso non è un campo incolto per Paolo; già altri hanno annunciato Gesù.

Primo contatto con la città (19,1b-10)

Giunto a Efeso s’incontrò con alcuni discepoli e chiese loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Una simile domanda suppone che Paolo già sapeva che c’erano dei cristiani, così detti “giovannei” anche fuori della Palestina e subito fu riconfermato in questo quando si sentì rispondere «Non abbiamo mai udito dire che esista uno Spirito Santo. Ma quale battesimo avete ricevuto? Essi risposero: “Il battesimo di Giovanni”». Paolo allora cercò di far loro capire il senso del battesimo di Giovanni «il quale battezzò con un battesimo di conversione dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». Essi accolsero con fede la parola di Paolo. Perciò “furono battezzati e subito scese su di loro lo Spirito Santo”. Fu una vera Pentecoste. Infatti, si misero a parlare in lingue e a profetare. Immersi dallo Spirito in piena comunione con il Padre e il Figlio pregavano in modo estatico, mentre il dono della profezia dava loro la capacità di essere costruttori di comunità.

“Prima ai Giudei” (19,8-10)

Paolo non riesce a dimenticare il suo popolo. Ora però cambia metodo. Non parla di Gesù, ma, “usando argomenti persuasivi parla loro di ciò che riguarda il Regno di Dio”. Questo tema è tale da suscitare l’interesse dei Giudei essendo ben radicato nelle Scritture. Esso esprime il dominio spirituale di Dio sulla mente e le intelligenze e con il tempo giunse anche ad esprimere la speranza escatologica nel tempo in cui la salvezza si sarebbe pienamente realizzata. Ed è a questo punto che dev’essere passato a parlare di Gesù, suscitando un’enorme reazione da parte dei Giudei: si irrigidirono e davanti a tutti rifiutarono di credere e sparlavano della “Nuova Via di salvezza”.
Paolo se ne andò con quelli che avevano accolto il messaggio e ogni giorno per due anni continuò a discutere con loro. Il risultato fu enorme: tutti gli abitanti della provincia romana di Asia, greci e giudei, ascoltarono la Parola del Signore. Luca parla solo di Paolo, ma è logico che abbia avuto come collaboratori Timoteo ed Erasto (19,22), Gaio e Aristarco (19,29) ed Epafra che hanno evangelizzato l’entroterra efesino, cioè le città di Colosse, Laodicea e Gerapoli.

La vittoria sulla magia (19,11-22)

L’inizio del brano è solenne: «Dio operava prodigi non comuni per opera di Paolo al punto che mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano». Ora, ci furono alcuni esorcisti giudei che si sentivano squalificati dall’agire di Paolo e che tentarono di imitarlo. Questo a Efeso, la città della magia per eccellenza, piena di libri che insegnavano ad usare le giuste formule magiche per riuscire. Ebbene questi esorcisti dissero agli spiriti cattivi: «Vi scongiuro per quel Gesù che Paolo predica». Solo che per loro la formula era qualcosa di magico; era essa la parola potente che guariva, mentre in Paolo era la potenza del Signore. Perciò fallirono e lo spirito cattivo disse loro: «Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?». Subito l’indemoniato si lanciò su di loro li malmenò in modo tale che fuggirono via nudi e pieni di lividi.
In Efeso tutti ne sentirono parlare e furono pieni di paura e «molti si misero a glorificare il nome di Gesù». Capirono che la potenza di Gesù era superiore a ogni magia. «E molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche e un numero considerevole di persone che avevano esercitato arti magiche, portavano i propri libri e li bruciavano davanti a tutti». La conclusione è più che ovvia: «La Parola del Signore cresceva e si moltiplicava».
Dopo questi fatti Paolo cominciò a sentire la preoccupazione per le chiese e decise di partire per la Macedonia e l’Acaia, cioè Corinto, dicendo: «Dopo essere stato là devo raggiungere Gerusalemme e Roma». Si fece precedere in Macedonia da Timoteo ed Erasto, mentre egli rimase ancora un po’ di tempo a Efeso. Poté così assistere a un grandioso evento.

