ATTI
DEGLI APOSTOLI 15,1-35:
LA CHIESA A CONCILIO
Quanto viene narrato nel capitolo 15
si trova intenzionalmente al centro degli Atti e costituisce
un punto di svolta nel racconto lucano. Il Collegio apostolico
e presbiterale di Gerusalemme riconosce ufficialmente levangelizzazione
dei pagani iniziata da Pietro e portata avanti su ampia scala
da Barnaba e Paolo. Essa porta la Chiesa alla rottura definitiva
dalla sua matrice giudaica.
Ma come si è arrivati a queste decisioni? I cristiani
dorigine pagana e quelli di origine ebraica sentivano che
non avevano le stesse idee. Alcuni, come i giudeo-cristiani continuavano
a considerare la Legge di Mosè e le loro tradizioni come
mezzi necessari alla salvezza. Paolo invece insegnava che «in
Gesù abbiamo la salvezza, cioè il perdono dei peccati,
e quella giustizia che la Legge di Mosè non può
dare ma che ora è possibile a chiunque crede in Gesù»
(13,38). È il valore assoluto della Legge e delle tradizioni
ebraiche che viene annullato; è lidentità
ebraica che viene messa in discussione. Questo il grande contrasto
tra chi crede in Gesù e gli Ebrei, un contrasto che è
fortemente latente tra i cristiani di origine pagana e i giudeo-cristiani,
anche se esteriormente sembra dibattersi su cose più secondarie.
Si pensi a Pietro quando ritornò a Gerusalemme da Cesarea;
la comunità gli rinfacciò: «Sei stato nella
casa di persone incirconcise e hai mangiato con loro» (1l,3).
Secondaria è pure la questione sollevata da quei «giudeo-cristiani
che sono scesi da Gerusalemme ad Antiochia di Siria e che insegnavano
ai fratelli: Se non vi fate circoncidere secondo la Legge
di Mosè non potete essere salvi».
Ci si chiede: «È vero quanto ha detto Pietro di
fronte al Sinedrio: Non cè altro nome in cielo
e sulla terra nel quale possiamo essere salvi o è
vero quanto dicono gli ebrei cristiani: Se non vi fate
circoncidere non potete essere salvi? Per essere cristiani
e avere la salvezza in Cristo, è proprio necessario diventare
prima Ebrei e accettare le tradizioni ebraiche? Il contrasto
tra Paolo e Barnaba con quelli che erano discesi dalla Giudea
fu assai duro. Però nessuno voleva una rottura nella Chiesa,
perché sentivano lunità della Chiesa come
un bene da salvare a ogni costo, ma qual è la via per
risolvere i loro contrasti? Risposta:
Andiamo
a Gerusalemme! (15,1-3)
Le due parti in contrasto stabilirono
che «Paolo e Barnaba e alcuni di loro (cioè i contrari
a Paolo) andassero a Gerusalemme dagli Apostoli per discutere
tale questione». La Chiesa Madre continua con gli Apostoli
a svolgere il ruolo di guida di tutta la cristianità.
Paolo in particolare sente il bisogno di un incontro con gli
Apostoli. Egli non va a Gerusalemme solo come un inviato della
Chiesa di Antiochia, ma anche in forza di una rivelazione. Ce
la racconta lui stesso: «Dopo quattordici anni salii di
nuovo a Gerusalemme insieme con Barnaba, vi andai però
a motivo di una rivelazione ed esposi privatamente alle persone
più autorevoli il Vangelo che io predicavo ai pagani per
non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano»
(Gal 2,2). Paolo sapeva che il suo modo di predicare il Vangelo
poteva sembrare una rottura nella Chiesa e sentiva personalmente
il bisogno di unapprovazione ufficiale. Anche per Paolo
lunità della Chiesa era un bene massimo.
