NEL NOME DI GESU' CRISTO IL NAZARENO
Per due volte sentiremo risuonare in questa sezione la frase messa come titolo (3,6; 4,10) e una volta la bellissima espressione: “per mezzo del nome del tuo santo servo Gesù” (4,30); per due volte in 3,16 si dirà semplicemente “suo nome” e una volta si userà l’incisiva e solenne formula “non c’è sotto il cielo nessun altro nome dato agli uomini nel quale possiamo essere salvati” (4,12). Bastano queste poche parole per cogliere l’importanza del nome di Gesù nella propria vita e il bisogno di invocarlo per fare esperienza della sua potente presenza e per sentire la continua necessità di accoglierlo nella nostra vita.
Le parole in neretto danno lo scopo della seconda catechesi di Pietro, provocata dalla guarigione miracolosa di uno storpio e tutta tesa nello sforzo di portare i suoi connazionali ebrei ad un vero incontro con Gesù Messia. La sua catechesi sarà interrotta dai sacerdoti e dal capitano del Tempio che arrestano lui e Giovanni e li conducono in prigione e poi davanti al Sinedrio. A Pietro si offre l’occasione per dare la sua bellissima testimonianza. Quando poi tornano dai fratelli e raccontano l’accaduto, la comunità scoppia allora in una bellissima preghiera in cui chiede il coraggio di annunciare il Vangelo. La risposta del cielo è una nuova Pentecoste. Questo in sintesi il contenuto della sezione il cui esame ci aiuterà a capire le modalità dell’annuncio e della testimonianza che ognuno di noi deve dare di
Cristo.

La guarigione di uno storpio (3,1-12)

Il racconto è di una vivacità unica ed è ben collocato nell’ambiente religioso giudaico. Pietro e Giovanni, mentre stanno entrando nel Tempio, vedono uno storpio che chiede l’elemosina. Osservandolo Pietro non può non ricordare il comando di Gesù: «Guarite gli ammalati». Perciò, fissando insieme con Giovanni lo sguardo sullo storpio, gli dice: «Nel nome di Gesù, Cristo, il Nazareno alzati e cammina». Tutto avviene all’istante: si alzò e saltellando entrò con loro nel Tempio. La gente si accorse e li seguì fino al portico di Salomone. Pietro capì che era giunto il momento di annunciare Gesù, ma prima, parlando anche a nome di Giovanni, disse: «Perché ci fissate come se per nostro potere avessimo fatto camminare quest’uomo?». Solo dopo dà inizio alla sua seconda catechesi nella quale si percepisce che egli si sente coinvolto nella situazione del suo popolo. Anch’egli ha rinnegato Gesù; ma poi pentito ha ripreso il cammino con lui. Ebbene, ora con la sua catechesi vuole aiutare il suo popolo a vivere la sua stessa esperienza accogliendo colui che “hanno rinnegato e ucciso, Gesù”, e lo fa annunciando l’agire di Dio in Gesù e confermandolo con i testi dei profeti.

Il discorso (3,12-26)