La vittoria della fede sull’idolatria (19,21-40)

Le vendite degli oggetti religiosi attorno al grande santuario della Dea Artemide di Efeso calavano a vista d’occhio. Demetrio, il capo degli argentieri, convocò tutti gli operatori del commercio e puntò il dito accusatore su Paolo, dicendo: “Vi accorgete che non solo in Efeso, ma in tutta l’Asia, questo Paolo ha sviato molta gente dicendo che gli dèi manufatti non sono affatto dèi. C’è pericolo non soltanto per i nostri affari, ma anche che il santuario della grande Artemide cada in discredito. Colei che tutta l’Asia e tutto il mondo adorano rischia di essere privata della sua Maestà”.
Gli ascoltatori infuriati si misero a percorrere la città urlando: “Grande è l’Artemide degli Efesini”. Si trascinarono dietro, andando verso il teatro, Gaio e Aristarco compagni di Paolo, per presentarli ai magistrati. Una grande folla si unì al corteo, ma in realtà non sapeva perché stessero manifestando. Paolo voleva entrare nel teatro e parlare alla gente, ma alcuni funzionari imperiali, che gli erano amici, glielo impedirono. Solo l’abilità del Cancelliere della città riuscì a calmare la gente e ad affermare che né Gaio né Aristarco erano colpevoli. Nessuno di loro aveva rubato nel tempio e tanto meno insultato la grande Dea. Quest’assemblea non ha ragion d’essere. Anche qui il risultato è evidente: la fede cristiana, nel suo cammino, distrugge ogni idolatria. Paolo, dopo aver costatato la vittoria della fede, partì.

Visitando le comunità (20,1-16)

Qui basta osservare la cartina del terzo viaggio per capire il testo. Paolo attraversa le regioni della Macedonia e poi arriva in Grecia, pensiamo a Corinto dove si fermò tre mesi. Quindi non salpò verso la Siria a causa di un complotto dei Giudei contro di lui, ma ritornò attraverso la Macedonia e sostò sette giorni a Troade.
Qui, racconta Luca, “il primo giorno della settimana ci riunimmo per spezzare insieme il pane”, cioè per celebrare l’Eucaristia, che già allora, era preceduta dalla Liturgia della Parola. Era sera e la predica di Paolo durò fino a mezzanotte interrotta da un ragazzino che si addormentò sulla finestra e cadde dal terzo piano. Paolo scese di corsa, si gettò su di lui e lo strinse a sé e poi disse: «C’è ancora vita in lui». «Quindi risalì, spezzò il pane, mangiò e dopo aver parlato ancora fino all’alba, partì».
Luca annota: «Noi partimmo per nave fino ad Asso, dove dovevamo prendere a bordo Paolo che fece il viaggio via terra... Da Asso continuammo per nave tutti insieme fino a Mileto».

L’addio di Paolo (20,17-38)

Da Mileto, Paolo mandò a chiamare gli anziani di quelle Chiese che lui aveva contribuito a edificare durante i tre anni di permanenza a Efeso. E qui, Luca riporta il suo discorso altamente personalizzato. Egli vuole che Paolo sia ricordato non soltanto da coloro che lo stanno ascoltando, ma anche dai suoi lettori, da noi tutti. Non la si può toccare questa pagina, bisogna leggerla tutta tenendo conto delle sue quattro articolazioni:

1. Paolo inizia con uno sguardo retrospettivo del suo apostolato a Efeso (vv. 18-21):

Voi sapete come mi sono comportato tra voi fin dal giorno in cui ho messo piede in Asia. Ho servito il Signore con tutta umiltà, nelle lacrime e tra le prove che mi hanno procurato i Giudei. Sapete che non mi sono sottratto a ciò che vi poteva essere utile, quando si trattava della predicazione o dell’insegnamento da farvi in pubblico o in privato. Con insistenza ho invitato Giudei e pagani a convertirsi a Dio e a credere nel Signore nostro Gesù». Non è una difesa del suo comportamento, semplicemente propone ai capi delle chiese come anch’essi debbono comportarsi: “servire il Signore”. Tutto è un servizio. E quando parla delle “lacrime e prove”, ricorda la sua più grande sofferenza: il contrasto con quelli del suo popolo. Mai nessuno ha amato tanto il suo popolo come Paolo (Rm 9,1-3), e mai nessuno è stato odiato e trattato da traditore dal proprio popolo come Paolo. Anche oggi.