Eccoci a
Gerusalemme (15,4-12)
«Giunti a Gerusalemme
furono accolti dalla Chiesa, dagli Apostoli e dai presbiteri
ed essi riferirono tutto ciò che Dio aveva fatto per mezzo
loro» (v. 4). Ci sembra ovvio che abbiano anche raccontato
di avere insegnato che la salvezza è solo in Gesù
e non nella Legge di Mosè. Questo dato, taciuto qui da
Luca, ci sembra che crei meglio il contrasto con quanto dicono
quei cristiani che provengono dalla setta dei farisei: «È
necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la Legge
di Mosè»
(v. 5). Lopposizione è radicale. Qui cè
solo da stabilire quale posizione sia valida. La discussione
devessere stata assai dura se Paolo nella lettera ai Galati
dice: «Ad essi non cedemmo in nulla, neppure un istante,
perché la verità del Vangelo continuasse salda
tra di voi» (2,5).
Dopo lunga discussione ecco riapparire Pietro, nella pienezza
del suo potere, il quale parla di quello che Dio ha fatto
per mezzo suo. La stessa frase usata da Paolo e Barnaba,
una frase che gli oppositori non possono usare perché
ripiegati su un passato che oramai è giunto al suo compimento.
La parola di Pietro è incisiva. Traduciamola letteralmente:
«Fratelli, voi sapete che fin dai giorni antichi tra noi
Dio ha scelto di far ascoltare per mezzo della mia bocca la parola
del Vangelo ai pagani e di farli diventare credenti. E Dio che
legge nei cuori ha reso testimonianza concedendo anche a loro
lo Spirito Santo come a noi. E non ha fatto nessuna discriminazione
tra loro e noi e ha purificato i loro cuori con la fede,
sottinteso: senza la Legge di Mosè». E qui, rivolgendosi
ai giudeo-cristiani morbosamente attaccati alla Legge e alle
loro tradizioni, dice: «Perché tentate Dio imponendo
sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri
né noi siamo riusciti a portare?».
Sembra di sentire Gesù che dice ai farisei: «Legano
pesi gravi e insopportabili e li accollano sulle spalle degli
uomini, ma essi non li vogliono toccare neppure con un dito»
(Mt 23,4). Bello se Pietro continuasse a dire: Buttiamo
via il passato e viviamo la libertà in Cristo. Ma
è troppo presto per dire questo e lo toccheremo subito
con mano. In Paolo cè questa voglia, ma forse anche
lui non riesce ancora a formularla bene, un giorno però
nella Lettera ai Filippesi lo dirà con parole chiare:
«Ho ubbidito alla Legge di Mosè con lo scrupolo
di un fariseo, fui zelante fino a perseguitare la Chiesa di Dio;
mi consideravo giusto perché seguivo la Legge di Mosè
in modo irreprensibile. Ma tutte queste cose che avevano per
me un grande valore, ora che ho conosciuto Cristo, le vedo come
iattura, le ritengo da buttar via» (3,5-7). Sentendo Pietro,
Paolo accetta senzaltro la sua conclusione: «Noi
crediamo che è per la grazia del Signore Gesù che
siamo salvati, e allo stesso modo anche loro». Paolo ha
capito di aver raggiunto lo scopo per cui era andato a Gerusalemme.
Ma anche tutti i presenti si sentirono in sintonia con Pietro
e «stettero ad ascoltare Paolo e Barnaba che raccontavano
quanti segni e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo
loro». Lautore di ogni cosa continua ad essere Dio.
La Parola
a Giacomo (15,13-21)
La fede di tutti è ora
chiara, ma la messa in pratica non è facile. È
assai difficile per i giudeo-cristiani buttar via in un giorno
le tradizioni in cui sono stati educati sin dallinfanzia;
e di questo debbono tener conto i cristiani di origine pagana.
Si pensi a quale conversione è stato chiamato Pietro nella
visione di Ioppe. Lui, che aveva udito gli insegnamenti di Gesù
che rendeva puro ogni cibo (Mc 7,19) e che diceva ai farisei:
«Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate le tradizioni
degli uomini» (Mc 7,8). Ebbene, Giacomo, che sente profondamente
e anche personalmente queste stesse difficoltà che vengono
da una lunga educazione, cerca un punto di equilibrio.