L’inizio è solenne: «Il Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri, ha glorificato il suo servo Gesù. Che voi avete rinnegato di fronte a Pilato; lui voleva liberarlo, ma voi avete rinnegato il Santo e il Giusto e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino».
L’agire di Dio e del popolo si oppongono frontalmente: il popolo rinnega Gesù, Dio invece glorifica il suo servo Gesù, il santo e il giusto. Sono tre titoli che evidenziano la grandezza di Gesù. Le parole “servo” e “giusto” non possono non richiamare a una lettura cristiana i canti del Servo di Dio isaiano e i testi del “giusto sofferente”, mentre la parola “santo” definisce Gesù come il totalmente consacrato a Dio: Gesù è tutto di Dio e “Dio lo glorifica”, un verbo che nell’immediato contesto richiama la guarigione dello storpio, mentre in un contesto più ampio ricorda la Risurrezione ed esaltazione al cielo di Gesù come dice la frase seguente: “voi avete ucciso l’autore della vita, ma Dio lo ha risuscitato dai morti e di questo, noi siamo testimoni”.
Gesù è “l’autore della vita”. Dio, risuscitandolo gli ha donato anche come uomo la possibilità di avere la vita in se stesso e di donarla a chi vuole. Lo prova il fatto, come dice Pietro, che lo storpio è sano: “quest’uomo, è stato rinvigorito e ha ottenuto una perfetta guarigione per la fede nel nome di Gesù. È stata per la fede nel nome di Gesù
che quest’uomo, che voi vedete e riconoscete, è stato guarito” (3,16).
Dopo aver parlato dell’agire di Dio in Gesù e del rifiuto del popolo, una domanda s’impone: Perché l’hanno fatto? Perché non hanno riconosciuto in Gesù l’inviato di Dio? Perché si sono opposti a Dio? Pietro si rivolge a loro e li chiama “fratelli”: si sente coinvolto. Il loro agire gli ricorda il suo rinnegamento e forse dice a se stesso: “Ma io non sapevo” e alla gente: “So che l’avete fatto per ignoranza” (3,17). Gesù in croce ha detto: «Non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Poi cerca luce nelle Scritture e si accorge che “Dio ha preannunciato per mezzo di tutti i profeti che il suo Cristo avrebbe sofferto”. Ma questo il popolo non lo poteva sapere perché mai in Israele, qualcuno ha sognato che il “Servo sofferente” di Isaia potesse essere il Messia. In Isaia 49,3 infatti si legge: “Mio servo sei tu, Israele”. Solo la lettura cristiana mette in evidenza questa realtà e riesce a spiegare “un poco” le sofferenze di Cristo nel progetto divino. Dio aveva previsto che avrebbero potuto rifiutare il suo inviato, una previsione che non nasce solo dall’onniscienza di Dio, ma che è anche un’esperienza storica. Quante volte Dio si è sentito rifiutato dal suo popolo. Eppure manda il suo servo, il diletto, dicendo: “Rispetteranno almeno mio Figlio” (Lc 20,13). Ma non fu così; hanno agito contro la sua volontà e rinnegato colui che Dio aveva loro inviato. Il “pentitevi” (3,19) mette in chiaro che hanno fatto ciò che Dio non voleva: gli hanno ucciso il Figlio. Malgrado ciò Dio continua ad agire per la salvezza, risuscita il Figlio, e invita Israele alla conversione.
Dio non rivela immediatamente la sua ira, Dio si trattiene dallo scatenare il castigo: Dio è pazienza, Dio è misericordia. Perciò offre a Israele un tempo di “consolazione” (3,20); così si è soliti tradurre la difficile parola greca, che forse è meglio tradurre con “respiro, sosta, tregua”: è il tempo in cui la misericordia di Dio dà la possibilità al popolo di pentirsi per poi mandare “il Messia che aveva loro destinato, cioè Gesù” (3,20). Con questo Pietro dice ai suoi connazionali che il Messia che loro aspettano è solo Gesù ed è di fronte a lui che si decide la vita con Dio o contro Dio. Il cristiano invece sa che è già venuto e che ritornerà. «Ora però il cielo lo trattiene fino al tempo della restaurazione di tutte le cose» (3,21).
Quante discussioni su queste parole. Noi le spieghiamo così: nell’ebraismo, quando si parlava della “restaurazione di tutte le cose” si pensava alla grande attesa della fine dei tempi, con la speranza di un mutamento radicale del mondo e di un’era di pace. Per i cristiani quest’attesa si è conclusa a Pentecoste quando sono iniziati “gli ultimi giorni” che segnano l’inizio dell’impegno cristiano a un vero e continuo rinnovamento di vita, mentre sono in attesa del ritorno di Gesù, che verrà quando il rinnovamento raggiungerà il suo culmine e la salvezza sarà piena. È di questo che “Dio fin dall’antichità ha parlato per mezzo dei suoi profeti” (3,21).
Pietro ne cita uno: “Mosè”, il quale ha detto: «Il Signore farà sorgere un profeta come me... Chiunque non ascolterà quel profeta sarà estirpato dal popolo» (3,23). È chiaro che si parla di Gesù e senza la sua accoglienza non si può far parte del popolo di Dio. Di qui le esortazioni finali che mettono in evidenza la dignità del popolo ebraico: «Voi siete figli dei profeti e parte dell’Alleanza che Dio ha stabilito con Abramo: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le famiglie della terra». E Pietro continua la sua esortazione affermando che questo si realizza in Gesù, servo di Dio, che “è stato mandato prima di tutto a voi per portare a voi la benedizione, purché ciascuno si converta dalle sue iniquità”.
Questa frase mette in evidenza perché Gesù ha detto di iniziare la testimonianza da Gerusalemme. La “benedizione delle genti” infatti deve avvenire tramite quel resto di Israele che si converte e lo accoglie. Di qui il fatto che gli Apostoli debbano prima evangelizzare Israele e poi le genti e Paolo sentirà forte questo impegno sino alla fine.
Su questa nota si chiude materialmente il discorso, perché a questo punto “giungono i sacerdoti e il capitano del Tempio, irritati che Pietro e Giovanni insegnassero al popolo e annunziassero in Gesù la Risurrezione dai morti”. Li arrestano e li portano in prigione. Ha inizio la persecuzione. Comunque la catechesi di Pietro, ben calata nella realtà, ha fatto effetto perché il numero dei fedeli giunse a circa cinquemila (4,1-4).