2. Uno sguardo sul presente (vv. 22-24):

«Ed eccomi ora prigioniero dello Spirito: sto andando a Gerusalemme senza sapere quale sarà la mia sorte in quella città. Comunque so che in ogni città lo Spirito Santo mi attesta che catene e tribolazioni mi attendono. Da parte mia non faccio nessun conto della mia vita, purché porti a termine la mia corsa e il servizio che ho ricevuto dal Signore Gesù di rendere testimonianza del Vangelo della grazia di Dio». Ad Antiochia di Siria, prima di iniziare insieme con Barnaba, la sua prima missione, “Sono stati affidati dalla comunità allo Spirito Santo”.
Dopo tanti anni Paolo continua ad agire guidato dallo Spirito Santo. Si chiama, pensiamo con gioia, “prigioniero dello Spirito”, perché è con la sua potenza che egli ha operato e da cui ora ascolta il primo annuncio della sua passione. Non ha mai camminato alla cieca; ora sa che cosa l’attende a Gerusalemme. Anche Gesù lo sapeva, e lui, come Gesù, vuole solo portare a termine la sua corsa come testimonianza al Vangelo. Per i capi delle comunità di Asia è questo un impegno che debbono assumere. E lo deve assumere ogni apostolo, perché la propria attività ha senso solo se è servizio e donazione sino alla fine.

3. Ora guarda il futuro: la Chiesa e i suoi Pastori (vv. 25-31):

«Ed ecco, ora io so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunciando il Regno. Per questo oggi vi dichiaro che non ho alcuna responsabilità se qualcuno di voi viene meno al suo dovere. Mai infatti mi sono sottratto al compito di annunciarvi la volontà di Dio. Abbiate cura di voi stessi e di tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo vi ha costituiti sorveglianti (significato allora del letterale: vescovi) per pascere la Chiesa che Dio si è acquistata per mezzo del sangue del proprio Figlio. Io so che dopo la mia partenza si introdurranno tra di voi lupi rapaci, che devasteranno il gregge. E anche tra voi sorgeranno uomini che insegneranno dottrine perverse, attirando dietro di sé i discepoli. Perciò vegliate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato, tra le lacrime di esortare ciascuno di voi». Come Gesù ha messo in guardia i discepoli contro i falsi profeti, “che vengono a voi in veste di pecora, ma dentro sono lupi rapaci” (Mt 7,15) e contro i falsi Messia che si presentano nel suo nome per trascinare dietro a sé i discepoli (Mc 13,22), così Paolo sa che avverrà lo stesso nella Chiesa di Efeso. Perciò li esorta a vedere il proprio atteggiamento pensando che lo Spirito Santo li ha costituiti Pastori e il Pastore deve vegliare come ha fatto Paolo per tre anni.

4. Ultime raccomandazioni (vv. 32-35):

E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati. Non ho desiderato né argento, né oro né il vestito di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che i deboli si debbono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore che disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”». È bella l’immagine di Paolo che presentando le sue mani dice: “alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani”. Non si riesce proprio a capire come abbia fatto a guadagnarsi da mangiare con le sue mani e a predicare giorno e notte. Però il sapere provvedere a se stessi senza pesare sugli altri è molto importante soprattutto se si tratta di aiutare i deboli.

Conclusione (vv. 36-38):

Ora la sua parola si fa preghiera: «Si inginocchiò con tutti e pregò. Tutti scoppiarono in pianto e gettandosi al collo di Paolo, lo baciarono addolorati perché aveva detto che non avrebbero più visto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave».
Dopo questa lettura, dobbiamo essere riconoscenti a Luca, probabilmente presente, perché nel versetto seguente c’è di nuovo il “noi” (21,1), come c’era quando sono arrivati a Mileto (20,15). Luca sintetizzando con abilità il discorso di Paolo ci ha dato di lui la più bella immagine, ma anche il modello più efficace per chi sa donare la sua vita per il Vangelo.

Preghiamo

A questo punto, o Signore, penso a me e a tutti coloro che hanno il compito di annunciare il tuo Vangelo. Fa’ che meditando questa pagina possiamo davvero riflettere a fondo sulle nostre responsabilità. Donaci di non perdere mai di vista i destinatari della nostra missione e aiutaci a tradurre il messaggio alle loro capacità di comprensione. Donaci il coraggio di vegliare giorno e notte su di loro perché non si sentano abbandonati nella loro vita cristiana. E poi concedi a noi di avere il coraggio, come l’hai avuto tu, di portare a termine nella fedeltà la nostra corsa, cioè il servizio che ci hai affidato. Che possiamo sempre sentire che la comunità ci affida in continuità alla potenza dello Spirito. Amen!

                                                                                                  Mario Galizzi SDB


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-11
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