Innanzitutto, come tutti gli altri, approva pienamente quanto
ha detto Pietro, dicendo: «Da molto tempo Dio si è
scelto tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome»,
una frase già usata nellA.T. per indicare che Israele,
il popolo di Dio, era stato scelto tra i pagani (Dt 14,2). Il
senso è chiaro: ora il popolo di Dio è formato
da coloro che nella fede hanno accolto Gesù, e tra costoro,
anche se il testo non lo dice, ci sono pure quei giudeo-cristiani
che sono stati scelti per grazia (Rm 11,15). Giacomo, con fine
intuito, commenta questa scelta dei pagani come compimento della
profezia di Amos 9,11-14. In essa si parla della ricostruzione
della casa di Davide totalmente distrutta e che Dio ora, in Cristo
discendente di Davide, ha ricostruito «perché il
resto degli uomini cerchino il Signore e anche tutte le genti
su cui è stato invocato il mio nome». È chiaro
che qui il nuovo popolo di Dio appare come continuazione dellantico
e nasce perché parte della ricostruita casa o famiglia
di Davide.
Dopo questo, Giacomo, rispondendo ai giudeo-cristiani dice «che
non si debbono importunare quelli che tra i pagani si convertono
a Dio», quindi parlando a questi convertiti dal paganesimo
dice di «astenersi dalle carni sacrificate agli idoli e
da quelle di animali soffocati, dal mangiare sangue e dallimmoralità».
Queste disposizioni si fondano su una precisa costatazione. Come
Pietro a Cesarea è entrato nella casa di un incirconciso
e ha mangiato con lui, così ad Antiochia i cristiani tante
volte si riuniscono per un pasto comune o per lEucaristia,
che allora si celebrava durante una comune cena. In questo caso
è bene che la libertà ottenuta in Cristo sia vissuta
nella carità, tenendo conto che i giudeo-cristiani sin
da piccoli sono stati educati a sentire ripugnanza per i cibi
indicati come impuri e che, anche se vogliono, non è loro
facile superare in poco tempo questa difficoltà. Si parla
anche di evitare limmoralità, traduzione
di un termine che può essere reso anche diversamente,
ma che sempre indica qualcosa che tutti debbono evitare.
Il decreto
conciliare (15,22-29)
La narrazione di Luca è
molto lineare: allinizio (15,4) si è detto che la
Chiesa di Gerusalemme, gli apostoli e i presbiteri hanno accolto
gli inviati dalla Chiesa di Antiochia. Ora, dopo aver vagliato
a lungo la loro problematica e aver preso posizione con gli interventi
di Pietro e Giacomo, «gli apostoli e i presbiteri insieme
a tutta la comunità decidono di eleggere alcuni di loro
e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba. Furono
eletti Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini tenuti in grande
considerazione tra i fratelli. A loro diedero una lettera»
che inizia sullo stile di ogni lettera antica: «Gli Apostoli
e i presbiteri, vostri fratelli, ai fratelli di origine pagana
di Antiochia, di Siria e della Cilicia, salute!». Chiamano
fratelli i cristiani di origine pagana perché
oramai li sentono parte viva del popolo di Dio. E poi affrontano
il motivo di ciò che è avvenuto e condannano coloro
che, senza alcun mandato, sono scesi dalla Giudea ad Antiochia
e hanno turbato la vita dei fratelli sostenendo che la circoncisione
è necessaria per la salvezza. Quindi dicono: «abbiamo
pensato bene di inviarvi alcune persone insieme a Paolo e Barnaba
uomini che hanno votato la loro vita al nome del Signore nostro
Gesù Cristo». Non è una semplice lode, ma
un riconoscimento ufficiale della loro missione e del contenuto
del loro annuncio che Pietro ha bene evidenziato quando ha detto:
«Noi crediamo che è per la grazia del Signore Gesù
che siamo salvati» (15,11). La lettera continua così:
«Vi mandiamo dunque Barsabba e Sila che vi riferiranno
anche a voce quanto abbiamo deciso».
Linizio del decreto: «Allo Spirito Santo e a noi»
è straordinario. Esso continua a farci toccare con mano
come i credenti siano convinti e direi vivano lesperienza
dello Spirito Santo nella vita della Chiesa. Ripetiamo: «Allo
Spirito Santo e a noi è parso bene di non imporvi alcun
altro obbligo al di fuori di ciò che è strettamente
necessario: astenersi dalle carni sacrificate agli idoli, dalle
carni di animali soffocati, dal mangiare sangue e dallimmoralità».