Pietro e Giovanni sotto giudizio (4,5-22)

Gesù un giorno disse ai suoi discepoli: «Quando vi condurranno davanti alle autorità non preoccupatevi di che cosa dovrete dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà ciò che bisogna dire» (Lc 12,11s). È quello che avviene il giorno dopo, quando le autorità si radunarono e interrogarono Pietro e Giovanni dicendo: «Con quale potere o in nome di chi fate questo?». Pietro pieno di Spirito Santo disse loro: “Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo (lo storpio) e in quale nome egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo di Israele: costui sta davanti a voi sano e salvo nel nome di Gesù Cristo il Nazareno che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza e non vi è sotto il cielo nessun altro nome dato agli uomini nel quale sia stabilito che noi possiamo essere salvi”.

Non possiamo tacere

Le parole di Pietro su Gesù non potevano essere più incisive e categoriche: Gesù è l’unico e universale salvatore. Egli è la “pietra che è diventata testata d’angolo”. Perciò è su di Lui, “pietra angolare”, che si costruisce il nuovo popolo. Egli è ora il personaggio chiave del nuovo edificio di Dio, nell’Israele ricostruito.
All’udire Pietro gli uditori rimasero sbalorditi, sapendo che era senza istruzione e riconoscendolo per colui che era stato con Gesù. D’altra parte non potevano negare il miracolo. Allora ordinarono a Pietro e Giovanni di non parlare assolutamente né di insegnare nel nome di Gesù. Pietro però rispose: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Li rilasciarono perché avevano paura del popolo. Ed essi andarono dai fratelli e riferirono quanto avevano detto i sommi sacerdoti e gli anziani. La comunità scoppiò in una bellissima preghiera che inizia con la parole del Salmo 2,1-2, ma che poi così continua: «... In questa città si radunarono insieme Erode e Ponzio Pilato con le genti e il popolo di Israele contro il tuo santo servo Gesù che hai unto come Cristo... E ora, Signore volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunciare con franchezza la tua Parola. Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù. Quando ebbero terminata la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano con franchezza la Parola di Dio».
La prima comunità riflessa in questa preghiera è affascinata dal compito che le è stato affidato e, nella persecuzione, chiede a Dio la forza di poterlo assolvere: «concedi ai tuoi servi di annunciare con franchezza (audacia, coraggio, libertà) la tua Parola». Ogni comunità deve riflettere su queste parole. Si è infatti veri cristiani solo quando l’annuncio e la testimonianza sono percepiti come un compito primario in qualsiasi situazione ci troviamo, di pace o di persecuzione. Ma per essere così bisogna pregare.

Preghiamo

Signore Gesù, leggendo tra le righe il testo, mi sono accorto che il tuo discepolo Luca non ti perde mai di vista. Per questo descrive la vita dei cristiani in modo che sia un riflesso della tua. La prima comunità di fronte alla persecuzione prega come hai fatto tu nel Getsemani. I tuoi discepoli sono presentati al Sinedrio “il giorno dopo” e tu “appena fatto giorno” (Lc 22,66); la domanda che fanno a loro: “con quale potere o in nome di chi avete fatto questo”, con parole simili l’hanno fatta anche a te (Lc 20,2); come essi furono rilasciati liberi “per paura del popolo”, così tu, una volta, non sei stato arrestato per lo stesso motivo (Lc 19,48; Mc 12,12). L’insegnamento è chiaro: la mia vita, la vita delle nostre comunità deve riflettere la tua. Gesù perdonaci e aiutaci a non perderti mai di vista. Solo così riusciremo a imitarti e la nostra vita sarà una vera testimonianza e il nostro annuncio sincero. Amen!

                                                                                                           Mario Galizzi


IMMAGINE: 1 Masolino da Panicale, Guarigione dello storpio, Cappella Brancacci, Firenze / 2 la Pentecoste, da un messale armeno del sec. XIV
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-3
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