Il decreto ha destinatari ben precisi: i cristiani di origine
pagana di Antiochia di Siria e quelli delle province della Siria
e della Cilicia. Essi formano fin dallinizio delle comunità
miste che hanno sempre saputo camminare insieme come ha fatto
per alcuni giorni Pietro a Cesarea, poi contestato dalla comunità
di Gerusalemme (11,1). Non sappiamo con certezza quando ciò
sia avvenuto, ma ad Antiochia a Pietro successe anche il contrario.
La lettera ai Galati (2,11-14) afferma che «Cefa prima
che giungessero alcuni del partito di Giacomo mangiava con i
cristiani di origine pagana, ma dopo la loro venuta cominciò
ad evitarli e a tenersi in disparte per timore dei circoncisi
e così fecero anche gli altri credenti di origine ebraica,
compreso Barnaba. Paolo affrontò Pietro e gli disse: Se
tu che sei ebreo vivi come i non ebrei, come puoi costringere
i pagani a vivere da ebrei».
Forse questo è il contesto giusto per capire il decreto
conciliare. Esso non vuole obbligare i cristiani di origine pagana
a diventare ebrei e neppure affermare che losservanza delle
quattro norme sia necessaria alla salvezza. Il decreto si limita
a dire: «Farete bene a osservare queste cose» (15,29).
In tal modo inculca una distinzione cruciale che i cristiani
di ogni epoca debbono ricordare: ci sono delle esigenze della
vita cristiana che sono essenziali e alcune, come queste quattro,
che pur non essendo essenziali possono contribuire a conservare
larmonia e la pace e a vivere una vera comunione di vita.
E che queste norme non siano mai state veramente essenziali appare
dai manoscritti antichi. Nei più recenti, quelle norme
hanno assunto una natura etico morale e sono state espresse con
i termini: idolatria, adulterio, omicidio, norme che hanno un
valore perenne. Nel codice occidentale poi sono state interpretate
alla luce della regola aurea: non fare agli altri
quanto non si vuole fatto a noi. Lo scopo del decreto conciliare
è proprio questo: vivere la libertà che si ha in
Cristo nella carità.
Di nuovo
ad Antiochia (15,30-35)
Quando gli inviati dalla Chiesa
di Gerusalemme giunsero ad Antiochia consegnarono la lettera
e appena lebbero letta, tutti si rallegrarono per
lincoraggiamento che infondeva. Bastano queste parole
per capire che il decreto conciliare lancia la chiesa cristiana
sullautonomia dalla sua matrice giudaica: la Legge di Mosè
e le tradizioni ebraiche non sono necessarie per essere cristiani
e per salvarsi. Allo stesso tempo capirono che la libertà
che essi hanno in Cristo esige un atteggiamento di vera carità
e di comunione fraterna.
Barsabba e Sila vissero questi momenti di gioia e di grazia;
incoraggiarono i fedeli e li esortavano a rendere in loro salda
la fede. Poi tornarono a Gerusalemme, mentre Paolo e Barnaba
continuarono ad Antiochia a insegnare e annunziare insieme a
molti altri la Parola del Signore.
Preghiamo
O Signore,
dopo aver percorso questa lunga pagina degli Atti, sgorga dal
cuore una sola preghiera:
Fa, o
Signore, che i cristiani di oggi sentano la bellezza dellunità
della tua Chiesa e sappiano costruirla con un serio confronto
delle loro differenza dando importanza al molto che hanno in
comune e che non può essere oscurato da ciò che
divide. Il cammino non è certo facile, ma quando si sceglie
di vivere la libertà che abbiamo in Cristo nella carità,
allora tutto si appiana e ognuno capisce che per ottenere lunità
bisogna un po morire a se stessi e non essere morbosamente
attaccati allidentità della propria chiesa.
È lunità
che conta e questa si ottiene solo se ogni comunità cristiana
sa davvero convertirsi a Gesù, come ha detto Papa Luciani.
O Signore fa che queste verità entrino profondamente
nel cuore di ogni cristiano, perché solo se saranno una
sola cosa, come tu hai detto, il mondo crederà che
il Padre ti ha mandato. Amen!
Mario Galizzi
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-9
VISITA Nr.